«Forse il prossimo film che farò sarà un horror. Un horror comico? Devo ancora decidere, ma non penso, perché l’horror comico è già stato sdoganato. Però l’idea di fare un vero film horror mi stuzzica, ci devo pensare…». Eccolo, il Maccio che non ti aspetti. Quello dedito al lavoro, totalmente assorbito da ciò che fa. Quello che, nonostante la sua nuova serie The Generi sia uscita su Sky da pochissimo, a metà conversazione, serissimo, inizia a rimuginare e a pensare alla prossima meta, al prossimo obiettivo.
Perché proprio l’horror?
È da sempre il genere che più amo, sin da piccolo. Anni fa ho girato anche tre mediometraggi horror. Jason a Chieti, Jason risorge e Jason va all’inferno, tutti ambientati nella mia città. Tutti con lo stesso personaggio, Jason, ispirato a Venerdì 13. E in effetti in The Generi, in cui in ogni puntata ho rivisitato alla mia maniera diversi generi cinematografici, l’episodio horror è venuto particolarmente bene. O almeno, così mi dicono tutti.
Otto episodi, otto generi diversi, e ogni volta nuovi costumi, diverse ambientazioni, spesso cambi di troupe. Dev’essere stata una faticaccia.
Mi sono divertito a girarlo, ma mi sono stancato davvero tanto.
Lo rifaresti?
Tornando indietro replicherei assolutamente, era quello che volevo fare, mi piace sbizzarrirmi. Forse, però, lo farei con dei tempi un po’ più lunghi, con più calma.
In questa nuova serie non compare mai il nome di Maccio Capatonda perché torni ad essere, come recita l’anagrafe, semplicemente Marcello Macchia. Come mai?
Io sono sempre stato Marcello. Mi è stato appioppato il nome Maccio da me stesso, facendo il primo trailer in cui mi chiamavo così. Ma mai avrei pensato che avrebbe potuto diventare mio nome d’arte, neanche lo volevo un nome d’arte. Però mi piace molto giocare con i nomi, è andata così, e ci sta. Credo che quello mi sia rimasto perché è un nome piuttosto generico. Anche perché non penso avrei potuto diventare conosciuto come Padre Maronno.
In molti ti hanno visto come l’erede di Verdone nel raccontare i vizi e le virtù degli italiani, e in alcuni film come Italiano medio, questo tuo intento, in effetti, è dichiarato sin dal titolo. Felice Spagnagatti [il protagonista di The Generi] è il nuovo italiano medio?
Felice Spagnagatti è una persona che vive reclusa in casa perché, grazie alla tecnologia, ha tutto ciò di cui ha bisogno a portata di click. Forse, è più italiano medio lui che “l’italiano medio” protagonista del mio film. In ogni caso, l’obiettivo della serie era quello raccontare una mia ossessione, anzi,la mia massima aspirazione: stare comodo a casa guardando una serie tv o una partita di calcio. In fondo, è quello che desideriamo fare un po’ tutti.
Colpa della tecnologia…
La tecnologia e il bombardamento mediatico sono cause di questa pigrizia mentale ed emotiva. Con le serie tv o i film viviamo emozioni forti e facilmente fruibili, poi però nella vita reale non le proviamo e quando arrivano spesso non siamo più pronti ad affrontarle. Viviamo un po’ tutti in questa contraddizione e io ho provato metterla in scena.
Quindi anche tu sei così?
Io sono il re di quelli così. Di più: non sono solo spettatore della mia vita, ma sto pure dall’altra parte della barricata. Io le serie le faccio per rivedermele, per non stare a pensare ai problemi della vita reale, per non confrontarmi con i problemi più seri vivo in questa bolla in cui al contempo sono produttore e consumatore di contenuti.
Ti giro una delle domande che, in uno degli episodi di The Generi, Nino Frassica fa a Gianfelice Spagnagatti: quanto è importante per te ridere?
