Se siamo schiavi del web e dei social network la colpa è solo nostra

Ci lamentiamo del potere della rete mentre condividiamo sui social la nostra vita. Ci accontentiamo di parole semplici e banali, quando servirebbe approfondire. Ma la responsabilità è solo nostra

Elezioni, sia negli Stati Uniti, che in Europa, movimento #metoo, Facebookgate, sono solo tre degli esempi clamorosi di quanto la Rete indirizzi il nostro quotidiano. La nostra vita. Sin qui, siamo alla banale considerazione o poco più. Il punto, però, è un altro: quanto siamo consapevoli della forza della nostra esistenza online?
Visti dall’ipotetico e classico marziano, dobbiamo risultare esilaranti: spariamo a zero contro l’invadenza dei cocial, diciamo di odiare tutto ciò che possa influenzarci, spiarci, monitorarci, ma in realtà non facciamo un bel nulla per evitarlo.
In rete, ci comportiamo perlopiù come eterni bambini, infanti dalla connessione perpetua. Passiamo il tempo a lamentarci con gli amici, a denunciare i poteri forti del Web, con lo smartphone nella destra, impegnati a fotografare e condividere il nostro hamburger. Lasciamo da parte per un momento la politica, pensate a quello che è successo in quella scuola di Milano, dove 12 studenti sono stati severamente puniti (e vorrei anche vedere!), per aver diffuso in rete un video di una loro compagna, ripresa in momenti intimi. Il dramma non si esaurisce nell’atto di violenza ai danni di questa povera ragazza, solo un’insensibilità disgustosa può portare a una cosa del genere, ma continua nell’assoluta ignoranza dei 12 e delle loro famiglie delle regole del vivere in comunità e in rete.

Se la campagna elettorale si è interamente trasferita dai muri delle città ai muri del Web ci sarà un motivo: chi cerca voti sa perfettamente che moltissimi si fermano all’ultimo post o al tweet, che assume la forza di verità.

Perché io vorrei proprio capire come si possa produrre un simile fallimento educativo, vorrei sapere di cosa abbiano mai parlato i 12 e i loro genitori, ammesso che abbiano mai parlato di qualcosa di diverso dall’ultimo modello di smartphone. Eccoci tornati al punto. Ci trastulliamo con le roboanti parole d’ordine ‘anti sistema’ e ‘anti giganti del web’, proviamo soddisfazione nel vedere Mark Zuckerberg sudare freddo davanti al Congresso Usa, ma della nostra realtà di oggi, quella in cui sono immersi i nostri figli, spesso non sappiamo un fico secco. Confondiamo l’iphoneX, l’S9 e le app, cioè la forma, con la sostanza, vale a dire la capacità di dominare il fenomeno, non esserne dominati. Non ha senso urlare alla luna e denunciare la possibilità di indirizzare le masse, attraverso i social, se siamo noi i primi a non ragionare e non approfondire. Se la campagna elettorale si è interamente trasferita dai muri delle città ai muri del Web ci sarà un motivo: chi cerca voti sa perfettamente che moltissimi si fermano all’ultimo post o al tweet, che assume la forza di verità. Poche parole, per spiegare realtà estremamente complesse, ma sufficienti per buona parte del pubblico. Una semplificazione estrema dei problemi, risultata elettoralmente efficace, ma anche molto rischiosa. Nell’era dell’informazione condivisa, potremmo ritrovarci con un’opinione pubblica poco informata e ancor meno consapevole. Un bel paradosso, di cui la colpa è solo nostra. Asteniamoci dallo sparare sul pianista digitale.

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