Da Cinquantamila.it. La storia raccontata da Giorgio Dell’Arti
• Chieti 17 giugno 1952. Manager. Amministratore delegato Fiat (dalla fine del maggio 2004). «Io non ho mai chiesto un aumento in vita mia. Non so farlo».
• Vita Padre maresciallo dei Carabinieri trasferitosi in Canada dopo la pensione per cominciare una nuova vita (Concezio), madre dalmata (Maria Zuccon), tre lauree (Filosofia, Economia, Giurisprudenza) più un master in Business Administration, «è dottore commercialista (Institute of Chartered Accountants in Canada) dall’85 e procuratore legale e avvocato (nella regione dell’Ontario) dall’87. Ed è sempre in Canada che ha inizio la sua carriera professionale. Nel biennio 1983-85 ha infatti esercitato la professione di dottore commercialista, esperto nell’area fiscale, per la Deloitte & Touche; nei tre anni successivi è stato controller di gruppo e poi director dello sviluppo aziendale presso il Lawson Mardon Group di Toronto per diventare subito dopo vicepresidente esecutivo della Glenex Industries e tra il 1990 e il 1992 vicepresidente per la finanza e chief financial officier alla Auckland Limited. A seguire ha ricoperto a Toronto la carica di vicepresidente per lo sviluppo legale e aziendale, di chief financial officer e di segretario al Lawson Group, acquisito da Alusuisse Lonza nel 1994, il gruppo di Zurigo dove nel 1990 è approdato alla carica di amministratore delegato per poi diventare ad e infine presidente di Lonza Group Ltd» (Rep).
• «Quando ho iniziato l’università, in Canada, ho scelto filosofia. L’ho fatto semplicemente perché sentivo che, in quel momento, era una cosa importante per me. Poi ho continuato studiando tutt’altro e ho fatto prima il commercialista, poi l’avvocato. E ho seguito tante altre strade, passando per la finanza, prima di arrivare a occuparmi di imballaggi, poi di alluminio, di chimica, di biotecnologia, di servizi e oggi di automobili. Non so se la filosofia mi abbia reso un avvocato migliore o mi renda un amministratore delegato migliore. Ma mi ha aperto gli occhi, ha aperto la mia mente ad altro» (Alma Graduate School, Bologna, 7 aprile 2011).
• «Volevo andare alla Nunziatella a fare il carabiniere, l’ufficiale. Poi la storia ha preso un’altra piega» (a Pino Allievi).
• «Nel 2002 passa alla guida della ginevrina Sgs, colosso (36 mila dipendenti) dei sistemi di certificazione che vede fra gli azionisti di controllo la famiglia Agnelli. In Svizzera, Marchionne si costruisce una rete di relazioni che contano. Entra nel consiglio di amministrazione della Serono, il gruppo farmaceutico guidato da un altro emigrante italiano, questa volta di lusso, Ernesto Bertarelli. In Sgs c’è invece Dominique Auburtin, dal 1999 presidente della Worms, ricca provincia parigina degli Agnelli, dai quali nel 2004, all’uscita di Giuseppe Morchio, arriva la chiamata in Fiat» (Luca Piana).
• «Era l’1 giugno 2004 quando, al Centro storico Fiat di Torino, nella stesse sale che pochi giorni prima avevano fatto da contorno alle esequie di Umberto Agnelli, Marchionne, in giacca e cravatta, si presentò alla stampa insieme al nuovo vertice del gruppo Fiat: il presidente Luca di Montezemolo e il vicepresidente John Elkann, all’epoca ventottenne. Le prime parole che Marchionne, allora sconosciuto ai più, pronunciò quel giorno: “Fiat ce la farà; il concetto di squadra è la base su cui creerò la nuova organizzazione; prometto che lavorerò duro, senza polemiche e interessi politici”» (Pierluigi Bonora) [Gio 31/5/2014].
• «Tre giorni prima il cda aveva licenziato Giuseppe Morchio, l’ad che aveva chiesto alla famiglia di diventare presidente. Intorno al feretro di Umberto Agnelli (Losanna, 1º novembre 1934 – Torino, 27 maggio 2004) gli azionisti avevano rifiutato la proposta. E due giorni dopo Morchio se ne era andato: “Sentimmo solo il rumore delle pale del suo elicottero che si allontanava dal Lingotto”, ricorda Gianluigi Gabetti. Sergio Marchionne arriva alla guida della Fiat in questo clima da ultima spiaggia, con l’azienda che perde più di due milioni di euro al giorno e i conti che rimangono a galla grazie al prestito convertendo concesso da una cordata di banche nel 2002, che di lì a poco più di un anno – nel settembre 2005 – avrebbe potenzialmente consegnato le chiavi del Lingotto ai creditori» (Paolo Griseri) [Rep 31/5/2014].
