Tratto dall’Accademia della Crusca
Iniziando dalla forma della parola, ci troviamo di fronte all’esito di un passaggio quasi naturale che dalla parola inglese gentrification arriva al calco omonimico gentrificazione, senz’altro favorito dalla corrispondenza dei due suffissi derivativi, peraltro molto produttivi in tutte e due le lingue. In inglese abbiamo infatti un derivato sulla base gentry ‘piccola nobiltà’ (e per estensione ‘alta borghesia’) con l’aggiunta del suffisso –ification corrispondente all’italiano –ificazione con il significato di ‘far diventare come, prendere forma di’. Nella storia dell’italiano la derivazione di verbi, di matrice colta, attraverso il suffisso denominale –ificare, e poi di nomi, mediante il suffisso deverbale –azione è stata molto produttiva: si considerino almeno i casi di pacificare/pacificazione, gratificare/gratificazione, modificare/modificazione, unificare/unificazione e le coppie di termini (quindi di parole tecniche proprie di ambiti specifici) come gassificare/gassificazione, gelificare/gelificazione, ossificare/ossificazione.
Se la forma della parola dunque non pone particolari problemi, meno intuitivo risulta il significato da attribuirle e, di conseguenza, più difficoltosa la ricerca di un corrispondente italiano con cui tradurla. L’originale inglese gentrification, letteralmente ‘borghesizzazione’, è stato coniato e utilizzato per la prima volta nel 1964 da Ruth Glass (Introduction: aspects of change. In London: Aspects of Change, ed. Centre for Urban Studies, London: MacKibbon and Kee, 1964, xiii–xlii), mentre il calco italiano è registrato per la prima volta dallo Zingarelli 2013, che data la prima attestazione al 1982. Il GRADIT già nel 2000 registrava gentry come termine tecnico del linguaggio storico con la seguente definizione: ‘in Inghilterra, classe intermedia tra la nobiltà e i proprietari terrieri, che godeva di precisi privilegi’, estens. ‘alta borghesia’. Gentrification è il nome di un fenomeno iniziato negli Stati Uniti e in area anglosassone che si riferisce al recupero di quartieri storici e popolari da parte del ceto emergente, con conseguente trasformazione della tipologia degli abitanti: un cambiamento che coinvolge allo stesso tempo identità urbanistica e tessuto sociale. L’Oxford English Dictionary definisce gentrification come ‘The process by which an (urban) area is rendered middle-class’ e attesta la forma a partire dal 1973.
Alla nuova classe piace guadagnare bene per vivere bene, ma il fatto di essere pagata profumatamente anche per quello che la diverte fare ha attenuato il suo appetito … Nel suo andirivieni fra i centri storici e i suburbi di lusso ora prevale il ritorno a downtown. I prezzi delle case a Londra o a Manhattan e nei centri delle grandi città aumentano di continuo per via di questa gentrification, come chiamano l’imborghesimento
La forma italianizzata gentrificazione è presente anche nella versione on line del GRADIT,che ne segnala l’impiego in accezione linguistica, in un articolo del 1991 che tratta dell’ingresso di italianismi in America attraverso canali colti e non più solo attraverso il parlato delle comunità dialettofone: «[…] in questi ultimi anni l’italianismo viene importato sempre di più direttamente dall’Italia […] è uno sviluppo che si spiega dall’influsso sempre più marginale della ridotta comunità italo-americana dialettofona, e dall’aumento di prestigio degli scambi sempre più intensi con l’Italia, per cui si potrebbe parlare di “gentrificazione” dell’italianismo» (Hermann W. Haller, L’italianismo recente come riflesso dell’immagine italiana nella vita americana, in L’italiano allo specchio. Aspetti dell’italianismo recente, a cura di Lorenzo Coveri, Atti del Primo Convegno SILFI, Siena, 28-31 marzo 1989, vol. 2°, Torino, Rosenberg & Sellier, 1991, pp. 15-24, a pp. 19-20).
