Il precariato minaccia la salute mentale dei giovani italiani (e ora ne abbiamo la conferma)

L'Ordine degli Psicologi dell'Emilia-Romagna addita il precariato lavorativo come causa principale dei problemi psicologici che attanagliano una generazione spesso ingiustamente incolpata di essere inetta. Ripartiamo dai giovani per risollevare un Paese, secondo Istat e Ocse, depresso e ansioso

A febbraio di quest’anno le università britanniche hanno fronteggiatoil più grande sciopero dei docenti della storia inglese. I professori, sostenuti da una grossa fetta di studenti, hanno incrociato le braccia in opposizione a un drastico piano di taglio delle pensioni. Proprio in quei giorni a Edimburgo durante una manifestazione una donna agitava un cartellone dove campeggiava una domanda breve ma incisiva: “do you believe in life after work?”. Un fotografo della PA ha immortalato la scena, e successivamente il Guardian ha pubblicato l’immagine sul suo profilo Instagram.

Vedere adulti inglesi di mezza età scendere in strada per far valere i propri diritti, non solo di lavoratori ma anche di futuri anziani pensionati, fa impressione soprattutto ai giovani, per i quali la parola “pensione” è solo un miraggio. In questi termini una ragazza commenta il post del giornale inglese: «ritengo che gli studenti a cui loro [i professori ndr] fanno lezione non potranno mai permettersi di avere una pensione… i miei genitori e i propri fratelli iniziarono a mettere da parte i soldi per la pensione a 24 anni. Se oggi un ragazzo iniziasse a fare lo stesso a quell’età, non potrebbe nemmeno pagarsi l’affitto e le bollette».

Allora il mercato del lavoro dei padri era molto differente da quello dei figli di oggi. Gli anni ’80, soprattutto in Italia, sono finiti da un pezzo e non è una novità che il precariato e la disoccupazione siano diventati, poco a poco, i due grandi mali insanabili della nostra società. Per un giovane, entrare nel mercato del lavoro è l’inizio di un’ordalia che anni di studio universitario possono solo spostare un po’ più avanti nel tempo, ventilando prospettive tiepidamente più ottimiste. Fortunatamente in Italia la ricchezza privata è straordinariamente elevata (anche se la distribuzione non è omogenea), così, mettendo da parte velleità di indipendenza, un giovane può nel migliore dei casi fare conto sull’appoggio della famiglia a oltranza, dilapidando patrimoni.

Dei drammi sociali del precariato se ne parla ogni giorno. Molto meno gettonati invece sono i drammi psicologici che si annidano nella quotidianità dei giovani italiani. Un ginepraio di stress, insicurezza e solitudine che sembrano essere la vera cifra di un mercato del lavoro sempre più liquido e competitivo. Questa realtà – che viene raccontata prevalentemente attraverso i numeri dei tagli al personale, delle ore di straordinari non pagate o della flessione degli stipendi – ha trovato negli ultimi giorni un portavoce istituzionale che ha saputo denunciare, con grande stile e umanità, la crudezza di un sistema alienante. Stiamo parlando dell’Ordine degli Psicologi dell’Emilia-Romagna, che in data 24 aprile ha rilasciato un comunicato stampa sulla condizione di precariato lavorativo dal titolo eloquente: “L’adolescenza sospesa dei giovani d’oggi”.

Questi giovani vengono a cavallo della rivoluzione digitale: la loro epoca doveva essere quella del consolidamento economico e del benessere diffuso, e invece è stata quella della peggiore crisi dai tempi della Grande Depressione, il cui leitmotiv sembra essere la mancanza di certezze


Ordine degli Psicologi dell’Emilia-Romagna

Il testo si propone di invertire la tendenza che porta a etichettare i millenials come bamboccioni e indolenti, spigando in che modo i fattori ambientali giochino un ruolo fondamentale sul fronte del lavoro. “Non si è tenuto conto della reale prospettiva esistenziale che queste ragazze e questi ragazzi si trovano ad affrontare. Gli effetti, soprattutto psicologici, che si determinano quando un individuo non intravede un futuro per sé e per la propria giovane famiglia – recita il comunicato -. [Questi giovani ndr.] vengono a cavallo della rivoluzione digitale: la loro epoca doveva essere quella del consolidamento economico e del benessere diffuso, e invece è stata quella della peggiore crisi dai tempi della Grande Depressione, il cui leitmotiv sembra essere la mancanza di certezze”.

L’ansia per il futuro può facilmente tradursi in “inadeguatezza, depressione, stati d’ansia o panico accompagnati da una sintomatologia psicosomatica”. La denuncia di Anna Ancona, Presidente dell’Ordine degli Psicologi dell’Emilia-Romagna, è inequivocabile: «una condizione di precariato lavorativo non rende instabile solo la situazione economica, ma mina anche lo stato psicologico delle persone. Perché non possono emanciparsi dalla famiglia di origine e costruire una propria realtà, ma si ritrovano a vivere forzatamente in una sorta di ‘adolescenza sospesa’. I giovani si trovano a volte in condizioni comparabili all’indigenza, con conseguente frustrazione e perdita dell’identità sociale; quasi sempre, quando hanno un lavoro, sono comunque sottopagati».

