Vuoto democratico: così il Pd è diventato il nulla politico (e i suoi leader figurine sbiadite)

Dopo la disfatta della sinistra nelle roccaforti emiliane e toscane qualcuno dovrebbe prendersi la responsabilità di una tragedia simile. E invece che succede? Oliviero Toscani propone una bella foto di gruppo per ripartire dalle solite facce (ormai spazzate via dal tempo)

VINCENZO PINTO / AFP

La Sinistra ha fatto “splash” o forse addirittura “crash”. È accaduto perfino nei luoghi dove il suo pervicace popolo di riferimento riteneva che il partito dovesse sempre e comunque reggere. Fiori, frutti, città, regioni dove in molti pensavano che il “radicamento” fosse ormai assoluto, dna culturale davvero incancellabile, inscalfibile, sangue del suo sangue, nervi dei suoi nervi, come nella canzone dei nuovi partigiani eroi, e invece…

Invece di fronte a un simile precipizio, il primo atto pubblico della sinistra stessa, sicuramente da parte dei suoi testimoni apicali, dovrebbe contemplare lo scioglimento immediato dei partiti e dei movimenti che fino a oggi ne hanno, assai degnamente, rappresentato il lavorio infaticabile nella prospettiva della disfatta infine conseguita, raggiunta, come definitivo ammazzacaffè senza possibile ritorno, il Partito Democratico e magari, a seguire, anche il suo “beauty-case” ufficioso, Liberi e Uguali. Che insomma si guardino tutti rispettivamente in faccia mentre compilano, a vicenda l’uno per l’altro, il proprio foglio di via politico obbligatorio, cui far seguire un doveroso, sebbene prosaico, “amen” per ciò che è stato.

Proprio così, se è vero che fino a qualche anno addietro ancora, paradossalmente, si parlava dei succedanei del Pci, – ossia Pds, Ds, Pd – come una sorta di “Lega Centro”, intoccabile, forte delle proprie rendite di posizione conquistate nei decenni, non c’era schermata post-elettorale da approfondimento di telegiornale, perfino nei momenti peggiori di tracollo nazionale, che non mostrasse lo stivale comunque pezzato di rosso nella sua Dorsale Appenninica, il colore televisivo-segnaletico, più che allegorico, del centro sinistra.

Di fronte a quel prospetto, il mite, il paziente, meglio, il Sisifo, il Giobbe, la Penelope di sinistra potevano comunque sospirare il sentimento della cosiddetta tenuta, ciò che verrà perfino detto “zoccolo duro”, certamente in senso di tradizione storica, tra memoria delle prime eroiche società di mutuo soccorso cooperativo e ricordo resistenziale, tra “Metello” di Vasco Pratolini e “Bube” di Carlo Cassola. Tutto questo adesso ha cessato d’avere luogo e perfino sogno nei sondaggi, anche le roccaforti storiche, l’Emilia e la Toscana, sono in mano ad altri, agli estranei, a chi detestava far la spesa alla Coop, e servirà poco parlare di “barbari”, raccontarsi che dopo di noi certamente il diluvio, la Esselunga.

Invece di fronte a un simile precipizio, il primo atto pubblico della sinistra stessa, sicuramente da parte dei suoi testimoni apicali, dovrebbe contemplare lo scioglimento immediato dei partiti e dei movimenti che fino a oggi ne hanno, assai degnamente, rappresentato il lavorio infaticabile nella prospettiva della disfatta infine conseguita, raggiunta, come definitivo ammazzacaffè senza possibile ritorno, il Partito Democratico e magari, a seguire, anche il suo “beauty-case” ufficioso, Liberi e Uguali

Così lo stato esatto delle cose. E tuttavia, immagino già che da parte degli sconfitti, come accade sempre a sinistra in queste circostanze estreme, si stia lavorando a sollevare il dispositivo rassicurante psicologico che porta ad attribuire le responsabilità a un altrove cinico e baro e magari anche decisamente fascista, la paranoia del vecchio militante a far da colla in questo modo di travisare la realtà, le sue oscillazioni.

D’altronde, da una psicologia gregaria di sinistra che, sempre di recente, davanti all’avanzata sovranista e identitaria, ha dato l’idea che occorresse difendere, sì, la democrazia dall’orda salviniana degli analfabeti oggettivi, ma anche, e se non soprattutto, garantire la continuità dei contratti in Rai per i Fabio Fazio, e ancora per Concita De Gregorio, Corrado Augias, Bianca Berlinguer, e, perché no, Massimo Recalcati, apprezzato coiffeur lacaniano dei ceti medi riflessivi, ecc., da un simile orgoglioso modo di pensare ed elegantemente agire cosa aspettarsi?

