Europeisti convinti, di questi tempi se ne vedono pochi. In un clima segnato dalla Brexit e dalla diffidenza diffusa nei confronti della bolla di Bruxelles, mentre in Italia il governo giallo-verde entra nel vivo della legislatura tra gli scetticismi delle istituzioni europee, la bandiera stellata dell’Unione sembra destinata, nei migliori dei casi, a restare ancora a lungo arrotolata attorno alla pertica. Non la pensa così il ventisettenne Andrea Venzon, milanese, di formazione bocconiana, che a marzo del 2017 ha lanciato assieme a due amici francesi e tedeschi il movimento politico paneuropeista Volt. L’organizzazione ha subito raccolto un forte seguito in tutti i Paesi dell’Unione grazie al passaparola e ai social network; l’Italia è il Paese con più iscritti, dislocati su tutto il territorio nazionale – a metà luglio a Bologna lancieranno il loro nuovo partito politico italiano. Volt è il movimento politico più giovane nel suo genere. Con una struttura organizzativa che prende spunto dalla campagna elettorale di Obama e un programma progressista punta a candidarsi alle politiche europee del 2019 con un progetto ambizioso: ricostruire l’europa ripartendo dai giovani e dagli ultimi.
Andrea Venzon, hai fondato Volt l’anno scorso assieme ad altri due coetanei di Francia e Germania. Come e perché nasce il movimento?
L’idea mi è venuta nel periodo del referendum sulla Brexit. Al tempo stavo lavorando come consulente nel settore privato e si prospettava di allacciare rapporti in Uk. Per la prima volta mi accorsi di quanto la politica influiva davvero sulla vita di tutti giorni delle persone e sull’economia degli Stati. A quel punto mi sono detto che forse era davvero il momento di dare vita a qualcosa, che l’Europa stava andando nella direzione sbagliata. Ho condiviso queste mie riflessioni con una ragazza francese e un tedesco. Ci siamo trovati d’accordo e abbiamo deciso di prendere l’iniziativa. Abbiamo iniziato con piccolo gruppi, lanciando il sito e le pagine Facebook proprio nel giorno della Brexit. Abbiamo subito ricevuto centinaia di richieste per diventare volontari.
Vi definite come primo partito progressista paneuropeo. In che modo l’organizzazione assicura al suo interno la partecipazione di tutti gli Stati al progetto?
Siamo presenti in tutti i Paesi dell’Unione Europea, a cui si aggiungono Svizzera e Albania. In Germania, Belgio e Bulgaria sono già stati creati i rispettivi partiti politici [come i tedeschi di Volt Deutschland ndr.], mentre in altri Paesi il movimento è arrivato solo da pochi giorni, come a Cipro. L’organizzazione si basa sull’associazione paneuropea, a cui tutti i gruppi nazionali fanno riferimento, e ai partiti locali. C’è quindi l’assemblea generale che si riunisce più volte all’anno, al cui fianco è presente un board europeo che si occupa degli aspetti decisionali. Infine, per assicurare un pieno accoglimento delle varie istanze locali è stato creato un consiglio regionale. Diamo molta importanza alla collocazione sul territorio: il nostro è un sistema centralizzato, ma che trova la sua forza nella vicinanza ai centri locali.
In Italia dove siete presenti? Esiste già il partito italiano di Volt?
Se in Europa gli iscritti si aggirano sui 5000, l’Italia è il Paese più attivo con circa 1000 persone. Da noi i centri più importanti sono Milano, Bologna e Roma. Siamo però sparsi un po’ per tutta la penisola: ci trovate a Genova, Torino, Trieste, Treviso, Cremona, Forlì, Firenze, Macerata, Napoli, Bari, Enna, Palermo per dirne alcuni. Il 13-14-15 luglio a Bologna lanciamo il nuovo partito politico italiano. La prima sera si terrà un incontro sul tema dei giovani e lavoro, mentre nei giorni successivi si riunirà l’assemblea generale. In realtà l’idea di fondo del progetto è quella di creare un partito transnazionale, ma dato che attualmente non possono esistere per legge, abbiamo deciso di replicare in ogni Stato brand e valori di Volt, riadattati in partiti nazionali e gestiti in maniera pseudo-federale.
Sul vostro sito sono presentate tutte le vostre idee politiche sull’Europa. Quali sono i punti cardine del programma?
