Cultural StereotypeRitratto di un irregolare: John McCain raccontato da David Foster Wallace

Era un repubblicano dalla schiena dritta e, soprattutto, un politico pieno di contraddizioni. Ancora oggi, il ritratto che gli dedicò nel 2000 David Foster Wallace resta uno dei migliori documenti sulla sua vicenda

La morte di John McCain ha generato un fenomeno molto curioso. Non solo il giusto cordoglio bipartisan, con gli avversari di ieri che ricordano oggi la statura di un politico complesso e particolare, ma addirittura il “rimpianto” che porta alcuni liberal e democratici a trattare la perdita di McCain come la perdita di un vero e proprio alleato. È una distorsione cognitiva dovuta allo spostamento a destra e, soprattutto, nella barbarie della politica contemporanea (del resto McCain ha dichiarato di non volere Donald Trump ai suoi funerali) che non deve farci dimenticare che il maverick per eccellenza della politica americana, nonostante ogni tanto appoggiasse riforme e provvedimenti di chiaro stampo democratico e liberal, era soprattutto un conservatore con la schiena dritta: a favore delle armi, molto duro sui temi della giustizia, sempre dalla parte dell’interventismo. Se ogni tanto si schierava dalla parte di quello che anche a noi persone di sinistra dall’altro lato dell’Oceano sembrava essere “la cosa giusta” era per quella tradizione individualista americana di fregarsene bellamente delle party lines e agire per quello che al singolo sembrava giusto. Niente di troppo diverso da quello che fanno sullo schermo del cinema i personaggi di Clint Eastwood dai tempi dell’Ispettore Callaghan in poi, insomma. Non a caso, un altro esempio sublime di maverick conservatore rispettato anche dalla sinistra.

Questo per dire che la realtà è sempre molto più complessa di come appare. Così come i personaggi che abitano l’immaginario di questa Fine della Storia. È tutto molto più complesso, e per capire come mai la morte John McCain abbia suscitato queste reazioni bisogna andare a rileggere le pagine di «Forza, Simba. Sette giorni in Cammino con un anticandidato», il reportage incluso in Considera l’aragosta (Einaudi, 2006) che David Foster Wallace ha dedicato alla campagna elettorale che l’allora senatore condusse nel 2000 per la candidatura repubblicana alla Presidenza degli Stati Uniti contro George W. Bush. Inviato da Rolling Stone a seguire per una settimana la carovana elettorale (e negli Stati Uniti la campagna elettorale è una cosa maledettamente seria: staff di decine di persone che curano ogni aspetto dell’organizzazione, professionisti pagati molto bene per far sì che la macchina funzioni perfettamente e niente sia lasciato al caso. Fantascienza anche in un paese che sta migliorando il suo approccio alla competizione elettorale, come l’Italia), l’autore di Infinite Jest ha modo di interrogarsi sulla natura del personaggio McCain e la sua relazione con la persona McCain. L’uomo dietro la maschera del politico tutto d’un pezzo, che “Dice. Sempre. La Verità”, il soldato che finisce torturato in Vietnam – esperienza che si può leggere in ogni ritratto pubblicato in queste ore e che inevitabilmente segna un prima e un dopo – e che rifiuta di essere liberato per rispettare il Codice e permettere che i soldati catturati prima vengano rilasciati prima (sembra di sentire le parole del colonnello Nathan Jessep – Jack Nicholson – in Codice d’onore: «Noi usiamo parole come onore, codice, fedeltà: usiamo queste parole come spina dorsale di una vita spesa per difendere qualcosa»). Non solo. Foster Wallace si interroga anche sul distacco che la gente, soprattutto i più giovani, prova nei confronti della politica. I tempi di Barack Obama sono ancora lontani, e gli Stati Uniti sono alla ricerca di un leader in grado di ispirare e apparire credibile, non brillanti piazzisti che cercano di venderti qualcosa. Domande che sembrano attuali ancora adesso (forse addirittura di più), e spiegano bene la natura delle reazioni alla morte di McCain. È una conclusione cui arriva anche Foster Wallace: McCain (pur essendo un piazzista, e non un leader) piaceva proprio perché il suo agire fuori dagli schemi del partito repubblicano lo rendeva in qualche modo fico.

«Il motivo per cui John McCain piace a tanti giornalisti del Cammino è semplicemente che lui è un fico. Che non è uno sfigato. A scuola, Clinton era nel consiglio degli studenti e nella banda scolastica, mentre McCain era uno sportivo casinista il cui talento per la baldoria e per il rimorchio sono ancora oggi argomento di ammirata discussione da parte degli ex compagni, uno che si è laureato all’Accademia navale di Annapolis con un punteggio tra i più bassi della sua classe ed è finito nei guai perché con i caccia volava troppo basso e tranciava le linee elettriche e faceva incidenti in continuazione ed era, insomma, quel che si dice un fico»


David Foster Wallace

«È la noia in sé a vanificare la ricerca di risposte» (alla domanda sul perché ai giovani elettori importa così poco della politica) «Di sicuro però una delle ragioni è che la politica non è fica. O diciamo piuttosto che è la gente fica, interessante, viva, a non essere attratta dal processo politico. Ripensiamo a che tipi erano quelli che al liceo si candidavano alle cariche di rappresenta degli studenti: un po’ sfigati, vestiti con troppa cura, ossequiosi verso l’autorità, ambiziosi ma in modo meschino. Ansiosi di partecipare al Gioco. Il tipo di ragazzi che gli altri ragazzi pesterebbero volentieri, se la cosa non sembrasse tanto inutile e noiosa.» scrive Foster Wallace, per poi attaccare su McCain: «Il motivo per cui John McCain piace a tanti giornalisti del Cammino è semplicemente che lui è un fico. Che non è uno sfigato. A scuola, Clinton era nel consiglio degli studenti e nella banda scolastica, mentre McCain era uno sportivo casinista il cui talento per la baldoria e per il rimorchio sono ancora oggi argomento di ammirata discussione da parte degli ex compagni, uno che si è laureato all’Accademia navale di Annapolis con un punteggio tra i più bassi della sua classe ed è finito nei guai perché con i caccia volava troppo basso e tranciava le linee elettriche e faceva incidenti in continuazione ed era, insomma, quel che si dice un fico» (sì, lo so, sembra di leggere un riassunto della trama di Top Gun).

Il ritratto che ne esce è quello di un politico che dice quasi sempre cose terribili – come ogni buon repubblicano americano fieramente conservatore e di destra – ma senza quella patina di esasperato cinismo da competizione elettorale postmoderna. Il John McCain di Foster Wallace è una persona umana vera. Che si nasconde un po’ come riesce (per lo scrittore il vero McCain è rimasto nascosto dentro la memoria lì in Vietnam) ma non ce la fa a apparire una macchina diretta verso il risultato a tutti i costi (tratto del carattere che emerge pure dal trattamento che gli riserva l’interpretazione di Ed Harris nel biopic Game Change del 2012), anni luce lontano dalla dabbenaggine strumentale di Donald Trump ma anche dalla luce ispirata di Barack Obama. Insomma, un tentativo di rendere più umana la politica che ancora oggi può essere utile per capire come funziona quel Gioco. Un modo di trattare l’avversario che oggi, divisi come siamo tra le tribù volte ad annientarsi, permette di capirlo e, quindi, superarlo alzando il livello.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter