Diciamolo subito, se siete qui per leggere che Loro di Paolo Sorrentino è un capolavoro o è una cagata pazzesca smettete di leggere ora, subito, adesso. Farci emettere un giudizio sul suo nuovo film, che oggi esce con la prima parte precedendo di tre settimane circa la seconda, sembra infatti esattamente quello che Sorrentino voleva evitare a tutti i costi. E anche se da spettatore la cosa non è affatto piacevole, visto che questi 104 minuti lasciano a bocca asciutta come tutti i racconti che si interrompono sul più bello, eppure bisogna ammettere che la mossa ci sta tutta.
Si parla di Lui, per tutti noi il deus ex machina degli ultimi 30 anni italiani; si parla di Loro, di “quelli che contano”, ovvero di quella conventicola mostrificata di acrobati, puttane e nani da circo che attorno a Lui in questi anni si è calcarizzata come ai tempi di Versailles, ma soprattutto ne parla Sorrentino, l’unico regista che in Italia riesce a dividere il pubblico in due curve, adoratori e odiatori seriali. Stando così le cose, questo split forzato probabilmente era l’unico modo di farcelo vedere minimizzando più possibile il fattore campo, anzi, il fattore stadio, che avrebbe tramutato tutto nel solito derby.
Ma torniamo al film: anche se in questi 104 minuti non abbiamo ancora visto tutte le carte che ha in mano quell’abile pokerista di Paolo Sorrentino, non è esattamente come giudicare un film alla fine del primo tempo, e infatti qualcosa, di questa prima parte di partita, si può dire. Si può partire, per esempio, dai fondamentali e dire che, anche in questo, caso Sorrentino è restato fedele al suo cinema chiudendo ancora una volta un film visionario e slegato dalla realtà, ma che con la realtà costruisce un gioco di specchi che, in fondo, lo rende profondamente realistico.
Non manca il gusto barocco per immagini, movimenti e costruzione scenica, esattamente come i personaggi sono ancora una volta, come sempre, tragicomici in quel loro bascolare come un pendolo tra l’epico e il grottesco, ma più di tutto si sente fortissimo quel suo intendere il cinema come finzione pura che non lascia scampo al realismo e che, proprio per questo, riesce a raccontare la verità.
Se prima dei titoli de La grande bellezza, il regista napoletano aveva scelto di citare l’esergo del Viaggio al termine della notte di Louis Ferdinand Céline — «Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario. […] È un romanzo, nient’altro che una storia fittizia. […] Basta chiudere gli occhi. È dall’altra parte della vita» — nel caso di questa prima parte di Loro si affida a Giorgio Manganelli e a una frase presa dalla sua rilettura di Pinocchio: «È tutto documentato. È tutto arbitrario», frase che dovrebbe bastare a zittire gli esegeti che non vedevano l’ora di misurare questo film dalla verosimiglianza in primis di Toni Servillo nei panni di Berlusconi, ma poi di tutto il resto.
Loro è un film talmente lontano dalla realtà e dallo stantio realismo cinematografico italiano che, come la famosa verità di Kafka che per essere intesa doveva farsi menzogna, riesce a raccontare il teatrino ridicolo in cui viviamo da trent’anni molto più lucidamente delle cronache politiche
E invece no. Loro è un altro viaggio al di là della vita, un altro film romanzo, anzi, se possibile ancor più finto di un romanzo. Loro è una farsa, è un ritratto kitch, esagerato, macchiettistico e non di rado ridicolo di un momento storico che, come ha scritto lo stesso regista è “definitivamente chiuso” e che “in una maniera molto sintetica delle cose, potrebbe definirsi amorale, decadente, ma straordinariamente vitale”. È un racconto documentato e totalmente arbitrario, per riprendere il Manga, un flusso che si apre con una dolce pecorella a cui esplode il cuore in una villa sarda e si chiude con una dichiarazione d’amore. E in mezzo? L’unica forma di verità che il cinema può raggiungere quando si avvicina così tanto alla realtà: uno spettacolo.
A un certo punto di questa prima parte di Loro c’è uno scambio di battute tra Berlusconi e il nipote che sembra scritta apposta per far da didascalia a questa considerazione: i due sono in giardino, nella villa in Sardegna e il nonno indica il mare al nipote raccontandogli di quella volta che lo venne a trovare Putin scortato da due cacciatorpediniere russe. Poi, mentre il nipote gli chiede di sia Putin, il nonno pesta una merda e, quando il nipote glielo fa notare, nega ridendo. «Io non l’ho mai pestata una merda e non la pesterò mai», gli dice e cita quella volta in cui Isacco Newton disse che la verità non dipende da se stessa, ma dal tono e dal modo in cui viene detta. Il nipote, che ha davanti il nonno con le scarpe sporche di merda, ci crede. Anche se quella sul piede del nonno è merda per davvero e anche se probabilmente il vero Newton, nella vita reale, ha avuto per tutta la vita ben altro a cui pensare.
Ci crede perché la verità non ha a che fare con la realtà a cui si riferisce, ma con il tono, con la voce, con i modi. E ci crede esattamente come ci crediamo noi, spettatori rapiti per 104 minuti davanti allo spettacolo kitch di Loro, un film farsesco e finzionale, che prende dalle commedie sexy anni Settanta più che dal cinema politico di quegli stessi anni; un film in cui le caprette infartano nell’attico, ex ministri inciampano a braghe calate inseguendo maldestramente l’amante che li ricatta; un film dove non c’è nemmeno un fenicottero, ma c’è un rinoceronte galoppa nottetempo per le strade di Roma e un bel topone di fogna che fa uscire di strada ed esplodere un camion di rifiuti che erutta spazzatura, spazzatura che, con la stessa velocità in cui Roma diventa la Sardegna, si tramuta in pasticche di MDMA.
C’è altro da aggiungere? No. C’è da andarlo a vedere. Perché Loro è un film talmente lontano dalla realtà e dallo stantio realismo cinematografico italiano che, come la famosa verità di Kafka che per essere intesa doveva farsi menzogna, riesce a raccontare il teatrino ridicolo in cui viviamo da trent’anni molto più lucidamente delle cronache politiche. E ci mostra non solo quanto è grottesco, impacciato e ingenuo quello che per trent’anni abbiamo chiamato mostro affidandogli il nostro immaginario e suicidandoci addosso tutta la nostra fantasia politica, ma, soprattutto, ci mostra quanto sono mostrificati Loro.