• «Io pago il prezzo di tutti quelli che hanno mangiato al tavolo prima di me» (Salone dell’auto di Detroit, gennaio 2010).
• «Mi ricordo i primi 60 giorni dopo che ero arrivato qui, nel 2004: giravo tutti gli stabilimenti e poi, quando tornavo a Torino, il sabato e la domenica andavo a Mirafiori, senza nessuno, per vedere le docce, gli spogliatoi, la mensa, i cessi. Ho cambiato tutto: come faccio a chiedere un prodotto di qualità agli operai e farli vivere in uno stabilimento così degradato?» (a Ezio Mauro) [Rep 18/1/2011].
• Marchionne ripartì da tre punti cardine: la rinuncia degli Agnelli all’esercizio della put option a General Motors che fece incassare al Lingotto 1,55 miliardi; il convertendo siglato con i maggiori istituti di credito italiani; il controverso swap Ifil Exor che consentì alla dinastia torinese di mantenere il controllo della Fiat. Negli anni seguenti, complice l’ottimo andamento delle vendite sul mercato europeo e il boom delle immatricolazioni in Brasile (dove il Lingotto aveva una leadership sul mercato che tuttavia non era redditizia per le difficoltà intrinseche dell’economia brasiliana), la Fiat nella seconda parte del decennio 2000-2010 fece segnare una notevole ripresa in termini di redditività e di risultati di bilancio. «È il periodo della luna di miele di Marchionne con i sindacati italiani, che vedevano in lui una forma diversa di manager rispetto ai nomi del passato. L’intesa tuttavia non durò a lungo, in quanto il manager arrivato dal Canada si rese conto presto che l’Italia e l’America Latina non potevano sostenere a lungo i conti della casa torinese. È in quei mesi che Marchionne realizzò che il salto di qualità era necessario e non più procrastinabile. Nel dicembre 2008 il manager dichiarò che il settore si stava sempre più globalizzando e che per resistere alla competizione sarebbe stato necessario crescere di stazza, tanto più, spiegò, che solo quei gruppi che riusciranno a fabbricare 6 milioni di automobili l’anno saranno in grado di resistere nel futuro. Nessuno ne era a conoscenza, ma quelle dichiarazioni erano il segnale del colpo che il manager aveva in canna: il 20 gennaio 2009 la Fiat annunciò un accordo con l’amministrazione statunitense per entrare nel capitale di Chrysler. Era una mossa senza ritorno» (Luciano Mondellini) [MF 31/5/2014].
• Nell’aprile del 2009 Marchionne aveva cominciato lunghe e travagliate trattative per l’acquisizione di Chrysler con i sindacati e il governo americani. Si raggiunge un accordo che prevede l’acquisizione da parte del Lingotto del 20% delle azioni Chrysler, in cambio del know how e delle tecnologie torinesi. Nasce il sesto gruppo automobilistico del mondo. L’annuncio viene dato dallo stesso presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Dopo un tentativo fallito di alcuni creditori di Chrysler di bloccare, attraverso la Corte Suprema degli Stati Uniti, la trattativa tra i due gruppi, il 10 giugno 2009 Fiat acquista ufficialmente il 20% di Chrysler, diventando holding controllante di tutto il gruppo statunitense. Nel primo trimestre del 2011 Chrysler torna all’utile e a maggio 2011, a seguito del rifinanziamento del debito e del rimborso da parte di dei prestiti concessi dai governi americano e canadese, Fiat incrementa la propria partecipazione in Chrysler al 46%. A luglio 2011, con l’acquisto delle partecipazioni in Chrysler del Canada e del dipartimento del Tesoro statunitense, sale al 53,5%, al 58,5% nel 2012. Il 1° gennaio 2014 Fiat Group completa l’acquisizione di Chrysler acquisendo il rimanente 41,5% dal Fondo Veba (di proprietà del sindacato metalmeccanico Uaw) salendo al 100%, accordandosi per un esborso di 3,65 miliardi di dollari. 1,75 versati cash e i rimanenti in un maxi dividendo di cui Fiat girerà a Veba la quota relativa al proprio 58,5%.
