Facebook: i nostri dati saranno al servizio del bene pubblico (ma attenzione alle società di analisi)

Facebook condividerà i dati dei suoi 2,2 miliardi di utenti con un gruppo indipendente di accademici tra cui tre italiani. Si crea un precedente storico: i nostri dati ritornano nelle mani della macchina pubblica con vantaggi per tutti. Ma il caso Crimson Hexagon mina la credibilità del progetto

Il rapporto tra Facebook e i dati dei suoi utenti è sempre stato travagliato. Il limite della privacy, puntualmente valicato. In tempi non sospetti, già nell’ottobre del 2010 era esploso il caso di alcune applicazioni del social network – tra cui tre delle dieci più vendute dell’epoca, ovvero Farmville, Texas HoldEm Poker e FrontierVille (eh, come passa veloce il tempo) – accusate di inviare in modo illegale i dati personali dei loro iscritti ad agenzie pubblicitarie e società di raccolta dati. Per la prima volta ci accorgevamo che la nostra privacy è qualcosa che ci riguarda da vicino, e che ogni nostra traccia lasciata a cuor leggero sulla fanghiglia di internet fa gola alle aziende.

Il resto è noto. Tutta l’attenzione in questi mesi si è spostata sull’infinità querelle del caso Cambridge Analytica, che si amplia ogni giorno di novità scottanti. Alla fine di giugno l’azienda di Zuckerberg ha fatto pervenire un documento di 747 pagine al Congresso Usa, nel quale Facebook spiega di aver garantito a dozzine di società un accesso speciale ai dati degli utenti. Nel frattempo le indagini su Cambridge Analytica si sono intensificate grazie all’entrata in scena di Fbi e Sec – l’autorità americana di vigilanza sui mercati – che si sono unite alle ricerche già avviate dal Dipartimento di Giustizia Usa e dalla Federal Trade Commission.

Sebbene il quadro non sia certo allettante, in realtà una notizia positiva c’è, ed è passata totalmente in secondo piano. Ad aprile è stata infatti annunciata un’importante collaborazione tra Facebook e un gruppo internazionale di ricercatori in ambito universitario. L’organismo indipendente che si occuperà delle analisi è il Social Science One, gruppo che si propone di diffondere un nuovo modello di collaborazione tra accademia e imprenditoria per l’accesso allo studio di dati di proprietà protetti da privacy. Il progetto inaugurale intrapreso con Menlo Park riguarda “gli effetti dei social media sulla democrazia e sulle elezioni” e si baserà sullo studio dei dati degli utenti del social network più seguito.

Ad aprile è stata annunciata un’importante collaborazione tra Facebook e un gruppo internazionale di ricercatori in ambito universitario. L’organismo indipendente che si occuperà delle analisi è il Social Science One, gruppo che si propone di diffondere un nuovo modello di collaborazione tra accademia e imprenditoria per l’accesso allo studio di dati di proprietà protetti da privacy

Come viene spiegato sul sito del gruppo, lo strumento della partnership consente agli accademici di analizzare la mole di informazioni accumulate dall’industria privata in modi responsabili e socialmente vantaggiosi. Allo stesso tempo, garantisce che il pubblico mantenga la propria privacy acquisendo allo stesso tempo il valore sociale dalla ricerca accademica. Le aziende dunque possono arruolare la comunità scientifica per aiutarle a produrre beni sociali, ma proteggendo al contempo le loro posizioni competitive.

