È vero, Crocifisso Dentello ha il dono di rendersi umanamente e letterariamente antipatico. Lo dico da sua vittima. Mi ha bannato una volta, poi è tornato, poi mi ha nuovamente bannato. E, questo, solo per aver espresso delle riserve sul Pride milanese, dal mio profilo Facebook. Non avevo scritto niente di troppo sconveniente, solamente che a mio avviso si tratta di una mascherata che getta discredito sulla comunità LGBT invece che favorire la sua accettazione. Si tratta in fin dei conti di una tesi sostenuta anche da molti omosessuali. Non aveva gradito ed ero stato eliminato. Pace! La democrazia è anche non gradire la democrazia. Non porto rancore.
Ci sarebbero pure tanti altri suoi atteggiamenti social che vengono messi alla berlina dai lettori, ma questo poco importa. Uno scrittore è la sua scrittura. Dell’identità sessuale, poi, o del modo di fare scostante non mi frega un accidente. Se la vedrà con gli amici con cui va a bere lo Spritz la sera.
Per quel che concerne invece le recenti critiche che gli sono state mosse, con umiltà mi permetterei di dissentire e, a capo chino, avanzare la mia opinione. Ok, Dentello non è Siti, non è Pasolini, non è questo e non è quello. Vero, tutto vero. Ma non è neppure l’ultimo degli ultimi. Onestamente, e per quel che vale, tra i tanti testi che leggo e trovo in circolazione, non mi capita di riscontrare chissà quali picchi di genialità. Ma dirò di più, se Dentello venisse paragonato ai suoi contemporanei, invece che ai grandi nomi di morti e sepolti o agli ultimi sopravvissuti – spesso oramai in disarmo totale –, non mi sento di dire che sfigurerebbe. Al contrario, primeggerebbe. Qualcuno dirà che la cosa è tragica, ma il valore di un autore si misura anche in ragione di ciò che fanno gli altri della sua generazione.