Con Il secondo sesso, Simone de Beauvoir affranca la donna dallo status di minore che la obbliga a essere l’Altro dall’uomo, senza avere a sua volta il diritto né l’opportunità di costruirsi come Altra. Con veemenza da polemista di razza, Simone de Beauvoir passa in rassegna i ruoli attribuiti dal pensiero maschile alla donna – sposa, madre, prostituta, vecchia – e i relativi attributi – narcisista, innamorata, mistica. Approda, nella parte conclusiva, dal taglio propositivo, alla femme indépendante, che non si accontenta di aver ricevuto una tessera elettorale e qualche libertà di costume, ma che attraverso il lavoro, l’indipendenza economica e la possibilità di autorealizzazione che ne deriva – sino alla liberazione del suo peculiare «genio artistico», zittito dalla Storia – riuscirà a chiudere l’eterno ciclo del vassallaggio e della subalternità al sesso maschile. L’avvenire, allora, sarà aperto.
Simone de Beauvoir (1908 – 1986), scrittrice e filosofa francese, ha rielaborato i temi dell’esistenzialismo sartriano alla luce della questione femminile. Tra le sue opere si ricordano i saggi Per una morale dell’ambiguità (1947), La terza età (1970); i romanzi L’invitata (1943), I mandarini (1954), Una donna spezzata (1967) e la tetralogia autobiografica Memorie di una ragazza per bene (1958), La forza dell’età (1960), La forza delle cose (1963) e A conti fatti (1972).
Da Il secondo sesso, di Simone de Bouvoir (il Saggiatore)
In un certo senso, l’iniziazione sessuale della donna, come quella dell’uomo, comincia dalla più tenera infanzia. C’è un noviziato teorico, e pratico, che prosegue in modo continuo dopo le fasi orale, anale, genitale, fino all’età adulta. Ma le esperienze erotiche della fanciulla non sono un semplice prolungamento delle attività sessuali anteriori; hanno spesso un carattere imprevisto e brutale; costituiscono sempre un avvenimento nuovo, che porta a una rottura col passato. Nel momento in cui le attraversa, tutti i problemi che si pongono alla fanciulla sono riassunti in forma urgente e acuta. In alcuni casi la crisi si risolve facilmente; in altri, tragici, si conclude col suicidio o la follia. Ma sempre, a seconda del modo con cui reagisce, la donna impegna gran parte del suo destino. Tutti gli psichiatri sono d’accordo nel dare un’estrema importanza al suo esordio erotico: esso si ripercuote su tutto il resto della sua vita.
La situazione è a questo riguardo profondamente diversa per l’uomo e per la donna, dal punto di vista biologico, sociale e psicologico. Per l’uomo il passaggio dalla sessualità infantile alla maturità è relativamente semplice: l’oggettivazione del piacere erotico invece di essere realizzato nella sua presenza immanente è portato su un essere trascendente. L’erezione è l’espressione di questo bisogno; sesso, mani, bocca, con tutto il suo corpo l’uomo si tende verso la compagna, ma rimane al centro di questa attività, come in genere il soggetto di fronte agli oggetti che percepisce e agli strumenti che manipola; si proietta verso l’altro senza perdere la sua autonomia; la carne femminile è per lui una preda e vi coglie le qualità che la sua sensualità pretende da ogni oggetto; certamente, anche se non riesce a farle sue, almeno le stringe; la carezza, il bacio implicano quasi una sconfitta: ma questa stessa sconfitta è uno sprone e una gioia.
L’atto amoroso trova la sua unità nel suo compimento naturale, l’orgasmo. Il coito ha uno scopo fisiologico preciso; con l’eiaculazione il maschio si libera delle secrezioni che gli pesano; dopo il momento di calore, ottiene una completa liberazione che va sempre unita alla voluttà; ma questa non è il solo scopo; difatti è spesso seguita da una delusione: il bisogno è scomparso più che non sia stato soddisfatto. In ogni caso è stato consumato un atto definito e l’uomo si ritrova con un corpo integro: il servizio che ha reso alla specie si è fuso col suo godimento. L’erotismo della donna è molto più complesso e rispecchia la complessità della situazione femminile. Abbiamo visto che invece di integrare le forze specifiche alla sua vita individuale, la femmina è in balìa della specie i cui interessi sono dissociati dalla sue mire personali; questa antinomia raggiunge nella donna il parossismo; si esprime tra l’altro con l’opposizione di due organi: la clitoride e la vagina. Allo stadio infantile, la prima è il centro dell’erotismo femminile: vi sono psichiatri che sostengono l’esistenza di una sensibilità vaginale in alcune bambine, ma si tratta di un’opinione poco fondata; comunque avrebbe solo un’importanza secondaria. Il sistema clitorideo non si modifica nell’età adulta e la donna mantiene per tutta la vita questa autonomia erotica; lo spasimo clitorideo è come l’orgasmo maschile una specie di detumescenza che si ottiene in maniera quasi meccanica; ma è legato solo indirettamente al coito normale, non ha nessuna parte nella procreazione.
