Online in streaming sono disponibili oltre 50 milioni di brani. Eppure finiamo per ascoltare sempre gli stessi. Secondo una ricerca dello studio BuzzAngel Music, il 99,2% degli ascolti è accumulato dal 10% dei brani presenti. Una sorta di abitudine dell’era digitale a cui contribuiscono 176 milioni di utenti di servizi di streaming come Spotify, Deezer, Youtube e Amazon – che nel frattempo alimentano un business da 17,3 miliardi di dollari.
Peccato che, nonostante il mercato continui a crescere per il terzo anno di fila (+8,1%), si sentano le prime note stonate. Che arrivano direttamente dagli utenti. L’Associazione Codici (Centro per i Diritti del Cittadino) ha presentato un esposto all’Agcom sollevando qualche perplessità sull’offerta di abbonamento delle diverse piattaforme: i costi sono quasi totalmente allineati intorno ai 9,99 al mese per la tariffa base e 14,99 per quella premium (con poche sostanziali differenze nel ventaglio di servizi o user experience). Insomma, quello che si definirebbe un “cartello” che, da un lato, priva l’utente di una alternativa valida e, dall’altro, scoraggia l’entrata di player diversi nel mercato.
Quello della concorrenza sembra essere il nuovo inciampo delle piattaforme di streaming musicale. Da quando Spotify è stato fondato nel 2008 ad oggi, le sfide non sono mai mancate: la diffidenza delle case discografiche, la lenta e progressiva apertura in diversi mercati (2011 negli Usa, due anni dopo in Italia), le polemiche con gli artisti per il riconoscimento delle royalty e delle licenze di composizione delle canzoni, il modello di consumo delle canzoni (singoli o album). Ma l’azienda svedese è sempre riuscita a cavarsela, arrivando a raggiungere 75 milioni di clienti e fare il salto in Borsa ad aprile: valutazione di 26,5 miliardi di dollari.
I costi sono quasi totalmente allineati intorno ai 9,99 al mese per la tariffa base e 14,99 per quella premium. Insomma, quello che si definirebbe un “cartello” che priva l’utente di una alternativa valida e scoraggia l’entrata di player diversi nel mercato
Anche se tutto ciò non ha consentito a Spotify di mantenere la vetta della classifica Usa ai danni di Apple Music (che conta circa 20 milioni di utenti negli Stati Uniti). Anche qui 9,99 al mese per la tariffa base (ma 4,99 se sei uno studente). Segno comunque che la domanda di ascolto in streaming non manca e favorisce le performance dell’intero mercato, ora il vero e proprio motore di tutta l’industria: rappresenta il 38,4% dei ricavi totali e la sua crescita ha più che compensato il calo del 5,4% delle entrate fisiche e quello del 20,5% di quelle in download. Non solo, ma l’anno scorso e per la prima volta i ricavi digitali hanno costituito oltre la metà di tutte le entrate (54%).
Numeri che arrivano dopo una serie negativa lunga oltre un decennio: i ricavi del 2017, per esempio, sono pari solo al 68,4% del picco regisistrato nel 1999. Cercare di consolidare la propria posizione, quindi, diventa un’azione logica. Seppur conservativa. In attesa, magari, di prendere la prossima onda tecnologica giusta e svoltare il mercato. Oppure cavalcare quella già esistente e procurarsi un posticino al sole come ha fatto YouTube che ha lanciato anche in Italia il suo servizio di streaming, Music Premium, che consentirà ai più appassionati di accedere a tutti i titoli musicali dell’offerta per 9,99 euro al mese. La ciliegina sulla torta per Google che possono già contare sull’85% di utenti già appassionati di musica che la ascoltano tramite un video.
Per spezzare la monotonia dell’offerta, in attesa del parere dell’Agcom, ci sono diverse alternative. La prima è quella di puntare più in alto e sottoscrivere un abbonamento da 349 euro all’anno con Qobuz. La piattaforma offre 70mila brani fruibili in download illimitato e in versione Hi-Res su un totale di 40 milioni di canzoni. A cui, inoltre, dovete sommare l’acquisto di altra attrezzatura Hi-Fi per ascoltare al meglio la vostra canzone preferita nel formato proposto. La seconda alternativa è darsi al caro e vecchio vinile che negli Usa continua la sua crescita: secondo Nielsen Music, nel primo semestre dell’anno sarebbero stati acquistati 7,6 milioni di vinili. E il trend sembra confermato anche per tutto il 2018 che con ogni probabilità sarà il tredicesimo anno consecutivo di rialzo. Altro che vintage.