• «Fondi stimano che i debiti del nuovo gruppo (intorno ai 27 miliardi di euro), a fronte di una liquidità complessiva di una ventina di miliardi di dollari e di un valore d’impresa aggregato di 38 miliardi di dollari (una trentina di miliardi di euro), siano ancora troppo alti rispetto ai margini del gruppo. Il debito, per le agenzie di rating, è sempre a livello spazzatura» (Giorgio Dell’Arti) [Gds 5/1/2014].
• Se il bilancio 2003 di Fiat si era chiuso con una perdita operativa di 500 milioni, un passivo netto di quasi 2 miliardi, un fatturato di 49 miliardi e 162mila dipendenti di cui circa 80mila in Italia (compresi quelli della joint venture nei motori con General Motors); dieci anni dopo le stesse attività – divise ora in due società distinte, Fiat spa e Cnh Industrial – hanno guadagnato 5 miliardi a livello operativo e 2 miliardi di utile netto su un fatturato più che raddoppiato a 112 miliardi, con quasi 300mila dipendenti di cui 81mila nel nostro Paese. Nei dieci bilanci finora firmati da Marchionne c’è un totale di 11,5 miliardi di utili complessivi, di cui 8,5 di competenza di Fiat; due i bilanci in rosso: quello del 2004, con l’ultima pulizia dei conti, e quello del 2009 per effetto della gelata in Europa e sui mercati finanziari. Proprio dall’abilità finanziaria di Marchionne deriva quasi metà degli utili di competenza del periodo, ovvero 4 miliardi di euro: 2 miliardi nel bilancio 2005 con le plusvalenze sullo scioglimento della joint venture con Gm e sulla conversione del prestito bancario; altri 2 miliardi nel bilancio 2011 con la rivalutazione della quota di Chrysler acquisita gratis nel 2009. Per quanto riguarda gli azionisti, in dieci anni il titolo Fiat (compresa dal 2012 Fiat Industrial) ha guadagnato il 174%, un andamento molto simile a quello dell’indice europeo Stoxx del settore auto (+169%). Nel 2003 Fiat Auto vendeva a livello mondiale circa 1,8 milioni di veicoli; dopo una risalita a 2,3 milioni nel 2007 le vendite sono ridiscese nel 2013 al livello di partenza, ma grazie ai 2,6 milioni venduti dalla Chrysler il gruppo si piazza, con 4,4 milioni complessivi, al settimo posto mondiale (Andrea Malan) [S24 1/6/2014].
• «Il cambiamento che Sergio Marchionne ha portato alla Fiat non è però solo nei numeri, ma nelle relazioni industriali e in quelle con la politica. La vera rottura nel campo delle relazioni industriali arriva nell’aprile del 2010, quando Fiat disdice il contratto nazionale è chiede una serie di concessioni ai sindacati come precondizione per investire a Pomigliano nella produzione della nuova Panda. La maggior parte delle sigle sindacali accetta l’accordo, mentre la Fiom è contraria. In due successivi referendum, prima a Pomigliano e poi a Mirafiori, gli operai dicono sì all’intesa. La fabbrica campana produce da fine 2012 la nuova Panda. Lo scontro con la Fiom è proseguito a lungo in fabbrica e nei tribunali, mentre le polemiche sull’accordo interconfederale sulla rappresentanza hanno portato a fine 2011 anche alla decisione di Fiat di uscire da Confindustria. Per quanto riguarda la politica, i rapporti con il Governo sono molto diversi da quelli a cui era abituata la più importante fabbrica italiana. Dopo l’acquisto di Chrysler, l’Italia rappresenta ormai solo l’8% del fatturato di Fiat spa: la nuova Fiat Chrysler Automobiles è un gruppo più americano di Ford: il Nordamerica pesa per quasi metà dei ricavi e la percentuale che sale al 70% contando anche l’America Latina. Non a caso, Torino non ha più chiesto incentivi per risollevare il mercato dell’auto – incentivi che andrebbero ormai in gran parte a vantaggio dei concorrenti» (Andrea Malan) [S24 1/6/2014].
