Vietare il bikini fuori dalla spiaggia? Inutile, dannoso (e noioso)

Il Comune di Giulianova vieta il due pezzi fuori dalla spiaggia (che è già vietato altrove). Ma è ora di dire che il problema è di ordine estetico, prima che etico

Dopo Riccione, Sorrento, Capri e varie altre mete balneari italiane, anche Giulianova ha fissato la sua ordinanza contro il costume da bagno indossato lontano dalla spiaggia. Pena una bella multa – fino a 500 euro. Oltre alle spiagge sovraffollate, ai materassini a forma di unicorno e ai casotti anni Sessanta, Riccione, Sorrento, Capri e Giulianova hanno in comune anche un’ordinanza ereditata dalla Squadra del buon costume.

Sono arrivate molte lamentele al Sindaco, pare. Bisognerebbe constatare, poi, se i cittadini, mentre scelgono le pesche più mature al supermercato, costretti a guardare Brigitte Bardot in minibikini o Paul Newman in boxer, si lamenterebbero lo stesso. Forse no. O, se quest’inverno fossero capitati nel quartiere di Emily Ratajkowski a NY e l’avessero dovuta ammirare mentre portava a spasso il cagnolino. In lingerie e scarponcini. Molti avrebbero apprezzato, gli invidiosi si sarebbero girati dall’altra parte, gli snob magari avrebbero pensato solo: che cafona.

Allora dite la verità, non volete vedere i turisti ciccioni in costume mentre armeggiate al banco frigo. E nemmeno gli over 60 con la camicia sbottonata perché vi ricordano il vostro incipiente decadimento tissutale. Dite la verità, c’è del razzismo qui. No al bikini per quelli con una massa corporea superiore a x lontano dalla spiaggia ma sì al microbikini della Bardot ovunque.

La battaglia al costume de-localizzato, quindi, non può essere etica (orsù siamo nel 2018), al massimo deve essere estetica. La battaglia estetica, però, non si fa a suon di ordinanze in nome di non si sa quale decoro provinciale, ma a suon di occhiatacce fieramente provinciali e altrettanto funzionali

I primi ad indossare costumi da bagno potrebbero essere stati i greci: sulle pareti delle caverne minoiche del 1600 a.C. ginnaste femminili sfoggiano due pezzi – e non in spiaggia. Con la caduta dell’Impero Romano ascese il pudore: durante il Medioevo, il nuoto era considerato malsano – costume nemmeno in spiaggia. Nel diciottesimo secolo la popolarità delle terme richiese la riesumazione del costume da bagno, ma non uno qualsiasi: per i gentiluomini, maglie di lana sopra le mutande al ginocchio; per le signore, camicie di lana a maniche lunghe con orli in cui erano stati cuciti pesi in modo che l’abito non galleggiasse. Loro sì che erano affascinanti.
Ormai vediamo donne e uomini in costume ovunque, sui cartelloni per strada, nei giornali dal dentista, mentre leggi un articolo sull’universo in espansione. I costumi da bagno sono peggio dell’intimo: a differenza della biancheria non se ne stanno dietro le quinte, non possono beneficiare della carità dei vestiti per rendere il tutto più piacevole. E i triangolini rivelano tutto di una ragazza tranne il nome da nubile di sua madre. Come gli slip maschili, magari bianchi. Il corpo è talmente esposto da far venire la nausea di culi e tette e petti villosi (ah, no, depilati).

La battaglia al costume de-localizzato, quindi, non può essere etica (orsù siamo nel 2018), al massimo deve essere estetica. La battaglia estetica, però, non si fa a suon di ordinanze in nome di non si sa quale decoro provinciale, ma a suon di occhiatacce fieramente provinciali e altrettanto funzionali. Immagina. Sei al bar bevendo una Coca Cola. Entra un uomo con il petto (non) villoso in mostra, inizia a mangiare un cornetto. Tutto il bar si blocca. E lo guarda malissimo. Farebbe più effetto dei 500 euro. Almeno a Giulianova. Non scocciate con leggi morali, limitatevi a guardare male.

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