La donna è penetrata e fecondata attraverso la vagina che diviene un centro erotico solo con l’intervento del maschio, intervento che costituisce sempre una specie di violazione. Un tempo la donna era strappata al suo universo infantile e gettata nella vita di sposa mediante un ratto reale o simulato; è un atto di violenza che opera in lei il mutamento da fanciulla in donna: si dice anche «togliere» la verginità a una fanciulla, «cogliere» il suo fiore. Questa deflorazione non è il risultato armonioso di un’evoluzione continua, è una brusca rottura col passato, l’inizio di un nuovo ciclo. Il piacere è prodotto da contrazioni della superficie interna della vagina; si risolvono queste in un orgasmo preciso e definitivo? È un punto su cui ancora si discute. I dati anatomici sono molto vaghi. «L’anatomia e la clinica provano abbondantemente che l’interno della vagina è in massima parte privo di innervazione» dice tra l’altro il rapporto Kinsey. «Si possono praticare numerose operazioni chirurgiche nell’interno della vagina senza ricorrere agli anestetici. È stato dimostrato che nell’interno della vagina i nervi sono localizzati in una zona posta nella parete interna vicina alla base della clitoride.»
Tuttavia, oltre lo stimolo di questa zona innervata «la donna può aver coscienza dell’intrusione di un oggetto nella vagina in particolare se i muscoli vaginali sono contratti; ma l’appagamento così ottenuto probabilmente è in rapporto più col tono muscolare che con lo stimolo erotico dei nervi». Tuttavia è fuori dubbio che il piacere vaginale esiste; e anche la masturbazione vaginale – tra le donne adulte – è più diffusa di quanto non dica Kinsey. La reazione vaginale è certamente molto complessa; la si può definire psicofisiologica perché riguarda non solo l’insieme del sistema nervoso ma dipende da tutta la situazione vissuta dal soggetto: esige un consenso profondo di tutto l’individuo; il nuovo ciclo erotico inaugurato col primo coito deve avere, per stabilirsi, una specie di «montaggio» del sistema nervoso, l’elaborazione di una forma che non è ancora abbozzata e che deve sviluppare anche il sistema clitorideo; ci vuole molto tempo perché si realizzi e non sempre riesce a crearsi. È sorprendente che la donna abbia la scelta tra due cicli di cui l’uno perpetua l’indipendenza giovanile, mentre l’altro la vota all’uomo e ai figli. Difatti l’atto sessuale normale rende la donna schiava del maschio e della specie.
È lui – come avviene per quasi tutti gli animali – che aggredisce, mentre lei subisce la sua stretta. Normalmente essa può sempre essere presa dall’uomo, mentre egli può prenderla solo se è in stato di erezione; tranne in caso di ribellione profonda come il vaginismo, che sigilla la donna ancor più dell’imene, il rifiuto femminile può essere superato; anche il vaginismo lascia al maschio il modo di soddisfarsi su un corpo che può essere ridotto in suo potere dalla forza dei muscoli. Poiché essa è oggetto, la sua inerzia non modifica profondamente la sua funzione naturale: tanto che molti uomini non si curano di sapere se la donna che divide con loro il letto desidera il coito o se vi si sottomette soltanto. Si può anche giacere con una morta. Il coito non può avvenire senza il consenso maschile e la soddisfazione del maschio ne è il fine naturale. La fecondazione può effettuarsi anche se la donna non prova nessun godimento.
