Gig EconomyVita da rider, l’Italia è il Paese peggiore d’Europa per fare questo mestiere

A Torino la prima sentenza, che relega i rider di Foodora al semplice status di collaboratori autonomi. Decisioni di segno opposto arrivano dal Belgio e dalla Spagna, mentre in Germania sono inquadrati come subordinati. E in Francia, anche se sono autonomi, hanno paghe più alte

Finora, in Italia, dei fattorini in bici o in scooter della gig economy si erano occupati solo gli accademici. Poco il sindacato, per niente i giudici. E le proteste, che non sono state poche, erano tutte autogestite e organizzate via social. Ora, in ritardo rispetto al resto d’Europa, anche da noi è arrivata a Torino la prima sentenza, che relega i rider di Foodora (quelli “licenziati” dopo le prime proteste del 2016) al semplice status di collaboratori autonomi, quindi non legati all’azienda da alcun rapporto di lavoro dipendente: non c’è alcun controllo sull’orario di lavoro, possono “loggarsi” quando vogliono. Né un diritto in più né un diritto in meno, retribuiti a cottimo e senza tutele.

Una decisione, quella italiana, che fa rumore nello scacchiere dei pronunciamenti europei a macchia di leopardo dei giudici francesi, spagnoli, belgi o inglesi sui lavoratori della gig economy. E che, a conti fatti, fa dell’Italia uno dei posti peggiori in cui esercitare il lavoro di rider. In alcuni Paesi, i fattorini sono stati riconosciuti come dipendenti, in altri sono autonomi ma le paghe sono più alte.

Da noi, resta sullo sfondo solo il tentativo dei sindacati di dare un inquadramento ai fattorini, inserendo nel nuovo contratto nazionale della logistica la figura del rider. Un riconoscimento simbolico, che in teoria dà ai fattorini la possibilità di poter contrattare la loro condizione di lavoro. Nella pratica, però, la realtà è diversa. E i rider italiani, oltre che nella giungla del traffico delle città, si muovono in una vera e propria giungla contrattuale. Che varia da piattaforma a piattaforma. E anche di città in città. Dalla paga oraria di Deliveroo ( 5,60 euro) con un rimborso per ogni consegna diverso a seconda della città (1,50 a Milano; 0,80 a Torino), al pagamento a cottimo di 3,60 euro a consegna di Foodora; dai tre diversi contratti offerti da Just Eat, al “ranking fedeltà” dei rider messo a punto da Glovo. Tutti con una cosa in comune: inquadrati come lavoratori autonomi, senza salario minimo né tutele.

Le big della gig economy si adattano e proliferano nell’ordinamento del lavoro nazionale dei diversi Paesi in cui mettono radici, riconoscendo ai lavoratori diversi inquadramenti. «Dalle sentenze e dalle decisioni prese nei diversi Paesi europei non viene fuori un orientamento unico», spiega Valerio De Stefano, docente di Diritto del lavoro all’Università di Leuven, in Belgio. «In Italia non c’è una particolare resistenza da parte delle autorità, e anzi più in generale c’è una cultura che porta ad accettare determinati meccanismi di lavoro che non rispettano i diritti sociali». Perché, spiega De Stefano, «se anche questi lavoratori vengono qualificati come autonomi, non vuol dire che non necessitino di alcune tutele che oggi non hanno».

In Italia non c’è una particolare resistenza da parte delle autorità, e anzi più in generale c’è una cultura che porta ad accettare determinati meccanismi di lavoro che non rispettano i diritti sociali. Perché se anche i fattorini vengono qualificati come autonomi, non vuol dire che non necessitino di alcune tutele che oggi non hanno


Valerio De Stefano

L’ultima decisione in ordine di tempo in Europa arriva dal Belgio. A inizio marzo, la Commissione administrative de règlement de la relation de travail ha stabilito che il rapporto tra un fattorino e Deliveroo non può essere definito come lavoro autonomo. A dicembre anche l’ispettorato del lavoro di Valencia, in Spagna, aveva stabilito che la qualifica dei rider di Deliveroo “nasconde in realtà un rapporto di lavoro dipendente”. L’Austria invece si è limitata a dare ai lavoratori di Foodora il diritto a costituire una rappresentanza sindacale in azienda. Nessuna sentenza è arrivata finora dalla Germania, dove però i fattorini vengono assunti come subordinati con la formula dei mini-job, quindi con salario e tutele minime.

Decisioni di segno opposto arrivano invece dalla Francia, dove i fattorini sono inquadrati come autonomi, ma – rispetto ai colleghi italiani – hanno paghe più alte (a Parigi un fattorino di Deliveroo guadagna 7,50 euro l’ora, più circa 5 euro a consegna). E dall’Australia, dove ai lavoratori di Uber è stato riconosciuto lo status di autonomi. Anche nel Regno Unito, la Central Arbitration Committee di Londra ha stabilito che i rider di Deliveroo sono autonomi, appellandosi alla possibilità che hanno i lavoratori di farsi sostituire senza il permesso dell’azienda. Clausola che in realtà quasi nessuno usa. E sempre un tribunale britannico ha riconosciuto da poco i driver di Uber come “worker”, una categoria intermedia tra autonomia e subordinazione che dà dirittto ad alcune protezioni come salario minimo, tutela sull’orario di lavoro e pagamento delle ferie.

«Le sentenze e le decisioni variano di Paese in Paese e anche a seconda della piattaforma», spiega Emanuele Dagnino, ricercatore del centro studi Adapt. «Un segnale del fatto che esiste un’area grigia in cui i giudici si possono esprimere in una direzione o in un’altra, a seconda dei diversi ordinamenti». E anche sul fronte della rappresentanza sindacale i livelli sono diversi. In alcuni Paesi, dalla Francia alla Germania e persino in Cina, sono nate le prime forme di rappresentanza. «In Italia finora i sindacati tradizionali hanno fatto da spettatori alle manifestazioni organizzate dai rider e da poco stanno cercando di avvicinare questo mondo», continua Dagnino. Finora, i fattorini italiani si sono organizzati in diversi gruppi cittadini (i più attivi a Milano, Torino e Bologna).

E ora da Bologna muove i primi passi il primo sindacato di categoria, la Riders Union. Dopo uno sciopero dei fattorini locali, il Comune ha proposto una carta dei diritti fondamentali del lavoro digitale. Il documento sarà discusso sotto le due Torri domenica 15 aprile, nella prima assemblea nazionale dei fattorini 4.0. Un esercito di tremila persone che ogni giorno consegna pizze e sushi a domicilio, con un compenso medio a ora che non va oltre i 7 euro.

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