Abbiamo deciso di concentrarci su sei priorità, che rappresentano la piattaforma politica a livello europeo. La prima riguarda lo “smart state”: vogliamo Stati più efficienti, che abbiano una gestione più efficiente di sanità, educazione ed istruzione. In poche parole vogliamo portare l’amministrazione e la burocrazia a un livello superiore, facendo anche affidamento alle nuove tecnologie informatiche. Al secondo posto abbiamo scelto di dare spazio a quello che chiamiamo “rinascimento economico”: viviamo in un continente ricco ma che tende ad essere stagnante. Vogliamo mettere in gioco e incrociare le risorse che i Paesi hanno a disposizione. Tutto questo con l’obiettivo primario di aumentare il livello di benessere dei cittadini. La terza priorità riguarda l’uguaglianza sociale: il continente è ricco, ma ci sono fasce di persone svantaggiate, ovunque, non solo in Paesi in crisi come Italia e Grecia; anche nell’est della Germania hanno grossi problemi ad esempio. Al punto quattro troviamo l’equilibrio globale, e quindi l’idea che ci siano trend come il cambiamento climatico e l’emigrazione che l’Europa può gestire solo come realtà unica transnazionale. Segue la partecipazione democratica: anche senza andare all’estremo della democrazia diretta, è sicuramente necessario superare le norme della partecipazione politica rimasta ferma a sessanta anni fa. L’ultimo capitolo, è la nostra sfida +1. È un jolly: a differenza di tutte le precedenti non sarà adattata alle varie realtà locali. La riforma dell’unione europea sarà comune in tutti i Paesi. Si concentrerà sulla revisione del modello attuale di gestione delle istituzioni: via gli sprechi, più potere al parlamento e più vicinanza ai cittadini.
Non siete il primo movimento di riforma dell’Unione. Cosa vi differenzia da un movimento come Diem 25?
Ti faccio degli esempi. Diem 25 è un movimento che nasce fortemente personalizzato, legato all’immagine di Varoufakis. Non è quello il nostro modo di fare politica. Non può funzionare a lungo termine. Volt non ha un’unica faccia, abbiamo tanti leader. Mentre Diem 25 strizza l’occhio alla sinistra radicale noi ci collochiamo in uno spettro più moderato. Infine, Diem 25 ha rinunciato al carattere transnazionale del movimento. Si sta aggregando a partiti esistenti, e ciò non può funzionare se vuoi far sentire i cittadini davvero vicini all’Europa. Il nostro punto di forza sarà connettere il livello europeo a quello locale. Abbiamo voluto esportare il modello americano nel vecchio continente: Diem 25, per espandersi, ha rinunciato a questa idea.
Se in Europa gli iscritti si aggirano sui 5000, l’Italia è il Paese più attivo con circa 1000 persone. Il 13-14-15 luglio a Bologna lanciamo il nuovo partito politico italiano. La prima sera si terrà un incontro sul tema dei giovani e lavoro, mentre nei giorni successivi si riunirà l’assemblea generale. In realtà l’idea di fondo del progetto è quella di creare un partito transnazionale, ma dato che attualmente non possono esistere per legge, abbiamo deciso di replicare in ogni Stato brand e valori di Volt, riadattati in partiti nazionali e gestiti in maniera pseudo-federale.
Essenzialmente siete una forza progressista, liberal si direbbe. Nascete fuori dalla politica, venite dal mondo del privato e delle ONG: non rischiate di rimanere estranei alla maggior parte dei giovani europei, quelli con un capitale culturale e sociale meno elevato del vostro? Come pensate di risolvere questo problema?
In realtà, questa è stata la prima cosa a cui abbiamo pensato: come rendere l’esperienza inclusiva e togliere dalla testa delle persone questa idea della politica di palazzo e dei tecnocrati. La soluzione, per noi, è quella di essere ben collocati localmente. Abbiamo adottato la stessa strategia che ha permesso a Obama di vincere le elezioni, ovvero quella di creare moltissimi team locali che ogni settimana si incontrano, discutono, e coinvolgono altre persone. Non vogliamo restare legati solo ai circoli universitari. In Italia ci sono molti team dislocati in zone di provincia: non siamo quelli di zona 1 a Milano, ci trovate sparsi per tutto il territorio nazionale. Infatti noi non vogliamo focalizzarci esclusivamente su temi europei, ma anche e soprattutto su quelli locali. Ad esempio, in Spagna ad A Coruña un nostro partito partecipa alle elezioni municipali, e lo stesso accadrà a Bruxelles ad ottobre.