D’altra parte, la fecondazione non rappresenta affatto per lei il compimento del processo sessuale; al contrario, in questo momento ha inizio il compito che le è imposto dalla specie: si realizza lentamente, penosamente, con la gravidanza, il parto, l’allattamento. Il «destino anatomico» dell’uomo e quello della donna sono dunque profondamente diversi. Altrettanto dicasi della loro situazione morale e sociale. La civiltà patriarcale ha votato la donna alla castità; si riconosce più o meno apertamente il diritto del maschio di soddisfare i desideri sessuali, mentre la donna è relegata nel matrimonio: per essa, l’atto sessuale, se non è santificato dalla legge e dal sacramento, è colpa, rovina, sconfitta, debolezza; ha l’obbligo morale di difendere la sua virtù, il suo onore; se «cede», se «cade», suscita il disprezzo; mentre perfino nel biasimo inflitto al seduttore c’è dell’ammirazione. Dalle civiltà più antiche fino ai nostri giorni, il letto è sempre stato considerato per la donna un «servizio» di cui il maschio la ricompensa con regali o assicurandole il mantenimento: ma servire, significa imporsi un padrone; in questo rapporto non c’è nessuna reciprocità. La struttura del matrimonio come anche l’esistenza delle prostitute ne è la prova: la donna si dà, l’uomo la ricompensa e la prende. Niente proibisce al maschio di dominare, di prendere creature inferiori: gli amori ancillari sono sempre stati tollerati, mentre la borghese che si dà a un autista, a un giardiniere, è socialmente degradata.
Gli americani del Sud così ferocemente razzisti sono sempre stati autorizzati dalle usanze ad avere rapporti con le negre, prima della guerra di Secessione come oggi, e fanno uso di questo diritto con arroganza da padroni: una bianca che avesse avuto rapporti con un negro al tempo della schiavitù sarebbe stata condannata a morte, oggi sarebbe linciata. Per dire che è andato a letto con una donna, l’uomo dice che l’ha «posseduta», che l’ha «avuta»; al contrario, per dire che si è «avuto» qualcuno, si dice talvolta volgarmente di averlo «baciato»; i greci chiamavano Parthenos adémos, vergine non sottomessa, la donna che non aveva conosciuto l’uomo; i romani definivano Messalina invicta perché nessuno dei suoi amanti era riuscito a farla godere. Per l’amante, l’atto amoroso è conquista e vittoria. Se, in un altro uomo, l’erezione appare spesso come una ridicola parodia dell’atto volontario, nel proprio caso ognuno la considera con vanità. Il vocabolario erotico dei maschi si ispira al vocabolario militare: l’amante ha l’impeto del soldato, il suo sesso si tende come un arco, quando eiacula «scarica», è una mitragliatrice, un cannone; parla di attacco, di assalto, di vittoria.
C’è nel suo calore un certo gusto di eroismo. «L’atto generatore consistente nell’occupazione di un essere da parte di un altro essere» scrive Benda «impone, da una parte l’idea di un conquistatore e dall’altra di una cosa conquistata. Quando parlano dei loro rapporti amorosi anche gli uomini più civili si esprimono con le parole conquista, attacco, assalto, assedio, difesa, sconfitta, capitolazione, ricalcando nettamente l’idea dell’amore su quella della guerra. Quest’atto comportando la polluzione di un essere da parte di un altro, impone al polluente una certa fierezza e al polluto, ancorché consenziente, una certa umiliazione.» Quest’ultima frase introduce un nuovo mito: vale a dire che l’uomo infligge alla donna una sozzura. Ma lo sperma non è un escremento; si dice «polluzione notturna», perché in quel caso è distolto dal suo fine naturale; se però il caffè macchia un abito chiaro, non diremo per questo che il caffè è un’immondizia e che insudicia lo stomaco. Altri uomini, viceversa, sostengono che la donna è impura perché è «piena di umori sporchi» e che è lei a insudiciare il maschio. In ogni caso, l’essere colui che insudicia conferisce una superiorità assai equivoca. In realtà, la situazione privilegiata dell’uomo proviene dall’integrazione del suo compito biologicamente aggressivo con la funzione sociale di capo, di padrone; per mezzo di codesta funzione sociale le differenze fisiologiche acquistano il loro senso. Dato che, nel mondo com’è oggi, l’uomo è sovrano, rivendica come segno della propria sovranità la violenza dei suoi desideri; di un uomo dotato di grandi capacità erotiche si dice che è forte, che è potente: epiteti che lo designano in quanto attività e trascendenza; viceversa, essendo la donna oggetto, si dice di lei che è calda o fredda, vale a dire che non può mostrare che qualità passive.
