Il mondo è un caos? È ora di farne un giardino

L’edizione 2018 di “Manifesta”, a Palermo, riprende il tema del giardino come luogo della coesistenza. Antidoto perfetto a furie e intolleranze. E modo di salvare la storia dall’apocalisse

«Storicamente il giardino è il luogo dell’accumulazione del “meglio”: i migliori frutti, fiori, ortaggi, alberi, la migliore espressione della vita e del pensiero.. Il Giardino Planetario è il luogo dell’assimilazione di tutta una diversità soggetta a evoluzione, oggi controllata dall’attività umana e ritenuta in pericolo». Così viene descritta, ormai vent’anni fa, la metafora del mondo come “Giardino Planetario” da Gilles Clément, imprescindibile personalità poliedrica della cultura del progetto di paesaggio di questo (e dello scorso) secolo. Da oltre due decadi il paesaggista e botanico francese appella l’umanità a farsi giardiniere responsabile del vivente, garante di una diversità da cui tutto e tutti dipendiamo. Ma a chi e come spetta tagliare, potare, rastrellare, innaffiare e concimare un mondo governato da reti invisibili di informazioni, intelligenze algoritmiche, interessi privati transnazionali, trasformazioni ambientali già fuori controllo? Alla sua dodicesima edizione la biennale d’arte Manifesta, di casa olandese e nomade per vocazione, ha chiamato oltre cinquanta artisti e collettivi quando non a rispondere, perlomeno a risvegliare un’intorpidita consapevolezza antropologica sul tema, appunto, “Il Giardino Planetario. Coltivare la coesistenza”.

E a proposito di belle addormentate pronte al risveglio, tutte per una e una per tutte, in questo momento storico Palermo non poteva essere scelta più azzeccata dai quattro Creative Mediator della manifestazione d’arte (Bregtje van der Haak, giornalista e film maker olandese, Andrés Jaque, architetto e ricercatore spagnolo, Ippolito Pestellini Laparelli, architetto partner dello studio OMA di Rotterdam e Mirjam Varadinis, curatrice svizzera di arti visive) che hanno eletto la metropoli mediterranea a paradigma della complessità contemporanea. Se da un lato infatti, specie a noi bestie turistiche, è ancora facilmente concesso incantarci di fronte all’esotica decadenza di luoghi che il tempo ha reso surreali -eppur perfettamente amalgamati nel vivo tessuto urbano del centro storico-, dall’altro ci si rende presto conto di come la città sia all’inarrestabile riconquista di se stessa.

La stessa forza (privata) di investimento che ha recentemente rimesso in piedi le macerie della “scomparsa amata” casa-palazzo di Tomasi di Lampedusa, frazionandola in patinate residenze, sta travolgendo numerose mega-architetture del centro. Ciò ha permesso al team di Manifesta 12 l’individuazione di una ventina di luoghi d’eccezione, per scelta politica rigorosamente non istituzionali, disponibili al pubblico in quel momento privilegiato di sospensione tra fatiscenza e nuova vita, in cui fino a Novembre rimarranno installati i lavori degli artisti. É il caso del barocco complesso monumentale di Palazzo Butera, acquistato appena due anni fa dal collezionista milanese Massimo Valsecchi e sottoposto ad una riqualificazione dopo anni di rimaneggiamenti disorganici, il neo-gotico Palazzo Forcella-De Seta, proprietà dell’Associazione nazionale costruttori edili che pazientemente ne rinnovano un pezzettino crollato alla volta, o il cinquecentesco Palazzo Ajutamicristo, mezzo della Regione e mezzo privato, mezzo malamente restaurato e mezzo eroico.

in questo momento storico Palermo non poteva essere scelta più azzeccata dai quattro Creative Mediator della manifestazione d’arte che hanno eletto la metropoli mediterranea a paradigma della complessità contemporanea

Uno dei tentacolari tronchi dell’extra-ordinarioFicus macrophylladall’Australia che abita l’orto botanico ha inglobato in sé chissà quanto tempo fa un piedistallo in pietra con tanto di vaso. Pochi passi più in là, enormi bambù dalla Cina, fichi d’India dal Messico, e palme dall’Africa hanno trovato la loro dimora. Il sincretismo culturale che ha fatto optare per Palermo come meta delle ricerche artistiche di Manifesta 12 ha certamente un focus nella storia (fenicia, araba, normanna, sveva, spagnola, austriaca) con particolare attenzione alla mobilità internazionale e ai flussi migratori attuali, ma guarda anche alla natura. Il temaha infatti ispirato installazioni, video, performance, interventi urbani e progetti letterari di artisti di tutto il mondo: erbari di fiori artificiali delle edicole votive, recinti attorno agli agrumi per un microclima emancipato dall’acqua, mappatura degli alberi da frutto in spazi pubblici e privati come risorsa condivisa, pavimentazioni in maioliche di argilla cruda che hanno registrato la naturale caduta dei limoni, alberi-portavoce della memoria collettiva di avvenimenti e personaggi significativi collegano storie umane e natura.

Dopo l’inserimento dell’itinerario Arabo-Normanno nel “Patrimonio Mondiale dell’Umanità” Unesco,Manifesta 12 moltiplica il valore aggiunto dell’elezione del capoluogo siculo a Capitale Italiana della Cultura di quest’anno, per la cui carica il Comune ha ricevuto un milione di euro dal Ministero dei Beni Culturali destinati alla messa a punto di un ambizioso calendario di iniziative ed eventi per questi e i prossimi mesi. Insomma, che siate degli ascetici creativi, intraprendenti mercanti o fans dell’Orchestra Sinfonica Siciliana, è molto probabile che per quest’estate un biglietto aereo per Palermo l’abbiate già acquistato. L’avete capito, al riparo da qualsiasi spauracchio di arti-star, la protagonista di Manifesta 12 è lei, la città. D’altra parte, come il longevissimo Sindaco Leoluca Orlando inopinabilmente ci ha ricordato durante i giorni della vernice a cui è stato, onore al merito, ubiquamente presente -variamente come politico o idolo delle folle-: “Palermo non è soltanto sole e mare, perché noi non siamo pesci”. Tutto vero.

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