Sempre di meno, sempre più ricchi: benvenuti nell’Italia che vive di rendita

Ministero dell'Economia: in Italia c'è la ripresa, ma non è per tutti. Le differenze mostrano il cambiamento sociale del nostro Paese. Siamo sempre più simili agli Stati Uniti e sempre meno agli altri paesi europei

È un’Italia allo stesso tempo in ripresa e più diseguale quella che restituisce la pubblicazione delle dichiarazioni fiscali del 2017 (sui redditi del 2016) da parte del Ministero dell’economia. I redditi dichiarati ai fini IRPEF continuano a crescere rispetto al 2011: sono stati nel 2016 il 3,6% in più rispetto all’anno dell’inizio della crisi dello spread.

Aumenta il gettito dello Stato, crescono le entrate, ma non allo stesso modo da tutte le direzioni. Le differenze tra le categorie di contribuenti dicono molto su come sta cambiando il nostro Paese, anche dal punto di vista sociale. E i dati ci dicono che forse ci stiamo avvicinando a una situazione più americana (sia nord che sud americana) che europea. Con i redditi dei più ricchi che crescono più di quelli dei più poveri, in particolare se sono lavoratori autonomi o rentier.

È vero, c’è una ripresa dei redditi del lavoro dipendente, che è la classica fonte di guadagni di una società occidentale avanzata. Dal 2011 al 2016 questi sono cresciuti del 4,5%. La media pro-capite del 3,3%. Il numero di percettori è aumentato decisamente meno (del 1,14%), ma nel 2016 per la prima volta è stato superiore a quello del 2011.

Sono segni di una ripresa economica più ampia, effettivamente, che però ha diverse lacune. Riguardano appunto partite IVA e chi vive di rendita. Il bacino dei lavoratori autonomi in Italia è particolarmente grosso. E ultimamente anche fragile. È l’unico segmento in cui si perde costantemente occupazione da anni. E di conseguenza, come ci dice il ministero dell’economia, risulta in calo anche l’ammontare di reddito generato e il numero dei percettori. Nel 2016 il primo era superiore al 2011 solo per l’1,28%, e il secondo era inferiore del 5,17%. Anno su anno vi era stato un calo invece del 2,68% e del 7,34%.

Contrazioni pesanti, che ci dicono anche che c’è stata anche una maggiore concentrazione dei redditi, se il numero dei lavoratori cala più dell’ammontare di quanto dichiarato. E non sono incluse in queste statistiche le partite IVA al minimo, tipicamente figli della crisi, con cui le statistiche sarebbero ancora più estreme.

Considerando tutto il lavoro autonomo, infatti, è evidente come sia quasi solo quello dei più ricchi a sopravvivere e a prosperare. Rispetto al 2011 il numero di dichiarazioni relative agli scaglioni più poveri, fino a 35 mila euro, è diminuito del 2016, e non di poco, anche del 15% in alcuni segmenti. Mentre è cresciuto quello di chi guadagnava 50 mila, 100 mila, 300 mila euro.

Una situazione netta, che è però aggravata – dal lato delle disuguaglianze – dalla ancora maggiore concentrazione dei guadagni dei cosiddetti rentier. Tra 2011 e 2016 il loro numero è crollato, -8,4%, ma i loro guadagni sono nonostante tutto cresciuti, del 1,71%. Con un progresso, tra 2015 e 2016, del 4,54%, superiore anche a quello dei redditi da lavoro dipendente.


Insomma, sempre meno vivono di rendita, considerando le dichiarazioni per guadagni da plusvalenza, da partecipazioni, da capitale, ma questi sono sempre più ricchi. Difatti sul 2011 è in crollo il numero di coloro che guadagnano da rendite e che sono negli scaglioni fino a 60 mila euro totali, e aumenta quello dei più abbienti, in particolare di chi è oltre i 300 mila euro annui, +19,51%. E più ancora che i redditi da plusvalenze e da partecipazioni sono stati quelli da capitale, i guadagni quindi da interessi sui titoli, i frutti delle obbligazioni, e simili, a crescere.

Ma nessuno batte un’altra categoria ben più numerosa e celebre (si parla di 14,6 milioni contro poco più di 2 di quella precedente), quella dei pensionati. Per qualcuno in fondo anche in questo caso si tratta di rentier, considerando il calcolo retributivo che regola ancora la gran parte degli assegni incassati, e quindi di guadagni persino meno collegati a un lavoro rispetto a chi per esempio è partecipe di una azienda in cui ha investito capitale. Fatto sta che tra 2011 e 2016 i redditi denunciati dai pensionati sono cresciuti del 7,38% nonostante il loro numero, complice la legge Fornero, sia calato di quasi il 3%.

Anche qui, di meno, ma più ricchi. E più vecchi, dovremmo aggiungere. E’ forse il leitmotiv di questi anni. Di questa ripresa diseguale. Probabilmente nella prima fase della crescita è anche inevitabile che sia così, è il prezzo dell’uscita da una crisi di cui nessuno ha nostalgia. Ma nuove fasi economiche introducono anche nuovi problemi, come appunto i divari tra i redditi dei lavoratori. Sta alla nuova classe dirigente affrontarli, e farlo in modo realistico, se ne è capace.

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