Il clima in cui si sveglia la sessualità femminile è dunque interamente diverso da quello che trova intorno a sé l’adolescente. D’altra parte, nel momento in cui la donna affronta il maschio per la prima volta, il suo atteggiamento erotico è assai complesso. Non è vero, come a volte si è preteso, che la vergine non conosca il desiderio e che sia l’uomo a destarne la sessualità; questo mito tradisce ancora una volta la volontà di potenza del maschio, che vuole che nella sua compagna nulla sia autonomo, nemmeno il desiderio ch’essa prova per lui; in realtà, anche nell’uomo, spesso è il contatto della femmina che suscita il desiderio, e viceversa quasi tutte le vergini invocano febbrilmente le carezze prima ancora che una mano le abbia sfiorate.
«Le mie anche, che poco prima mi davano un’andatura di maschio, divennero tonde e in tutto il mio essere avvertivo un’immensa sensazione di attesa, un richiamo che saliva in me e il cui significato mi era perfino troppo chiaro: non potevo più dormire la notte, mi rivoltavo nel letto, mi agitavo, febbricitante e dolorosa» racconta Isadora Duncan in La mia vita.
Una giovane donna, che ha fatto a Stekel una lunga confessione sulla sua vita, racconta: Cominciai ad avere dei flirt appassionati. Avevo bisogno di un «solletico dei nervi» (sic). Ballavo con ardore e ballando chiudevo gli occhi per abbandonarmi completamente al piacere. Durante il primo anno ballavo con vero ardore. Mi piaceva dormire e dormivo molto e mi masturbavo tutti i giorni, spesso per un’ora intera… Mi masturbavo finché, inondata di sudore, incapace di continuare per la stanchezza, mi addormentavo… Bruciavo e avrei accettato chiunque potesse soddisfarmi. Non cercavo l’individuo, ma l’uomo.
Bisogna piuttosto osservare che il turbamento sessuale della vergine non si traduce in un bisogno preciso: la vergine non sa che cosa vuole. In lei sopravvive l’erotismo aggressivo dell’infanzia; i suoi primi impulsi furono prensili e ha ancora il desiderio di stringere, di afferrare; e vorrebbe che la sua preda fosse dotata di tutte le qualità che attraverso il gusto, l’odorato, il tatto si sono a lei rivelate come valori; dato che la sessualità non è un terreno a se stante, ella prolunga i sogni e le gioie della sensualità; i bambini e gli adolescenti dei due sessi amano ciò che è liscio, cremoso, soffice, elastico: ciò che senza venir meno o scomporsi cede alla pressione, scivola sotto lo sguardo o sotto le dita; come l’uomo, la donna resta incantata dalla calda dolcezza delle dune di sabbia così di frequente paragonate ai suoi seni, dal frusciare della seta, dalla tenerezza piumosa di un cuscino, dal velluto di un fiore o di un frutto; e in specie la giovinetta ama i pallidi colori dei pastelli, il tulle vaporoso e la mussolina. Non ha il gusto delle stoffe ruvide, della ghiaia, delle pietre, dei sapori volenti, degli odori acidi; lei, come i suoi fratelli, ha carezzato e amato prima di ogni altra cosa la carne materna; nel suo narcisismo, nelle esperienze omosessuali diffuse o localizzate, si poneva come soggetto e cercava il possesso di un corpo femminile. Quando affronta il maschio, ha nelle mani, sulle labbra la voglia di impadronirsi di una preda. Ma l’uomo dai muscoli duri, dalla pelle rude e spesso coperta di peli, dall’odore sgradevole, dalle forme volgari, non le pare desiderabile, le ispira ripugnanza. È ciò che esprime Renée Vivien quando scrive:
Je suis femme, je n’ai pas droit à la beauté
… On m’avait condamnée aux laideurs masculines
On m’avait interdit tes cheveux, tes prunelles
Parce que tes cheveux sont longs et pleins d’odeurs.
