Commercio, per vendere la convenienza non basta più: ora i clienti cercano trasparenza, salute e tracciabilità

I dati lo dimostrano: gli schemi tradizionali si sono rotti. I supermercati sono sempre meno frequentati, mentre crescono gli specializzati e i discount. L'e-commerce è ancora piccolo, ma dal futuro certo. La ricetta per il domani è fatta di prodotti salutistici, controllo della filiera e identità

È un mondo difficile, vita intensa, futuro incerto, diceva una canzone di Tonino Carotone. Lo stesso può dirsi per quanto sta accadendo nel sistema del consumo che sta mettendo sotto pressione le imprese produttrici e distributive, alla ricerca costante di soluzioni per uscire dall’impasse in cui si trovano.

Ci prova anche l’incontro su “Cibo: trasparenza, salute, identità” organizzato da Retail Plaza by Tuttofood all’interno di Seeds and Chips. A condurlo, Davide Pellegrini, docente di Trade & Consumer Marketing presso l’Università di Parma, che ha sollecitato alcuni attori della Distribuzione sul tema delle sfide per un consumo consapevole.

È Romolo De Camillis, retail director Nielsen, a tracciare lo scenario di riferimento di un «momento di grandi cambiamenti e confusione» all’interno del quale individua alcuni elementi di evoluzione. La dinamicità dei consumi, con alcune categorie di prodotti che crescono e altre che diminuiscono nel carrello si confronta con la staticità dei punti vendita, che faticano ad adeguarsi alla velocità del cambiamento dei consumi. «Il rischio di questo disallineamento è evidente: il cliente sceglie punti di vendita diversi», chiosa De Camillis.

Frammentazione di canali e di stili di consumo

Del resto l’omnicanalità, altra mega tendenza ormai assodata almeno da parte del consumatore, dimostra come gli schemi tradizionali si siano rotti e si siano persi i tradizionali modelli di riferimento. La caduta degli ipermercati, la crescita degli specializzati casa e persona e dei discount, questi ultimi oggi al 18% di quota il mercato – ma in molti sono pronti a scommettere che arriveranno al 25% nel giro di cinque anni – sono lì a dimostrare che se prima si sceglieva tra poche alternative distributive, oggi la scelta è ampia. E per la distribuzione significa ancora più complessità.

Ovviamente il convitato di pietra è l’e-commerce, oggi all’1,2%, ma con un sicuro avvenire. Anche perché, come precisa Mario Gasbarrino, amministratore delegato di Unes, che per primo si è appoggiata ad Amazon Prime Now (diventando tra l’altro un caso di studio), «Non c’è una differenza antropologica tra acquirenti italiani e stranieri dell’e-commerce. Se in Italia la quota è ancora modesta, è solo una questione di carenza di offerta».

Oltre ai canali, anche l’offerta di prodotti è molto più frammentata, con performance superiori dei prodotti MDD e dei piccoli produttori. È il risultato del cambiamento degli stili di consumo: dal 2015 al 2017 in Italia 2 milioni di consumatori sono migrati dal mainstream e dai consumi tradizionali verso i due poli che più sono cresciuti, cioè il segmento golden (4,3 milioni di famiglie con una spesa media di 3.780 euro), dalla forte componente di acquisti premium, e low price (4,3 milioni di famiglie con una spesa media di 2.860 euro), per un valore di 6,6 miliardi di euro. In crescita anche il segmento silver, che mescola elementi premium con quelli mainstream.

Identità e trasparenza

«Il retail – afferma De Camillis – deve avere capacità di scegliere le proprie strategie e scegliere che tipo di cliente vuole servire, adattando in maniera più flessibile l’assortimento. La frammentazione e la confusione, che sono destinate a crescere, hanno determinato però alcuni elementi positivi, come la minore banalizzazione dei consumi alimentari. In questo senso la trasparenza, la salute e l’identità diventano driver significativi. Il 56% dei consumatori a livello globale non si fida dei prodotti food industriali».

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