Da una ricognizione sui principali quotidiani nazionali, si può verificare che tra il 1991 e i primi anni del 2000 inizia a circolare la parola inglese, ancora citata spesso tra virgolette a indicarne la provenienza estera e la novità. Sulla «Repubblica» dal 1991 al 2003 si hanno 9 occorrenze di gentrification, la prima del 1998 dalla penna di Giorgio Bocca (di cui viene riportato un passo dal libro Voglio scendere! dello stesso anno): «Alla nuova classe piace guadagnare bene per vivere bene, ma il fatto di essere pagata profumatamente anche per quello che la diverte fare ha attenuato il suo appetito. Non ama il lusso estremo e ha molte ambizioni, ma non grandi ambizioni. Nel suo andirivieni fra i centri storici e i suburbi di lusso ora prevale il ritorno a downtown. I prezzi delle case a Londra o a Manhattan e nei centri delle grandi città aumentano di continuo per via di questa gentrification, come chiamano l’imborghesimento» (corsivo mio). Sul «Corriere della sera», nello stesso intervallo di tempo, si rintraccia un solo passaggio, datato 8 ottobre 1995, di gentrification, usato in una recensione, a firma di Fernanda Pivano, al libro di Mario Maffi, New York: l’isola delle colline. Parlando del Lower East Side, quartiere a maggioranza portoricana di New York, la Pivano scrive: “La cosiddetta gentrification, il restauro del quartiere, si è arenata ma le comunità portoricana e asiatico-americana oppongono alla devastazione una grossa capacità di resistenza”.
Tecnicamente significa: “Il recupero di un quartiere deteriorato e depresso da parte di nuovi residenti che sono più ricchi di chi ci vive da lungo tempo. Questo causa un aumento dei prezzi degli immobili e porta all’allontanamento dei vecchi residenti”
La prima attestazione della forma italianizzata gentrificazione si rintraccia sul “Corriere” del 30 gennaio 2003: l’autrice Rita Querzè, parlando di alcuni quartieri milanesi (Baggio, Musocco, Navigli e Brera) oggetto di gentrificazione, commentava con tono decisamente critico le operazioni di recupero e “imborghesimento” di alcuni quartieri originariamente popolari, spiegando il fenomeno in termini di “creazione di quartieri ghetto alla rovescia cioè per ricchi”. La prima apparizione sulla “Repubblica” la dobbiamo invece a Mario Calabresi, che in un articolo del 30 luglio 2007 notava questa espressione come «la più usata da chiunque voglia descrivere cosa è successo a New York negli ultimi dieci anni: la normalizzazione della città. Tecnicamente significa: “Il recupero di un quartiere deteriorato e depresso da parte di nuovi residenti che sono più ricchi di chi ci vive da lungo tempo. Questo causa un aumento dei prezzi degli immobili e porta all’allontanamento dei vecchi residenti”».
In Italia il fenomeno ha avuto una fisionomia prevalentemente sociale (in America invece ha significato anche la sostituzione etnica degli abitanti, dagli afroamericani dei quartieri-ghetto si è passati agli americani benestanti), è stato molto più contenuto e ha interessato solo alcune grandi città: si è parlato di gentrificazione per i quartieri Testaccio, San Lorenzo o Pigneto a Roma, per San Salvario a Torino, per il quartiere Isola a Milano, per San Niccolò a Firenze. Nonostante le dimensioni modeste, ha comunque suscitato un acceso dibattito, alimentato anche dagli studi sociologici sull’argomento e dalla prima traduzione in italiano del volume della sociologa americana Sharon Zukin, Naked City.The Death and Life of Authentic Urban Places (L’altra New York. Alla ricerca della metropoli autentica, trad. di Federica Davolio, Bologna, il Mulino, 2013), che senz’altro ha contribuito alla diffusione e al progressivo radicamento della parola.