Se la tendenza prensile, possessiva rimane viva nella donna, è facile che come Renée Vivien si orienti verso l’omosessualità. Oppure si legherà a uomini da poter trattare come donne; così l’eroina di Monsieur Vénus, di Rachilde, si procura un giovane amante da accarezzare con passione, dal quale però non si lascia deflorare. Ci sono donne che amano accarezzare ragazzi di 1314 anni, o addirittura dei bambini, e che si rifiutano all’uomo fatto. Ma abbiamo visto che nella maggioranza delle donne si è sviluppata dall’infanzia una sessualità passiva: la donna vuole essere stretta, accarezzata, e specialmente dopo la pubertà aspira a diventare carne tra le braccia di un uomo; a lui spetta la parte di soggetto; e lei lo sa; «un uomo non ha bisogno di essere bello» le hanno detto e ridetto; non deve cercare in lui le doti inerti di un oggetto, ma la potenza e la forza virile. E perciò la donna è divisa, è trascinata da tendenze opposte: chiede un forte amplesso che la trasformi in cosa che freme e vibra; ma la violenza e la forza sono resistenze ingrate che la urtano. La sua sensualità è localizzata insieme nella pelle e nella mano: le esigenze dell’una e dell’altra divergono in parte. Per quanto le è possibile, sceglie un compromesso; si dà a un uomo virile, ma abbastanza giovane e seducente per essere un oggetto desiderabile; in un bell’adolescente potrà incontrare tutte le attrattive ch’ella desidera; nel Cantico dei Cantici c’è simmetria tra il diletto dello sposo e quello della sposa; lei coglie in lui ciò che lui cerca in lei: la fauna e la flora terrestre, le pietre preziose, i ruscelli, le stelle. Ma ella non ha i mezzi per afferrare codesti tesori; la sua anatomia la condanna a restare impotente e inetta come un eunuco: il desiderio di possesso abortisce per mancanza di un organo nel quale incarnarsi. E l’uomo rifiuta la parte passiva. Spesso d’altra parte le circostanze spingono la giovinetta a farsi preda di un maschio le cui carezze la turbano ma che non le piace guardare o carezzare a sua volta. Non è stato abbastanza detto finora che nella ripugnanza che si mescola in lei al desiderio non c’è soltanto paura dell’aggressività maschile, ma anche un profondo senso di frustrazione: la voluttà deve essere conquistata contro lo slancio spontaneo della sensualità, mentre nell’uomo la gioia del toccare, del vedere si fonde col piacere sessuale propriamente detto.
Gli elementi dell’erotismo passivo sono altrettanto ambigui. Niente è equivoco quanto un contatto. Molti uomini che senza schifo schiacciano con le mani qualunque materia, non sopportano d’essere sfiorati da una bestia o da una verdura; la carne femminile, sfiorata dalla seta, dal velluto, a volte reagisce con un fremito di piacere, a volte si accappona: ricordo un’amica di gioventù alla quale la vista di una pesca dava subito la pelle d’oca; è facile passare dal turbamento alla voglia, dall’irritazione al piacere; le braccia che stringono un corpo possono rappresentare rifugio e protezione, ma insieme imprigionano, soffocano. Nella vergine, tale ambiguità persiste a causa della paradossale situazione in cui si trova: l’organo ove si compirà la sua metamorfosi è sigillato. Il richiamo incerto e ardente della carne è sparso in tutto il suo corpo, salvo che nel luogo stesso in cui il coito avverrà. Nessun organo permette alla vergine di appagare il proprio erotismo attivo; e non ha l’esperienza vissuta di colui che la vota alla passività.