• «Marchionne si è emancipato da alcuni dei peggiori vizi che oggi opprimono la crescita economica in Italia e più in generale nell’Eurozona. Il manager in pullover ha rottamato per esempio una certa inutile verbosità che caratterizza le classi dirigenti italiane. Invece di ricamare in maniera retorica attorno alla presunta “cultura industriale italiana”, ha preferito spiegare che alcune forti discontinuità col passato si sono rese necessarie dopo la crisi mondiale del 2008, ha rivendicato il superamento della concertazione perpetua tra governo, industriali e sindacati. Contratti aziendali e pace sindacale per assecondare le necessità produttive Marchionne li ha conquistati dunque nello scontro frontale con la Fiom-Cgil e grazie ai voti favorevoli dei lavoratori nei suoi stabilimenti. La partnership con Chrysler dall’altra parte dell’Oceano – oltre a garantirgli l’accesso all’enorme mercato americano, ai fondi pubblici di Barack Obama e alla tenacia dei lavoratori di Detroit – gli ha consentito di sfuggire all’attendismo burocratico-brussellese sul settore dell’auto. Non solo: insediarsi dall’altra parte dell’Oceano Atlantico gli ha permesso di lasciarsi in parte alle spalle un “calvinismo che si è sviluppato in Germania in materia di rigore finanziario” e di trovare rifugio negli “Stati Uniti che non hanno seguito questo approccio ma piuttosto hanno stampato soldi”. Questo “calvinismo oggi non ha più spazio in Europa”, ha detto con toni esortativi l’ad di Fiat-Chrysler, sposando piuttosto “l’agenda del presidente del Consiglio Renzi”» (Il Foglio) [Fog 3/6/2014].
• Il problema del gruppo rimane in Italia: nel 2003 Fiat Auto produceva quasi 1 milione di veicoli (974mila), scesi nel 2013 sotto quota 400mila. Il crollo del 50% della domanda di auto, il trasferimento di produzioni all’Est Europa (comune a tutti i costruttori), e il blocco degli investimenti per conservare liquidità hanno inceppato un sistema produttivo che è sopravvissuto grazie all’utilizzo estensivo della Cassa integrazione. La tensione si è acuita nell’aprile 2010, quando fu svelato il cosiddetto piano Fabbrica Italia, che doveva portare a investire 20 miliardi negli impianti italiani ma che infine venne bloccato sopraffatto dalla crisi (Luciano Mondellini) [MF 31/5/2014].
«Ho grande rispetto per gli operai e ho sempre pensato che le tute blu quasi sempre scontino, senza avere responsabilità, le conseguenze degli errori compiuti dai colletti bianchi»
• Il piano presentato da Marchionne ai primi di maggio 2014 a Detroit prevede investimenti (a livello mondiale) per 48 miliardi in 5 anni, di cui 5 per il rilancio dell’Alfa Romeo, che verrebbero spesi interamente in Italia; proprio il marchio del biscione, insieme alla Jeep, è al centro della strategia di espansione che punta a portare le vendite a 7 milioni di unità nel 2018 dai 4,4 milioni dell’anno scorso. L’Italia dovrebbe diventare una piattaforma di esportazione verso i mercati mondiali, primo fra tutti quello americano; solo così potranno essere saturate le fabbriche e potrà essere mantenuta la promessa di riportare al lavoro tutti i dipendenti in Italia [Andrea Malan, S24 1/6/2014].
• Stipendio 2013: 3,6 milioni. Cittadino svizzero (15% di imposizione fiscale). Nel bilancio decennale di Marchionne va considerata la cifra di 250 milioni di euro percepita a titolo di compenso per l’opera prestata (Cnh compresa). Di questa somma fanno parte anche stock options e stock grant senza le quali lo stipendio del decennio è di 56 milioni di euro. Una media di 5,6 milioni all’anno, comparabile con quelle dei vertici di Eni ed Enel. Griseri: «Con una differenza: quale altro manager oggi è più indispensabile di Marchionne nella sua azienda?» [Rep 3/3/2014].