Bene, per amor di lusso, assumo allora per intero sulla mia persona la responsabilità di questo estremo “gong!” elettorale regionale e cittadino, confesso che è solo colpa di chi si è mostrato incapace di mettere in atto la formula della “vocazione maggioritaria”, ossia credere che Veltroni sia davvero uno scrittore, già, ancora stamattina, a latte disastrosamente versato e compiuto, questa veniva evocata dai palafrenieri dem, e tuttavia, diversamente da ciò che suggeriva Oliviero Toscani, in questo suo generoso twitt: “Sono pronto a fare una foto di gruppo a @PaoloGentiloni, @grazianodelrio, @CarloCalenda, @maumartina, @giulianopisapia, @emmabonino (e altri?) per un grande manifesto di resistenza. Questa fotografia sarebbe l’occasione per discutere del grande futuro che ci aspetta. Ci state?”

Diversamente da questa ipotesi iconica per anime già belle adesso bollite, in attesa dei frutti del bondage maggioritario, prospetterei semmai, proprio davanti allo strapiombo della sconfitta, una replica di marca Pd della leggendaria copertina di “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” dei Beatles, che ovviamente comprenda tutti i divi dello recente sfacelo di quel partito, piazzati lì in posa come vera trionfale foto ricordo dell’ecatombe, di più, della Dopostoria, direbbe il poeta.

Diversamente da questa ipotesi iconica per anime già belle adesso bollite, in attesa dei frutti del bondage maggioritario, prospetterei semmai, proprio davanti allo strapiombo della sconfitta, una replica di marca Pd della leggendaria copertina di “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” dei Beatles, che ovviamente comprenda tutti i divi dello recente sfacelo di quel partito, piazzati lì in posa come vera trionfale foto ricordo dell’ecatombe, di più, della Dopostoria, direbbe il poeta

Dunque, già che ci siamo, provo a indicare alcune possibili, imperdibili, sostituzioni, i primi che mi vengono in mente. Bene, per iniziare, vedrei lì bene in doppia versione, al posto del Grasso e del Magro, Napolitano-Ollio mentre, rivolto a Beppe Grillo, pronuncia: “L’unico boom che conosco è quello degli anni Sessanta”, e ancora sempre lui, Napolitano-Stanlio, che, da ministro degli Interni di un ormai remoto governo di centrosinistra, rassicura i Servizi: “Non siamo venuti qui a tirare fuori gli scheletri dagli armadi del Viminale”, e ancora Fassino-Edgar Allan Poe che, sempre a favore di Grillo, emette la sua sentenza: “Se vuole fondare un partito lo faccia, vediamo quanti voti prende”.

Immagino ancora Maria Elena Boschi nell’abito di Mae West davanti a un bancomat di Banca Etruria, e poco lontano Matteo Renzi trasfigurato in Tom Mix, e Veltroni come Fred Astaire, un Veltroni convinto che per mantenere il consenso in Chianti e magari in prospettiva all’Olgiata bastasse far doppiare i suoi cartoni animati da Jovanotti e Topo Gigio. Poi la Serracchiani come Shirley Temple, e Maurizio Martina come Johnny Weissmuller, Tarzan già in carrozzina, Tarzan dei suoi ultimi fotogrammi, e infine Carlo Calenda acconciato come Biancaneve in assenza dei sette nani, un bel Calenda di coccio, un Calenda da giardino di Monti Parioli o Collina Fleming, e Delrio come Marlene Dietrich, e Minniti che in assenza di Tom Mix già assegnato si deve consolare come Sonny Liston, e Zingaretti e Franceschini che intanto litigano su chi debba interpretare Stockausen, e Cuperlo che prova a camuffarsi nel basso tuba lì per terra a sinistra o da Lawrence d’Arabia, e Veltroni ancora che, in un momento di ripensamento, vorrebbe vestire gli abiti di tutti i “Fab Four” insieme e trova Emiliano-Einstein a bloccarlo nell’ingordigia, e infine Marcucci-Karl Marx in attesa di raggiungere le esequie dell’intero gruppo dirigente, Marcucci cui dobbiamo, al foto finish, il seguente twitt testualmente maiuscolo: “IL PD HA PERSO ANCHE SENZA MATTEO RENZI, ORA NON TORNARE A COLTIVARE VOCAZIONE MINORITARIA”. Come dire che si sente come Claretta rispetto al suo Ben. E tanti certamente ne dimentico, compresa la Boldrini e la Fedeli che pure loro volevano essere Shirley Temple, ma, come direbbe Bob Dylan, nel nostro caso sostituito dal geniale e insieme improbabile Rosato-Tyron Power, la risposta “è nel vento”. Lo stesso vento che, passando dal Tirreno all’Adriatico, li ha trascinati tutti via, più che cover dell’ellepì, fotoceramica di un tempo politico ormai trascorso.

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