La “Revolucion Bonita” di Chavez ha distrutto il Venezuela

Un tempo il Venezuela era il paese più ricco del Sudamerica. Eppure sono bastati meno di dieci anni per cambiare un paese. E oggi la realtà è ben diversa. Caracas è diventata una delle città più pericolose al mondo. La corruzione e la violenza hanno devastato un'intera nazione

JUAN BARRETO / AFP

Un colpo di stato? Ma che dici ?

4 febbraio 1992. Sono le 5 di mattina, squilla il telefono. “C’è un colpo di stato a Caracas”. “Eeeh ? ma che stai dicendo? Che razza di scherzo… lasciami dormire!”. “Non è uno scherzo, accendi la televisione”. A quell’ora c’era una sola immagine di quello che stava succedendo, sfocata, confusa, assurda e senza spiegazioni: tra i lampioni e le palme che circondano l’ingresso del palazzo presidenziale si intravedeva un carro armato che saliva la scalinata e sfondava il portone. Poche ore e una cinquantina di morti più tardi, un tenente colonello sconosciuto, un tale Hugo Chávez, si arrendeva all’esercito rimasto fedele al governo del Presidente social-democrata Carlos Andrés Pérez. Fu arrestato in diretta, e davanti a milioni di telespettatori increduli, pronunciava la sua memorabile frase: “Por ahora – Per adesso, gli obiettivi non sono stati raggiunti…” Ma chi è questo pazzo? Che vuole? Ha sbagliato paese, ha sbagliato epoca.

Durante molti mesi, le conversazioni su qualsiasi tema, le barzellette sconce o no, gli articoli di stampa, ripetevano e imitavano ironicamente quel “per adesso”. Due anni dopo, fra sfottó e risate, Chávez uscí dal carcere, perdonato dal generoso, indulgente Presidente successivo – il democristianissimo Rafael Caldera. Poi si presentó alle elezioni presidenziali del dicembre 1998. E vinse. Con il 56% dei voti. Prometteva un sistema nuovo, era il candidato del cambio.

Si rideva delle camice e delle bandiere rosse, sempre più numerose e visibili dappertutto, dei discorsi sempre più radicali e aggressivi, dei militari sempre più onnipresenti nei posti chiave dell’amministrazione pubblica, delle gigantografie di Chávez sulle facciate dei palazzi, degli striscioni con slogan guevaristi: “Hasta la victoria, siempre. Patria o muerte!”

L’incredulità continuò durante vari anni ancora, da parte degli intellettuali, della borghesia, degli imprenditori, dei partiti politici tradizionali, dei media (stampa, radio, televisione) almeno finché poterono esprimersi liberamente prima di essere costretti a tacere o sparire. Si rideva delle camice e delle bandiere rosse, sempre più numerose e visibili dappertutto, dei discorsi sempre più radicali e aggressivi, dei militari sempre più onnipresenti nei posti chiave dell’amministrazione pubblica, delle gigantografie di Chávez sulle facciate dei palazzi, degli striscioni con slogan guevaristi: “Hasta la victoria, siempre. Patria o muerte!”. Si rideva di quest’operetta rivoluzionaria che sembrava uscita da un patetico teatrino degli anni sessanta.

Ma pur ridendo, molti intellettuali venezuelani e latinoamericani, appoggiati da un sonoro coro della sinistra europea, durante i primi dieci anni della cosidetta “revolución bonita” hanno accolto con entusiasmo il cambio di sistema politico dopo 40 anni di democrazia ormai viziata e anchilosata: viva la pulizia, morte alla corruzione, posto a idee nuove. Tranquilli, Chávez ha detto chiaramente che non è nè marxista nè castrista. Tra due o tre anni i bollenti spiriti si saranno calmati, i militari saranno tornati in caserma, e avremo rinfrescato tutte le istituzioni e l’economia grazie a un regime partecipativo, equilibrato, trasparente…bla bla bla.

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