Il rapporto di aprile di Aesvi, l’Associazione editori sviluppatori videogiochi italiani, lo ha illustrato in modo chiaro: il settore dei videogiochi, in Italia, è in forte crescita, e non si può più sottovalutare. Il mercato vale circa 1,5 miliardi. Gli italiani giocano sui pc, sulle console (Playstation, Xbox, Wii), ma anche, sempre più spesso, con i tablet e i cellulari. Si tengono aggiornati su YouTube e sui social ed è sempre più frequente che i genitori giochino con i figli.
A formare coloro che pensano, programmano e creano i videogiochi ci sono corsi universitari come quello in Online game design della Statale di Milano o il master dell’Università di Verona in Computer game development, e ci sono istituti che offrono corsi in programmazione e grafica per videogiochi, come l’accademia italiana videogiochi, sede a Roma, fondata nel 2004 da Luca De Dominicis, che a Linkiesta.it racconta come è iniziata la sua avventura. «Quando abbiamo aperto l’accademia era solo un’operazione di romanticismo e passione, per un settore che in Italia quasi non esisteva». Ai tempi, non c’era neanche l’Aesvi.
«L’esplosione del settore è avvenuta 4-5 anni fa ed è stata davvero stupefacente», spiega il fondatore di Aiv. Già, perché negli ultimi anni i videogiochi anche nel nostro Paese sono usciti dalla loro nicchia, ora le pubblicità si trovano in tv e negli stadi, sdoganando l’immagine dei videogame che prima erano visti solo come roba per ragazzi. «A cos’è dovuto questo successo? La tecnologia è diventata sempre più presente nella vita di tutti i giorni – continua De Dominicis -, 10 anni fa gli smartphone erano appena usciti, ora sono ovunque. I ragazzi, ora, sono diventati davvero nativi digitali». E così, per loro, è naturale non escludere una carriera in questo mondo.
Comprendere e imparare come si crea un videogioco sembra davvero poter essere una buona opportunità per i giovani italiani, visto che – come emerge dai dati di un nuovo sondaggio tra studenti ed ex-studenti dell’Aiv – il tasso di occupazione dei corsi è pari al 70-80% per coloro che decidono di specializzarsi in grafica e arriva al 100% per chi opta per il corso in programmazione
Anche perché videogiochi non sono solo sinonimo intrattenimento. La “gamification”, infatti, si applica anche a settori come la cultura o la biologia. «Qualsiasi museo o parco archeologico può essere reso visitabile, interattivo, e giocabile tramite gli applied games, i cosiddetti ‘giochi seri’, questo potrebbe essere una grande opportunità per valorizzare in maniera innovativa il patrimonio artistico e culturale italiano». In questo modo, i videogiochi diventano un modo per imparare e conoscere.
Di recente, la gamification applicata alla biologia, tramite il gioco Fold it ha dato esiti sorprendenti. «Fold it è un puzzle game in cui chi gioca impara come si sviluppano le proteine umane. Al contempo, il gioco ti sottomette delle proteine ancora irrisolte da parte degli scienziati e se tu, applicando le regole della chimica riesci a risolverle, il programma lo comunica alla comunità scientifica. In questo modo, due risultati ottenuti tramite il gioco sono stati pubblicati su Science e Nature».
Comprendere e imparare come si crea un videogioco sembra davvero poter essere una buona opportunità per i giovani italiani, visto che – come emerge dai dati di un nuovo sondaggio tra studenti ed ex-studenti dell’Aiv – il tasso di occupazione dei corsi è pari al 70-80% per coloro che decidono di specializzarsi in grafica e arriva al 100% per chi opta per il corso in programmazione. Circa un terzo di questi, va a lavorare all’estero. «Questa è sicuramente una grande soddisfazione, ma al contempo bisogna incentivare il mercato locale», spiega De Dominicis. Per questo il prossimo obiettivo di Aiv è quello di diventare un incubatore di impresa per i suoi diplomati, investendo nei migliori alunni per aiutare lo sviluppo di software house indipendenti. «L’Italia deve compiere un altro importante passo in questa direzione. E noi speriamo di contribuire».