Il campionato di calcio è ormai finito e per molti appassionati questo significa la fine del fantacalcio. Un mondo fatto di calcoli, previsioni ma soprattutto tante stastistiche: tiri in porta, numero di cross, tenativi di dribbling per partita tutti parametri che alla fine possono influire sulla prestazione per scegliere la migliore formazione. Detto altrimenti, dati. E visto che quest’anno l’Italia non va nemmeno ai Mondiali, ci vuole una soluzione per l’estate per sublimare la carenza di analisi (tecnica).
Una soluzione potrebbe essere buttarsi nel mondo della data analisys. Sempre di numeri e percentuali si tratta. Come gli 1,1 milioni di euro del giro d’affari di questa attività che consiste, essenzialmente, nel setacciare e modellare una mole spaventosa di dati digitali generati dagli utenti attraverso il Web e i dispositivi mobile (e non solo), per poi rivendere le informazioni alle aziende. Un business che nel mondo ha già sfondato quota 4,7 miliardi di dollari.
Una montagna di soldi realizzata in un settore dove regole e controllori sembrano muoversi sempre un passo in ritardo. Il caso più eclatante è stato senza dubbio quello di Cambridge Analytica, società britannica di analisi dati al centro della possibile interferenza nelle elezioni presidenziali Usa. L’accusa è quella di aver rubato le informazioni di 50 milioni di account Facebook americani che sono stati successivamente profilati per ricevere un messaggio politico ad hoc. Il tutto a partire da database ottenuti attraverso un intermediario che si era presentato ai responsabili del social network come un accademico intento a portare avanti i propri studi. Una violazione che potrebbe essere stata utilizzata anche durante la campagna per il referendum sulla Brexit.
Dietro Ofo, il servizio di bike sharing free flaw attivo a Milano, c’è un gigante come Alibaba, interessato ai dati di migliaia di ciclisti urbani che ogni giorno utilizzano le bici gialle per spostarsi: dove vanno? Quanto pedalano? Si fermano a fare shopping? Tutte informazioni che permettono una migliore efficienza nel piazzare i propri prodotti ai giusti consumatori. Quelli veramente interessati
Al di là del singolo caso, non è la politica a controllare i dati. Piuttosto, secondo un analisi dell’Osservatorio sui big data del Politecnico di Milano, le banche (28%), l’industria (24%) e le società di telecomunicazione (14%). A farla da padrona nel campo dei big data analytics, poi, sono le grandi aziende (87% della spesa complessiva) piuttosto che le Pmi (con investimenti comunque in crescita del 18% nel 2016).
Per non parlare dei grandi colossi internazionali che arrivano con le loro reti anche nel nostro Paese dove, nonostante i trend positivi, solo un’azienda su cinque li conosce e li utilizza (fonte Adecco Group). Un esempio? Ofo, il servizio di bike sharing free flaw attivo a Milano. Dietro all’azienda a due ruote c’è un gigante come Alibaba, interessato ai dati di migliaia di ciclisti urbani che ogni giorno utilizzano le bici gialle per spostarsi: dove vanno? Quanto pedalano? Si fermano a fare shopping? Tutte informazioni che permettono una migliore efficienza nel piazzare i propri prodotti ai giusti consumatori. Quelli veramente interessati.
Il mondo dei big data e del loro sfruttamento economico non ha a che fare solo con la vendita. Dalla sanità all’agricoltura, passando per i trasporti e l’urbanistica i dati hanno trovato utilizzi diversi. Uno di questi è quello legato al mondo del lavoro. Ramo assunzioni. Secondo un sondaggio della Society for Human Resource Management, negli Stati Uniti il 71% dei reparti per le risorse umane usa i big data per cercare e selezionare candidati, il 61% per gestire le performance aziendali. Una pratica molte utile per gli screening dei curricula, ma anche per capire quale sia il profilo di cui si ha più bisogno. Sempre nello stesso settore, ramo gestione del personale, ricadeva il paventato braccialetto di Amazon. Un device portatile che avrebbe immesso nella rete aziendale una quantità di dati sulla performance lavorativa del dipendente utili a migliorarla e renderla più efficiente: più pacchi presi, meno tempo sprecato, maggiore redditività.
La stessa catena da fantallenatori: più gol, meno ammonizioni, maggiore punteggio finale. Ve lo ricordate il film Moneyball? L’allenatore seleziona giocatori basandosi solo sulla percentuale che indica il numero delle volte in cui il giocatore conquista una base senza aiuto di penalità. Senza seguire i consigli dei classici osservatori, trovando giocatori con un’alta percentuale, Brand riesce a mettere insieme una squadra con molto più potenziale rispetto a quanto le casse in difficoltà degli Oakland Athletics avrebbero permesso. Per sapere se i dati avevano ragione e se la squadra riuscirà davvero a vincere il campionato, basta guardare il film.