La disinformazione online? È un rischio, ma i politici non possono scaricare le colpe sui social

Troll russi avrebbero rilanciato su Twitter contenuti in italiano contro Mattarella. Solo l'ultimo episodio in cui si accusa il web di influenzare l'esito delle urne. Eppure, come una volta per la tv, dare la colpa al mezzo non fa altro che creare scetticismo e deresponsabilizza i veri “colpevoli”

I social network possono influenzare i comportamenti elettorali e dunque il voto delle persone? Nei giorni scorsi due notizie hanno contribuito a rendere il dibattito pubblico intorno a questo tema ancora più vivace e acceso. In primo luogo, secondo quanto pubblicato dal sito americano Fivethirtyeight.com i troll russi, attivi durante la campagna delle elezioni presidenziali in Usa e su cui sta indagando Robert Mueller, avrebbero rilanciato anche contenuti in Italiano. Come è noto, sotto la lente è finita l’Internet Research Agency, un’agenzia di San Pietroburgo che durante la campagna elettorale per le elezioni presidenziali in Usa avrebbe creato profili falsi. Ebbene, secondo alcune indiscrezioni vi sarebbero anche dei tweet in Italiano, in numero esiguo rispetto al totale e peraltro con contenuti non originali, perché si tratterebbe prevalentemente di retweet. L’altra notizia invece, riguarda quello che è accaduto dopo lo scorso 27 maggio, un giorno molto delicato per la politica italiana quando sui social network e in particolare nei trending topic di Twitter c’era l’hashtag #mattarelladimettiti. Nella notte tra il 27 e il 28 maggio sulla piattaforma dai 280 caratteri sono infatti apparsi circa quattrocento account con l’intento ben preciso di sostenere questa posizione. Sono in corso le indagini per cercare di capire, tra le altre cose, quale sia la regia dietro questa operazione, dal momento che i profili sembrano avere una stessa origine. Non è la prima volta che si discute della possibilità che il Web, con i social network in particolare, possa condizionare l’opinione pubblica e addirittura incidere sugli esiti elettorali. L’argomento è stato tirato in ballo dopo la vittoria del leave sul remain del referendum britannico sulla permanenza nell’Unione Europea e a seguito dell’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. Anche durante la campagna per le presidenziali francesi sono state avanzate simili ipotesi e questo accade in pratica ogni volta che vi è una consultazione elettorale. Molti sono i punti oscuri da chiarire, bisogna ad esempio capire chi trae eventualmente vantaggio da operazioni di questo tipo, se vi è una regia e dunque un’ingerenza straniera o meno, ma soprattutto bisogna dimostrare che condurre campagne del genere in Rete possa davvero influenzare il voto democratico di milioni di persone.

Prima di Facebook per gli Italiani vi sono ancora i telegiornali per informarsi. Cambiando l’ordine dei fattori il risultato non cambia, così come in passato non si potevano giustificare le sconfitte elettorali con la Tv, allo stesso modo ora non ci si può appellare ai social network

Su Politico Europe è stato raccolto il parere di Jason Reifler, che ha approfondito l’impatto delle fake news sull’ultima campagna presidenziale americana. Il docente dell’Università di Exeter ha ricordato che non vi sono ancora evidenze scientifiche che dimostrano che la disinformazione online possa determinare un cambiamento nel comportamento degli elettori. Piuttosto fake news et similia contribuiscono a portare nel dibattito pubblico e rendere quindi evidenti posizioni polarizzate ed estreme.

In Italia a finire nel mirino è stato soprattutto Twitter, ma il social network più diffuso è Facebook, come confermano i dati raccolti fino a marzo dall’Osservatorio sulle Comunicazioni dell’Agcom. La piattaforma conta 27,1 milioni di utenti e cresce dell’11% su base annua. Segue Instagram con 15 milioni e un salto in avanti del 22%, mentre Twitter è solo quarto, dopo Linkedin e registra 7,9 milioni di utenti e un aumento dei visitatori unici. In realtà non è da escludere che prima o poi si guardi con sospetto anche alle attività di Facebook come peraltro è stato già ipotizzato nei giorni scorsi ma oltre alle indagini del caso, bisogna ancora una volta dimostrare dapprima il legame diretto tra diffusione di contenuti specifici e influenza sui comportamenti elettorali e dunque, sul voto. Inoltre, se da un lato dal quattordicesimo rapporto Censis sulla comunicazione, presentato lo scorso ottobre, emerge che il 75,2% degli Italiani è su Internet, è anche vero che ancora nel 2017 è la televisione tradizionale e non, a primeggiare con il 95,5% della popolazione. Prima di Facebook per gli Italiani vi sono ancora i telegiornali per informarsi. Cambiando l’ordine dei fattori il risultato non cambia, così come in passato non si potevano giustificare le sconfitte elettorali con la Tv, allo stesso modo ora non ci si può appellare ai social network. Il rischio è alimentare scetticismo nei confronti della tecnologia e deresponsabilizzare chi deve invece cercare di conoscere al meglio strumenti vecchi e nuovi per riavviare un dialogo con le persone usando tutti i mezzi a disposizione.

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