Dal punto di vista della privacy degli utenti sembrerebbe che nulla ci sia da temere: le informazioni di qualsiasi set di dati passato a ricercatori esterni verrà rimosso manualmente e nulla uscirà dai server dell’azienda di Zuckerberg. Lo studio inoltre sarà guidato in collaborazione con il Social Science Research Council (SSRC), l’autorità indipendente di studiosi internazionali alla base del progetto. L’SSRC gestirà autonomamente i finanziamenti per la ricerca– provenienti da 7 organizzazioni no profit tra cui la Laura and John Arnold Foundation, Democracy Fund, John S. and James L. Knight Foundation, e la Charles Koch Foundation -, guiderà la peer review e valuterà l’etica nel processo di revisione dei dati, mentre collaborerà con il Social Science One per gestire la ricerca. Inoltre, fa piacere anche constatare che, benché si parli spesso male delle università italiane (anche a buon diritto), sono tre i professori italianiche ritroviamo tra gli esperti dell’SS1: Stefano Iacus dell’Università degli Studi di Milano, Fabio Giglietto, ricercatore di Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi all’Università di Urbino, e Cristian Vaccari, insegnante di Comunicazione politica alla Royal Holloway, University of London.

Questa è in assoluto la prima volta che Menlo Park decide di affidare i dati dei suoi 2,2 miliardi di utenti a dei ricercatori nell’ambito di un progetto di respiro internazionale, le cui conclusioni torneranno utili a tutti i membri della società globalizzata. Questo, che se ne dica, è un momento decisivo per la nostra storia. Finalmente i dati che generiamo ogni giorno attraverso internet possono essere utilizzati non solo da immense multinazionali dell’informatica, ma anche messi a disposizione della macchina pubblica per promuovere ricerche che abbiano ricadute positive per tutta la società.

La strada però è ancora impervia, e questa piccola iniziativa è solo il primo passo. Un mezzo passo falso in realtà. Perché la credibilità di tutto il progetto rischia già di essere messa a repentaglio. Proprio in questi giorni infatti Facebook ha sospeso un’altra società di analisi, la Crimson Hexagon di Boston. Il leader mondiale nell’analisi dei consumatori attraverso lo studio di contenuti provenienti dal web e dai social media è stato accusato dal Wall Street Journal di collaborare sia con il governo degli Stati Uniti che con un’organizzazione no profit russa legata al Cremlino, violando le politiche della piattaforma che non permette l’utilizzo dei dati per scopi di sorveglianza. Non si parla qui di dati raccolti illegalmente, ma si cerca di fare chiarezza su come questi dati, raccolti correttamente da Facebook, siano stati utilizzati.

Questo, che se ne dica, è un momento decisivo per la nostra storia. Finalmente i dati che generiamo ogni giorno attraverso internet possono essere utilizzati non solo da immense multinazionali dell’informatica, ma anche messi a disposizione della macchina pubblica per promuovere ricerche che abbiano ricadute positive per tutta la società

Nelle prossime settimane sapremo qualcosa in più, ma c’è un aspetto di questa storia che è passato totalmente inosservato. L’azienda di Boston è stata fondata nel 2007 da Gary King, direttore del dipartimento di ricerca sui metodi quantitativi per le scienze sociali dell’università Harvard. Ebbene, lo stesso King è uno dei fondatori e co-presidente del Social Science One. Si aprono dunque questioni delicate sul progetto di ricerca su elezioni e democrazia, anche se, come spiegato in precedenza, verranno seguiti dei protocolli molto rigidi per la difesa della privacy.

Malgrado le ultime rivelazioni, non si può certo svilire la portata storica di questa collaborazione tra Menlo Park e il mondo accademico. L’iniziativa ristabilisce la posizione di vantaggio del pubblico sul privato, in questo caso a livello globale. I dati, raccolti in modo più o meno surrettizio dai big del web 2.0, tornano infine a casa dai propri proprietari, portando con sé vantaggi per tutta la popolazione. Questa – perché no – potrebbe diventare una vera e propria prassi, una sorta di tassa che le grandi aziende informatiche sono costrette a pagare per il solo fatto di gestire ogni giorno parte delle nostre vite. Pensiamo per un secondo a Google e alla maxi multa record di 4,3 miliardi di euro comminata dalla Commissione europea per abuso di posizione dominante. Non sarebbe folle pensare che la cessione di dati destinati alla ricerca scientifica possa rientrare nel novero delle sanzioni. Così ci guadagnerebbero davvero tutti. L’insieme fa la forza. Anzi, si fa forza.