Dopo il G7 in Canada pare evidente che l’intenzione di Trump sia superare il multilateralismo per trattare con Paesi singoli in modo bilaterale.
Il ragionamento ha due premesse: la prima, errata, è che gli accordi diplomatici (e in particolar modo quelli commerciali) siano un gioco a somma zero, ovvero che il guadagno di una parte sia la perdita di un’altra. Questo è falso: la maggior parte degli accordi diplomatici e commerciali sono disegnati per portare benefici a tutte le parti coinvolte. Semmai alcuni guadagnano più, altri meno, ma solitamente chi ha un posto al tavolo qualcosa ottiene. È l’avere il posto che non è garantito: ne parliamo più sotto. In ogni caso non esiste modo migliore per avere trattative che si risolvono in modo conflittuale che iniziarle come se lo fossero: a quel punto la conflittualità diventa una teoria auto confermante.
La seconda premessa, che è ancora abbastanza vera, è che gli USA, essendo la prima economia mondiale e la più grande potenza militare globale, in un mondo di rapporti bilaterali avrebbero più leva nelle trattative.
Poi c’è stata recentemente una visita di Putin in Austria. Il presidente russo ha ultimamente dichiarato varie volte che la Russia vuole un’Europa forte e unita con cui lavorare, e sarebbe preoccupato da una destabilizzazione alla porta di casa. A Vienna ha lanciato messaggi di collaborazione, facendo però capire che un’ulteriore espansione ad est di UE e NATO non sarebbe gradita. Non una novità sconvolgente. Durante la visita sono stati rinnovati accordi di forniture di energia all’austriaca OMV ed è stata suggerita la capitale alpina come possibile sede per un incontro tra Trump e Putin.
È ora che anche i cosiddetti sovranisti capiscano che in un mondo bilaterale come quello in fieri dopo il G7 uniti si può contare qualcosa a tutti i livelli, divisi si fa la fine dello spezzatino o del gulasch: per chi viene mangiato non c’è molta differenza in quale salsa si viene cucinati
Probabilmente Putin stava cercando di passare alcuni messaggi: a Trump, che è pronto ad un dialogo bilaterale per ottenere il famoso posto al tavolo da cui era stato escluso dopo l’invasione della Crimea; al V4 che non lo deve temere; all’Unione Europea che, in cambio del riconoscimento di una sfera d’influenza che comprende Ucraina e, probabilmente, Georgia appoggerà le sue istanze in sede internazionale; e in ultimo ai russi, che il loro Paese è tornato finalmente importante a livello mondiale. Con un’economia non esattamente florida Putin ha bisogno di mostrare che ottiene qualcosa a livello almeno di prestigio. Allo stesso modo, un’Europa destabilizzata al confine della sua sfera d’influenza vorrebbe dire che la Russia deve guardarsi da troppi fronti, considerata la non remota possibilità di una nuova guerra nel Vecchio Continente in caso di dissoluzione incontrollata dell’Unione: a ovest dalla Germania e dai suoi eventuali alleati, a est dalla Cina, che ha chiare ambizioni almeno regionali che potrebbero confliggere con i suoi territori asiatici e a sud da Georgia e Afghanistan. Decisamente troppo. Inoltre Mosca ha bisogno di un’Europa forte e non ostile anche come contraltare a Turchia, Usa e Cina su questioni sia geopolitiche che economiche. Queste ovviamente non sono per lo più preoccupazioni immediate, ma la diplomazia russa (anche al tempo dell’Unione Sovietica ) ha sempre ragionato a lungo termine.
È ora che anche i cosiddetti sovranisti capiscano che in un mondo bilaterale come quello in fieri dopo il G7 uniti si può contare qualcosa a tutti i livelli, divisi si fa la fine dello spezzatino o del gulasch: per chi viene mangiato non c’è molta differenza in quale salsa si viene cucinati.