Per me ridere è molto importante, anche se, ultimamente, non rido spesso. Lo faccio molto con i miei amici, o quando scrivo e riesco a creare situazione paradossali che mi divertono. Però non sono un cazzone che sta sempre a ridere e scherzare e in più, di recente, non trovo molto che mi fa divertire in tv o al cinema. Sono abbastanza rari i momenti in cui rido.
I personaggi dei tuoi film sono spesso persone che lavorano nel mondo dei media. Penso a Gianfelice Spagnagatti o Mario, entrambi giornalisti, ma anche a Donatella Spruzzone (interpretata da Sabrina Ferilli) di Omicidio all’Italiana. Di solito, però, non sono personaggi particolarmente positivi. Cos’ha il mondo dei media che non ti piace?
In realtà per Gianfelice questo è un giudizio alto. Essendo una persona che sta sempre a casa e non si mette in gioco, ho pensato che la sua vera aspirazione potesse essere quella di fare il giornalista sul campo, uno che si sporca le mani. Per fare il giornalista bisogna informarsi, andare in giro, capire ed esporsi: la professione ideale di una persona che vive la vita veramente, che si informa e lotta.
Eppure immagino che il tuo livello di fiducia nei media non sia molto alto.
È un rapporto di amore e odio. Sono cresciuto davanti alla tv ma poi, si sa, cercando la propria autonomia ci si rivolta contro chi ti ha formato. Per questo mi diverto a prendere in giro i media. Ma lavorando nel mondo dello spettacolo, so benissimo di essere vittima e carnefice del sistema.
Il grottesco e il surreale sono gli aggettivi che forse meglio carratterizzano quello che fai e in questo The Generi non fa eccezione. Pensi che siano semplicemente i codici in cui riesci, per indole, a muoverti in maniera più naturale o credi sia il linguaggio migliore per leggere e capire la realtà che ci circonda?
Di solito cerco di fare le cose che mi vengono più spontanee, anche se mi piace cambiare. Vado un po’ a periodi, dipende dalle mie fissazioni. In ogni caso la mia comicità, quella satira a volta anche amara, non è costruita, mi viene naturale.
Hai dichiarato di essere stato ossessionato dalle donne, in particolare dalle ragazze che popolavano Non è la Rai. Una gag o la verità?
Sì, le guardavo e le desideravo, tutte.
E ora qual è il tuo rapporto con le donne?
Ora per fortuna è normale, sono in in pace con me stesso felicemente fidanzato da quasi 3 anni. E per la prima mi sento davvero innamorato.
E il tuo rapporto con la politica, invece, qual è?
Non nutro molta fiducia nella politica e non la seguo granché, forse perché sono cresciuto in una generazione che stava bene e non aveva particolari problemi. Sinceramente, non capisco quale sia il legame tra la politica e la realtà e quindi faccio fatica. La seguo come una serie o una saga. Roba che passa in tv come tanto altro che però, spesso, è più interessante. In generale, mi piacerebbe che in politica fossero premiate di più le competenza, ma per essere un politico devi prendere dei voti e quindi saperti vendere.
Tra poco più di un mese entrerai negli “anta”: sei contento di ciò che hai fatto finora?
Sono felice, anche se ho una continua paura di fallire. Per questo, continuo a esorcizzarla facendo nuove cose. Penso che la paura di fallire sia ciò che blocca un po’ ognuno di noi rendendoci poco liberi. Eppure bisognerebbe essere felici di fallire, perché spesso da lì si impara e si cresce: quando si vince, non ci si fanno troppe domande. Io sono costantemente insoddisfatto e questo mi spinge a fare sempre meglio, è uno stimolo continuo. Credo che l’insoddisfazione da un lato sia un elemento negativo, ma dall’altro è qualcosa che spinge a migliorare e a crescere di continuo. Sì, credo sia giusto vivere in una sana insoddisfazione.