Peccato che Maurizio Crozza non sia più in onda. Perché oltre che sul neonato governo avrebbe molto materiale fresco su uno dei personaggi meglio riusciti nelle ultime stagioni: Vittorio Feltri.
Anche se uno sguardo più attento constata che ormai è vero il contrario: la verità ha superato la fantasia, il vero Feltri è più Crozza di Crozza, perché in pratica è un Feltri che imita Crozza che imita Feltri. E ci gioca non poco.
Chi lo conosce bene, nota infatti che dopo ogni pittoresca uscita – su donne, gay, immigrati, Boschi, sui nipoti fessi che fanno scienze della comunicazione – al direttore di Libero scappa un sorrisetto che fa tanto: “L’ho detta grossa pure ‘sta volta, bene bene”.
“Ma a me cosa me ne frega degli immigrati? Ho 74 anni, abito nella villetta a Bergamo, a Milano sto in via Quadronno”, è la frase con cui Crozza inquadra sempre il suo bersaglio, ed è la summa del personaggio. Forse non a tutti arriva, ma Feltri (lui lui) è auto-ironico. Spiega che non sempre si identifica con le parodie del comico genovese, “ma questo mi diverte ancora di più”. “A un certo punto”, spiega, “ho capito che sono io a imitare Crozza. E non lui a imitare me”. “Anzi, a volte mi arrabbio perché certe battute avrei voluto farle io”. Appunto.
L’ultima “feltrata” è un capolavoro. Alcuni giorni fa, con l’intento di difendere i gay dalle parole del ministro Fontana (“Le famiglie arcobaleno non esistono”), li ha chiamati “fr..i”. Con estrema nonchalance. “Penso che il Ministro Fontana sbagli, perché quella dei fro*i è una realtà e bisogna prenderne atto”, ha esordito in collegamento con Stasera Italia, la nuova trasmissione d’attualità di Rete4 condotta da Marcello Vinonuovo. Stefano Zecchi, che è suo amico, ha faticato non poco nel trattenere una risata (affettuosa). Chiara Geloni, in studio, voleva parlare ma Feltri con un “stai zitta” l’ha silenziata. “Ma sì, io li chiamo fr..i”, ha proseguito il direttore bergamasco, furibondo, “Posso chiamarli ricchi..i, posso chiamarli bus..i.Io non li chiamo gay perché io parlo in italiano e non in inglese!”.
Cosa ne dice del termine “omosessuali”? “Omosessuali è un termine medico che io evito. Parlo il linguaggio della gente, quindi non rompetemi le palle anche sul linguaggio. Parlo come voglio! Io voglio che i fr..i facciano quello che vogliono, basta che non mi rompano i cogl..ni”. Un momento indimenticabile.
È sincero: dai migranti ad Asia Argento, a lui non interessa mai veramente quello di cui parla. Feltri è un agnostico, non crede in Dio e non crede in nulla, le sue non sono battaglie, non fa crociate, non sposa nessuna tesi: “Ma facciano quello che vogliono: a me non me ne frega un ca..o dei fr..i”. Amen.
I feticisti del “Feltri-pensiero” non perdono una puntata della trasmissione – facilmente recuperabile su YouTube – in cui Roberto Poletti lo interroga sui principali fatti della settimana. È qui che Crozza è andato ad attingere gli spunti della sua parodia, da “la Boschi mi fa sangue” a “per me la f..a è il vero patrimonio dell’umanità”. Qui parla di calcio, politica, anche di frivolezze. “Le Olgettine? Io penso che le sc…e di Berlusconi ci hanno anche rotto l’anima, anche se non sono in molti a disporre di un condominio pieno di mignotte, ho avuto anche dell’invidia”. “Il Royal Wedding? Queste cose caramellose mi infastidiscono, a me non frega proprio un bel niente. Una gran puttanata noiosissima”. Sui suoi giornalisti: “Io ne vorrei licenziare sette o otto qui a Libero ma non so come fare? Dovrei molestarli?”.
Nella lunga notte elettorale, quando il direttore di Libero è apparso a Porta Porta, Twitter si è scatenato: “Ma cos’ha?”. “Ha bevuto?”. Uno schiaffo all’ipocrisia e al bon ton.
Non stupisce, dunque, che Vittorio Feltri sia spesso interpellato da quel “garbato” programma dai toni pacati che è la Zanzara, condotto da Giuseppe Cruciani e David Parenzo su Radio 24. Tatticamente, gli telefonano all’ora dell’aperitivo. Non passò inosservata la sua frase sul raccapricciante stupro, da parte di un cittadino senegalese, di una clochard di 75 anni. “Ma come si fa? E’ un atto eroico”, disse.
Che Feltri sia un uomo di spettacolo lo sappiamo da anni. Con lui ospite, lo show è assicurato, sempre che non si alzi prima perché qualcuno lo interrompe, cosa che gli sta più sulle scatole di Luigino Di Maio e del Gay Pride messi insieme. Un paio di anni fa, durante un collegamento con In Onda su La7, sbroccò: “Mi fate venire qui, in periferia, e non mi fate parlare. Cafoni”. E se ne andò.
Indimenticabile la burla che gli fece Scherzi a parte nel 2003: fecero credere al direttore di Libero che nel numero in edicola quel giorno era uscito un suo editoriale in cui faceva una clamorosa retromarcia e si dichiarava comunista (il finto articolo – esilarante – era stato scritto da un complice Renato Farina, allora suo vicedirettore), inneggiando a Che Guevara e Asor Rosa. Apriti cielo.
Nella vecchia redazione del giornale, nato da soli tre anni, telefonò un finto Nanni Moretti per invitarlo entusiasta a un girotondo; Mario Giordano, suo amico, lo chiamò basito per annunciare l’invio di una troupe di Studio Aperto; i suoi giornalisti lo impallinarono per l’improvviso cambio di linea editoriale; un attore – finto lettore arrabbiato – arrivò sotto la sede del giornale e lo minacciò. E lui? Ha mandato tutti a quel paese. Come sempre.