Avete detto che non volete apparentarvi con nessun partito politico, ma le vostre idee sembrano più vicine a quelle del Partito Democratico che a quelle degli altri partiti…
Se prendiamo l’esempio italiano certamente siamo più vicini a +Europa e al Pd che a Lega e 5Stelle. Ma ci sono delle differenze: noi abbiamo messo l’accento sui giovani e su grandi temi come quello del cambiamento climatico, argomenti assolutamente dimenticati da +Europa. La Bonino aveva un messaggio molto più elitario, non destinato ad una base larga. Comunque è sempre meglio un partito che crede nell’Europa rispetto ad uno che la vuole demolire.
Siete tutti giovani e la maggior parte di voi non viene dal mondo della politica. Come potete assicurare ai vostri futuri elettori che vi farete valere nei tavoli che contano?
È vero, l’età media di Volt è di 33-34 anni, e il 70% di noi non ha mai fatto politica. In noi confluiscono esperienze del settore privato, del pubblico e delle ONG. I nostri pregressi ci hanno permesso di mettere insieme un’organizzazione estremamente efficiente. Sul piano politico però non restiamo scoperti. A livello europeo abbiamo un circolo di esperti che ci esprimono i loro consigli. Parliamo di ex parlamentari o politici europei che si mettono in contatto con noi, anche se per il momento non stiamo puntando su partiti e volti noti proprio per non tradire la natura del progetto. La cosa più importante è il consenso nel lungo termine, non bruciarsi subito. Per quanto riguarda programmi e proposte abbiamo circa trecento persone che si sono impegnate a scrivere le proposte politiche, e a giugno pubblicheremo la nostra piattaforma politica condivisa. All’interno mancano ancora gli aspetti meramente legislativi e le coperture; di quello si occuperanno i team nazionali.
Non vogliamo restare legati solo ai circoli universitari. In Italia ci sono molti team dislocati in zone di provincia: non siamo quelli di zona 1 a Milano, ci trovate sparsi per tutto il territorio nazionale. Infatti noi non vogliamo focalizzarci esclusivamente su temi europei, ma anche e soprattutto su quelli locali
Che rapporto c’è tra voi e il Movimento Federalista Europeo?
Collaboriamo con loro, ma noi abbiamo un’agenda non esclusivamente europea bensì anche nazionale e locale. Noi vogliamo fare politica e correre per le elezioni, costruire un sostegno elettorale e avere un peso politico. Loro sono più un movimento di opinione, che porta persone, soprattutto giovani, ad interessarsi ai grandi temi dell’Unione.
Qual è il segreto della vostra comunicazione?
Abbiamo due canali preferenziali. Prima di tutto i social. Gestiamo circa 40 pagine tra nazionali e locali. Poi, il passaparola è una forma di comunicazione potentissima, che ti permette di arrivare ovunque. Un esempio? Il 26 maggio c’è stato un evento a Parigi con 200 membri da tutta Europa: il comunicato stampa è stato ripreso dall’Ansa, ma anche da siti locali come Sicilia.it e la Gazzetta di Parma.
Un movimento del genere non si sostiene da solo. Dove attingete per i vostri finanziamenti?
La maggior parte del denaro, decine di migliaia di euro, è stato raccolto attraverso crowdfunding. Ci sono poi molte fondazioni interessate a finanziarci, ma con molte di queste stiamo ancora trattando. Quando arriverà il momento delle elezioni faremo delle campagne mirate e costose, perché la politica costa. Assumeremo un team dopo l’estate, e rivedremo la questione dei finanziamenti.
La prima azione da mettere in atto è la riforma del parlamento, fino a quando non c’è quella non si può andare avanti. La seconda è sbloccare le liste transnazionali: uniformare le richieste legislative per partecipare alle elezioni come realtà politica unica. Attualmente è complicato muoversi unitariamente, per esempio spostare fondi tra le varie organizzazioni nazionali è molto difficile.
Una volta giunti in parlamento, qual è la prima azione che mettereste in atto?
Te ne dico due. La prima è la riforma del parlamento, fino a quando non c’è quella non si può andare avanti. La seconda è sbloccare le liste transnazionali: uniformare le richieste legislative per partecipare alle elezioni come realtà politica unica. Attualmente è complicato muoversi unitariamente, per esempio spostare fondi tra le varie organizzazioni nazionali è molto difficile.
Insomma, la priorità è una riforma strutturale?
Sì, dopo quella si può davvero partire per ricostruire l’Europa.