Insomma, ora possiamo dirlo senza sembrare ingenui: il precariato minaccia non solo la società e il benessere materiale, ma anche la salute mentale dei giovani italiani. Per i più attenti, le parole dell’Ordine non sono una vera e propria novità. Già gli ultimi dati dell’Istat risalenti all’anno scorso mostravano come il benessere psicologico fosse diminuito sia tra i giovani che gli adulti. «Lo status economico, il genere, l’esclusione sociale in particolare dal mercato del lavoro influiscono sul benessere psicologico – commentava l’Istat -; in Italia la depressione, così come i suicidi, sono meno diffusi che nel resto d’Europa, anche se la crisi sembrerebbe aver peggiorato la condizione già difficili delle generazioni più giovani».

Una condizione di precariato lavorativo non rende instabile solo la situazione economica, ma mina anche lo stato psicologico delle persone. Perché non possono emanciparsi dalla famiglia di origine e costruire una propria realtà, ma si ritrovano a vivere forzatamente in una sorta di ‘adolescenza sospesa’. I giovani si trovano a volte in condizioni comparabili all’indigenza, con conseguente frustrazione e perdita dell’identità sociale


Anna Ancona, Presidente dell’Ordine degli Psicologi dell’Emilia-Romagna

Ancora prima, a lanciare l’allarme era stata la Società Italiana di farmacia ospedaliera e dei Servizi Farmaceutici delle aziende sanitarie (Sifo), che denunciava come “i casi di disturbi dello spettro psicotico, del comportamento alimentare o della personalità sembrano essere in aumento tra i più giovani, talvolta anche in compresenza di abusi di sostanze, come alcol o stupefacenti”. I dati raccolti da Sifo mostravano come in Italia nel solo 2014 ci fossero stati 9.924 ricoveri di adolescenti di età compresa tra i 14 e 18 anni, con una media annua di ben 27 ricoveri al giorno. Adolescenti della penisola che tra l’altro venivano recentemente etichettati come i più ansiosi al mondo secondo l’Ocse. Ma la salute mentale non è un problema che riguarda solo gli adolescenti: anche gli adulti e – con un occhio di riguardo – gli anziani sono sempre più a rischio. Data la recessione e un mercato del lavoro asfittico, non è un caso se il reddito annuale prodotto da prestazioni psicologiche nel nostro Paese è passato in 20 anni da 110 milioni di euro a circa 800 milioni di euro: un boom del 600%.

Comunque l’ascesa irrefrenabile della depressione si pone sempre su scala globale. Ce lo ricorda l’Organizzazione Mondiale della Sanità, secondo cui nel 2030 la depressione sarà la malattia cronica più diffusa. Mentre in IItalia il numero totale di depressi si attesta sui 4 milioni e mezzo.

Se gli adolescenti italiani sono ansiosi e gli adulti ricorrono sempre più spesso allo psicologo, la vera fascia martoriata è quella degli studenti universitari. La futura classe dirigente del nostro Paese (soprav)vive con la costante convinzione – anche indebitamente pregiudiziale – che il sistema universitario sia mediocre, tutto da riformare, e deludente da un punto di vista occupazionale. Spesso rimane solo il Giano bifronte del lavoro all’estero, che li attende al valico tra mille forzature motivazionali e contraddizioni. Un sondaggio internazionale condotto dal gruppo Sodexo su oltre 4mila universitari in sei Paesi del mondo – Cina, India, Italia, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti d’America – ha svelato che i giovani italiani sono i più insoddisfatti della propria vita. Nella penisola il livello di soddisfazione tocca il 62%, mentre negli altri Paesi presi in considerazione le percentuali sono ben più alte – in India (82%), Cina (76%) e Regno Unito (75%). Secondo la ricerca, il lavoro e lo studio sono le principali cause di preoccupazione per gli universitari italiani. Infine, i nostri studenti affrontano due sfide distinte nella ricerca del lavoro dopo la laurea: trovare un lavoro nel loro ambito di studi e riuscire a difendere quella posizione.

Meglio curare o prevenire? Le medicine agiscono come palliativi rispetto a una realtà che ha più il sapore di una stringente questione generazionale piuttosto che di una temporanea epidemia di tristezza

Dati alla mano, il monito dell’Ordine degli Psicologi dell’Emilia-Romagna trova ancora più forza. La vera questione però rimane ancora aperta: meglio curare o prevenire? Le medicine agiscono come palliativi rispetto a una realtà che ha più il sapore di una stringente questione generazionale piuttosto che di una temporanea epidemia di tristezza. Qualche anno fa Umberto Veronesi commentava con queste parole lo stato depressivo del Paese: «Mi sembra una depressione giustificata, e volerla medicalizzare inserendola tra le voci che disegnano lo stato di salute del Paese, mi appare un’inaccettabile ipocrisia. I disoccupati vanno trattati con tranquillanti, ansiolitici e modulatori del tono dell’umore? Certamente i farmaci possono giovare all’ansia e all’insonnia che accompagnano la depressione, ma non risolvono il problema di una generazione che non trova il suo posto nella vita».

Appunto, i giovani depressi si curano dando più lavoro (e di qualità), non più farmaci. A ridosso del 1 maggio, la speranza è che la nuova stagione politica che si sta aprendo per il nostro Paese sia foriera di novità positive per la gioventù italiana. Il futuro, senza obiezioni, riparte da lì.

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