Inizio con un’autodichiarazione di ignoranza: la parola assertività è una parola che non ho mai usato nella vita e che scopro e approfondisco, in questi giorni, mentre preparo e scrivo questo articolo. Qualcuno ha detto che se non nomini una cosa quella cosa è come se non esistesse. Se fosse vero questo concetto mi chiedo come ho fatto a vivere fino a quasi quarantacinque anni senza usare la parola assertività e tutto le sue declinazioni, una parola e un concetto che trovo indispensabile per vivere un esistenza vitale in tutti i campi della vita, professionale, sentimentale e pubblica.
Per giustificare parzialmente la mia ignoranza dobbiamo subito dire che la parola assertività è relativamente giovane, Goethe e Dante (e probabilmente anche Italo Calvino e Borges, che sono i miei scrittori preferiti) non l’hanno mai usata, infatti questa parola e il conseguente approccio alla vita è stato delineato per la prima volta solo nell’immediato secondo dopo guerra, per poi diventare popolare solo a partire dagli anni Settanta del secolo scorso. E dunque, come un bambino che scopre un gioco nuovo, qui, con voi, andrò a scoprire questa parola e a commentare e sottolineare la sua straordinaria potenza.
La parola assertività deriva dal latino “asserere” che significa “asserire”, o asserzione (o anche affermazione di sé), questa parola riferisce a una caratteristica del comportamento umano che consiste nella capacità di esprimere in modo chiaro ed efficace le proprie emozioni e opinioni senza tuttavia offendere né aggredire l’interlocutore.
Banalizzando il comportamento umano, facendo finta che non esistano centomila sfumature di personalità e diecimila eccezioni e casi particolari, proviamo a dire che fondamentalmente esistono due atteggiamenti nell’approccio alla vita e all’altro
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