In Lituania torna di moda la religione pagana, ma i cristiani del Paese minacciano battaglia

Il ritorno a riti campestri con sacrifici agli dèi non piace a tutti. La questione, oltre che coinvolgere la fede dei lituani, ha anche dei risvolti politici importanti

Nazione indipendente, religione nuova. È il motivo per cui in Lituania è tornato a fiorire il culto Romuva, una credenza pagana che dagli anni ’90 in poi ha conosciuto una diffusione sempre più grande. I lituani si ritrovano in gruppo in occasione delle festività, indossano corone di fiori e celebrano i momenti più significativi dell’anno solare: il giorno più breve e quello più lungo.

“È una cosa carina”, spiega uno degli adepti. “Risveglia il senso della tradizione e ci tiene lontani da culti troppo commerciali”. Al battito lento del tamburo si intonano canti meditativi dedicati alla natura che torna a nascere, una sensazione di tranquillità e gioia scorre ovunque nel momento in cui, come offerta votiva agli dèi, si getta del sale sugli altari. Tutto va bene, tutto tranquillo. O quasi, perché in un Paese al 70% cattolico queste novità non piacciono molto.

La questione, va detto, è anche politica. Dietro alla rinascita Romuva, questo il nome dell’antica religione baltica, c’è Ramunas Karbauskis, miliardario e capo della maggioranza al potere, che con i suoi finanziamenti ha favorito il ritorno della nuova/vecchia religione. Nel suo feudo di Naisiai anche eretto statue dedicate alle divinità del pantheon Romuva e, soprattutto, porta avanti la battaglia per vedere riconosciuto il culto Romuva come religione ufficiale. Questo vorrebbe dire che i matrimoni romuva sarebbero giudicati validi, come ora accade con quelli cristiani, ebraici e islamici. Ma non solo: porterebbe a far coincidere la nuova/vecchia religione con l’identità nazionale del Paese, e questo i cristiani non lo possono accettare.

Messa al bando dagli occupanti sovietici nel 1940, la religione Romuva aveva già conosciuto una sua (breve) rinascita nel 1967, che la vedeva più come strumento di dissidenza che come una reale riscoperta religiosa. Ma la spinta principale avviene negli anni ’90, con la fine dell’Urss. Ora gli adepti sarebbero circa 25mila (in un Paese di circa 3 milioni di abitanti), tutti desiderosi di combattere per vedere riconosciuto il proprio culto come religione ufficiale.

E la battaglia si prepara: da un lato i sostenitori, che parlano di “fonti archeologiche mescolate a resconti trasmessi per via orale”, dall’altro gli oppositori, che la bollano come “religione inventata, una ricostruzione da cima a fondo”. Siamo nel 2018, ma le battaglie di religione non sono scomparse dall’orizzonte.

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