• «Dal 2004 a oggi Marchionne si è trasformato: via giacca e cravatta (salvo rarissime eccezioni) e divisa d’ordinanza all’insegna del nero (pullover prima con zip e poi girocollo, e pantaloni casual) con le variazioni della polo, sempre nera, a maniche lunghe o corte (anche brandizzata Ferrari) nella bella stagione. Marchionne ha così lanciato una moda, quella di presentarsi agli incontri in pullover, scimmiottata poi da altri. “È tutta questione di praticità – la spiegazione del top manager – visto che trascorro molto del mio tempo in volo”. Ma è indubbio che Marchionne, con il suo look casual (qualche anno fa si è fatto crescere anche la barba) abbia voluto distinguersi, come del resto aveva fatto una delle sue icone, Steve Jobs, patron di Apple, noto per i suoi dolcevita rigorosamente neri. Al di là del risanamento di Fiat, della scalata a Chrysler, ma anche delle delusioni vissute in questi anni, per esempio il mancato blitz su Opel, dal 2004 a oggi Marchionne ha collezionato ben nove lauree honoris causa, di cui tre in Italia e sei negli Usa. Nel 2012, la Detroit Free Press , che lo aveva appena eletto “Auto executive dell’anno”, gli dedicò questo titolo sulla prima pagina: “Il generale senza paura”» (Pierluigi Bonora) [Gio 31/5/2014].
• Politica Estimatore influente di Matteo Renzi. Nel 2012 Renzi si era detto «deluso» per come è andato a finire il piano “Fabbrica Italia”. «È il sindaco di una piccola povera città» lo rimproverò l’ad Fiat. Poi hanno fatto pace.
• Amori «Morbosamente geloso della privacy, la sua biografia personale è avara di annotazioni. E la totale idiosincrasia verso qualsiasi forma di mondanità non ha aiutato ad arricchirla. Si sa del padre carabiniere, Concezio. Di una sorella morta giovane. Della famiglia in Svizzera, dove da tempo risiede nel cantone di Zug, e dove tutt’ora abitano la prima moglie Orlandina e i due figli Alessio Giacomo (studente di economia in Canada) e Jonathan Tyler, che frequenta il liceo. Della sua grande passione per la musica classica, immancabile sottofondo di quando sta in ufficio, per il poker, i fiori. Dalla fine del 2012 lo affianca una nuova compagna». La signora, 40enne, si chiama Manuela Battezzato, ed è una dipendente Fiat. Piemontese, laureata in scienze politiche, fa parte dell’ufficio comunicazione del gruppo dalla fine degli anni ’90. Dall’acquisizione di Chrysler del 2009, coordina i rapporti tra l’ufficio stampa del Lingotto e quello di Detroit» (Giovanna Predoni) [Let43 29/10/2012].
• Frasi «Nel nostro paese continuiamo a ripetere che la produttività scende; guardiamo le slide e poi andiamo a cena» (nel 2014 a Trento).
• «La leadership non è anarchia. In una grande azienda chi comanda è solo. La collective guilt, la responsabilità condivisa, non esiste. Io mi sento molte volte solo» (a Dario Cresto-Dina).
• «La lingua italiana è troppo complessa e lenta: per un concetto che in inglese si spiega in due parole, in italiano ne occorrono almeno sei» (a Mario Calabresi).
• «Sono cresciuto parlando un inglese con marcatissimo accento italiano. Ci ho messo più di sei mesi a perderlo, ma sono stati sei mesi persi con le ragazze» (a Calabresi).
• «Ho grande rispetto per gli operai e ho sempre pensato che le tute blu quasi sempre scontino, senza avere responsabilità, le conseguenze degli errori compiuti dai colletti bianchi».
• «Dei miei collaboratori faccio valutazioni continue, ogni giorno do loro i voti. Oggi è otto, domani magari cinque».
• Vizi «Alle 4 sono già al computer». Tabagista accanito da due pacchetti di sigarette al giorno, è passato alla sigaretta elettronica. Appassionato di musica: «Non solo la lirica, l’opera d’obbligo alle prime del Regio di Torino in abito scuro. Lui va dal Concerto di Colonia di Keith Jarrett alla Paper music di Bobby McFerrin, in gioventù anche il “poeta” Fabrizio De Andrè. Ma è anche un “devoto” della Callas, la divina Maria della Casta Diva, per ascoltare la quale ha acquistato in Cina un amplificatore stereo particolare. Ma può accadere di vederlo anche a un concerto di Paolo Conte» (Salvatore Tropea).
• Nel 2007 uscito illeso dall’incidente in cui ha distrutto una Ferrari 599 Gtb Fiorano da 220 mila euro.
• «Cucinare mi rilassa. La mia specialità è il ragù alla bolognese».
• «Non ero mai riuscito a bere vino, ho incominciato a farlo a 43 anni col Brunello che mi ha strutturalmente corrotto».
• Tifo Juventino «da tempi non sospetti». «Avevo un idolo, Omar Sivori, mi faceva impazzire».