Volete vedere la forma tangibile dell’orrore del Sud? Eccovi accontentati

È diventata una categoria architettonica ma è il prodotto di errori storici, sociali, e di una disperazione collettiva sempre più marcata. Parliamo del “non finito meridionale”

Per gentile concessione di Angelo Maggio

Sapete che forma e che colori ha la dapressione sociale? Immaginate una casa in costruzione, le mura senza intonaco, il tondino arrugginito che spuntano dai piloni di cemento, le finestre senza vetri e i mattoni nudi. Ecco cos’è il disincanto di un mondo. Il resto è solo rassegnazione che si è trasformata in indifferenza.

Il “non finito” è un elemento architettonico ormai quasi strutturale del Sud, ed è la rappresentazione del fallimento di aspettative personali e politiche. Negli anni ’60 arrivarono soldi e assistenzialismo e tirarono su le fondamenta e gli scheletri di queste abitazioni. Quelle case dovevano rappresentare un nuovo benessere, un miglioramento delle condizioni. Avrebbero dovuto essere il frutto dei sacrifici dei padri per i figli. Poi le fontanelle hanno smesso di erogare finanziamenti, l’emigrazione è stata massiccia e spesso senza ritorno, fino a che di quel periodo folle non sono rimasti altro che i palazzi incompiuti.

Il Sud è spesso stato un avanguardista nelle cattive pratiche e con il non finito non è stato diverso. Oggi le stesse carcasse di cemento armato e ruggine sono apparse anche in Grecia e in Spagna, come spesso accade però l’Italia ha un rapporto unico con questo fenomeno. “In Spagna gli edifici incompiuti che abbiamo analizzati sono tutti nati come conseguenza della crisi economica”, ci spiegano Igea Troiani, docente di Architettura alla Oxford Brookes University, e Andrew Dawson, docente di Design nello stesso ateneo. “Ad Atene invece le ragioni del non finito sono state legate al ritiro di fondi governativi”.

Gli studi sul non finito portati avanti da Troiani, Dawson e dagli studenti di Architettura sono stati tre; il primo progetto (settembre 2014-maggio 2015), su Atene; il secondo (settembre 2015-maggio 2016) su Madrid; e l’ultimo su Cuba (settembre 2016-maggio 2017). “Volevamo indagare l’attuale modello di sviluppo delle città concentrato tra lo spreco edilizio e la crescente iniquità sociale. Quest’anno stiamo conducendo un nuovo studio su Londra per analizzare il growing divide legato ai costi delle proprietà. Crediamo che il neo liberalismo stia guidando il modo di costruire”, racconta la Troiani.

Ci sono immagini che sono la prova dell’abitudine al brutto del Meridione, ma anche della nazione. Un’indifferenza che la dice lunga sul quel modo unico di affrontare i problemi in Italia: ignorarli. Una mentalità questa che ha portato alla creazione di quel “provvisorio definito” di cui il non finito è solo una rappresentazione tangibile e vistosa

Sandcastel di Markel Redondo ci porta per le vie di alcuni dei sobborghi spagnoli raccontati dalle ricerche della Troiani. Si tratta di palazzine, resort, grattacieli morti prima di prendere vita, ma anche aeroporti e autostrade che non portano da nessuna parte. Secondo una stima sarebbero state 3,4 milioni le case rimaste vuote, incomplete. Si trovano nei dintorni di Cadice, in Andalusia, nella zona di Valencia e anche nei sobborghi di Madrid. Alle stremità della capitale spagnola erano nate delle nuove isole che avrebbero dovuto ospitare dei piccoli quartieri, 4 o 5 stradine di condomini e lampioni ma senza inquilini.

Se vedeste le foto di Soto del Real, cittadina nella comunità di Cadice, capireste il senso di desolazione che questi castelli di sabbia hanno lasciato in questi luoghi. In questa cittadina dovevano essere realizzate 1169 residenze, ci sono tutti i lotti ben predisposti sulla cartina dei progetti. Bene, sono state realmente messe in piedi solo 312 case.
Redondo ha realizzato una prima parte del suo lavoro tra il 2009 e il 2013, in piena crisi, e quest’anno è tornato negli stessi luoghi. Per vedere quale sia la situazione a distanza di quasi dieci anni Ecco cosa ci ha raccontato: “Gli stessi edifici oggi sono più vecchi, abbandonati e dimenticati. Sono il riflesso degli anni precedenti alla crisi del 2008, quando in Spagna si costruiva senza pensare, grazie ai cattivi prestiti delle banche. È una metafora di come ha vissuto la nazione e di come abbia creato questi mostri di mattoni. La maggior parte delle persone non si accorge di loro perché non li vede”.

L’esperienza italiana di non finito è differente, sia per le origini del fenomeno sia per il contesto in cui si è inserita questa realtà architettonica. Il Meridione è il territorio in cui si è instaurata una convivenza pacifica, e per nulla indignata, con il non finito già dagli anni ‘80. Nel caso calabrese, campano, pugliese o laziale, questi orrori in mattoni nudi se ne stanno da decenni accanto alle nostre abitazioni, o magari sono le nostre case. Ci passiamo accanto senza farci troppo caso.

Angelo Maggio, un fotografo calabrese, ha speso gli ultimi anni immortalando questa convivenza tra uomini e macerie. “A San Luca (Rc, ndr) mi sono trovato a fotografare la Confrunta (una manifestazione religiosa) nella piazza del paese, scatto un po’ così alla rinfusa. Guardando le foto trovo questo Cristo con alle spalle uno di paesaggi del non finito. Ho mostrato le foto agli abitanti e loro sono rimasti del tutto indifferenti”.

Ci sono immagini che sono la prova dell’abitudine al brutto del Meridione, ma anche della nazione. Un’indifferenza che la dice lunga sul quel modo unico di affrontare i problemi in Italia: ignorarli

Alcuni degli scatti inseriti da Maggio nel progetto “cementoamato” (qui un bel po’ di fotografie di puro horror edilizio) mostrano questa prossimità tra non finito e vita quotidiana, tra miopia politica e noncuranza cittadina. Ci sono immagini che sono la prova dell’abitudine al brutto del Meridione, ma anche della nazione.

Un’indifferenza che la dice lunga sul quel modo unico di affrontare i problemi in Italia: ignorarli. Una mentalità questa che ha portato alla creazione di quel “provvisorio definito” di cui il non finito è solo una rappresentazione tangibile e vistosa.

“Il problema del non finito non è estetico, ma etico”, sottolinea però Francesco Lesce, ricercatore di Estetica all’Università della Calabria. “Con questo intendo che riguarda le forme di vivere e di abitare, dunque gli usi comuni che si sedimentano in un luogo. Il non finito rappresenta il fallimento del passaggio alla modernità del Sud. È il simbolo delle aspettative di un popolo che ha creduto nella possibilità di progredire. Le case in questo contesto sono state un investimento su un futuro che si credeva migliore e possibile”.

Queste incompiute, queste delusioni visibili sono l’espressione di ciò che non ha funzionato e sono diventate insieme paesaggio e contorno. Le si guarda ormai senza prospettiva né visiva, né esistenziale. Sono primo piano e sfondo della vita di chi le abita

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