Ma tale passività non è pura inerzia. Affinché la donna sia turbata, occorre che si producano nel suo organismo alcuni fenomeni positivi: innervazione delle zone erogene, rigonfiarsi di tessuti erettili, secrezioni, innalzarsi della temperatura, accelerazione del polso e del respiro. Il desiderio e la voluttà chiedono a lei come al maschio una spesa di energia vitale; principalmente ricettivo, il bisogno femminile è in un certo senso attivo, si manifesta mediante un aumento del tono nervoso e muscolare. Le donne apatiche e languide sono sempre fredde; è un problema aperto il sapere se esistano frigidità costituzionali e certo i fattori psichici giocano, quanto alle capacità erotiche della donna, una parte preponderante; ma è sicuro che le insufficienze fisiologiche, una vitalità impoverita si esprimono tra l’altro con l’indifferenza sessuale. Inversamente, se l’energia vitale va spesa in attività volontaristiche, lo sport per esempio, non s’integra più al bisogno sessuale: le scandinave sono sane, robuste e fredde. Le donne ricche di «temperamento» sono quelle che conciliano il languore e il «fuoco», come le italiane o le spagnole, la cui ardente vitalità è passata, cioè, tutta nella carne. Farsi oggetto, farsi passiva, è tutta un’altra cosa dall’essere un oggetto passivo: un’innamorata non è né una dormiente, né una morta; c’è in lei uno slancio che senza posa cade e senza posa si rinnova: è lo slancio che cade a creare l’incanto in cui si perpetua l’amore. Ma l’equilibrio tra ardore e abbandono è facile da distruggere. Il desiderio maschile è tensione; può invadere un corpo in cui nervi e muscoli siano tesi: atteggiamenti, gesti che richiedano una partecipazione volontaria dell’organismo non lo contrariano e spesso, anzi, gli servono. Ogni sforzo volontario impedisce invece alla carne femminile di partecipare; è per questo che spontaneamente la donna ricusa le forme di coito che richiedono fatica e tensione; cambiamenti troppo bruschi, troppo frequenti di posizione, l’esigere attività in cui entra la coscienza – gesti o parole – rompono l’incantesimo.
La violenza degli istinti scatenati può dare spasimi, contrazioni, tensioni: vi sono donne che graffiano, che mordono, il loro corpo s’inarca, improvvisamente dotato di una forza eccezionale; ma tali fenomeni si producono unicamente quando si raggiunge un certo grado di parossismo, il quale a sua volta è ottenuto solo quando l’assenza di ogni consegna sia fisica che morale permette una concentrazione sessuale di tutta l’energia vivente. Vale a dire che non basta che la fanciulla si lasci fare; docile, languida, assente, non soddisfa né il compagno né se stessa. Un’attiva partecipazione le è chiesta in un’avventura che positivamente non vogliono né il suo vergine corpo, né la sua coscienza ingombra di tabù, di divieti, di pregiudizi, di esigenze. Nelle condizioni che abbiamo descritto si capisce come l’esordio erotico della donna non sia facile. Si è visto come avvenga molto spesso che incidenti sopravvenuti nella prima infanzia o nella giovinezza generino in lei profonde resistenze; queste ultime sono a volte insormontabili; il più delle volte la giovane cerca di passarci sopra, ma nascono allora in lei violenti conflitti. Un’educazione severa, il timore del peccato, il senso di colpa verso la madre creano potenti sbarramenti. La verginità è posta a prezzo così alto in tanti ambienti che perderla fuori di un matrimonio legittimo appare un’autentica catastrofe. La ragazza che cede per trasporto, per sorpresa, ritiene di essersi disonorata. Neanche «la prima notte», che consegna la vergine in mano a un uomo da lei in genere non scelto veramente e che pretende riassumere in qualche ora, o in qualche istante, tutta l’iniziazione sessuale, è un’esperienza facile. In linea generale, ogni «trapasso» dà angoscia a causa del carattere definitivo, irreversibile che ha: diventare donna vuol dire rompere col passato, senza possibilità di revoca; ma è un trapasso più drammatico di ogni altro; non crea soltanto uno iato tra lo ieri e il domani; strappa la giovane donna al mondo immaginario in cui si svolgeva una parte importante della sua esistenza e la getta nel mondo reale. Per analogia con le corride dei tori, Michel Leiris chiama il letto nuziale un «terreno di verità»; e tale espressione ha un significato pieno e temibile solo per la vergine. Durante il periodo del fidanzamento, del flirt, della corte, ella ha continuato a vivere nel suo universo abituale di cerimonie e di sogni; il pretendente parlava un linguaggio romantico o almeno cortese; era ancora possibile ingannarlo. Ma d’improvviso, eccola in preda a veri occhi, afferrata da vere mani; è l’implacabile verità di quegli sguardi e di quegli amplessi che la spaventa.
Tanto il destino anatomico quanto i costumi conferiscono all’uomo il compito d’iniziatore. Senza dubbio, anche per il giovane vergine la prima amante è un’iniziatrice; ma egli possiede un’autonomia erotica che l’erezione mostra chiaramente; la sua amante non fa che dargli nella realtà un oggetto ch’egli già desiderava: un corpo femminile.
La giovane donna ha bisogno che il suo corpo le sia rivelato dall’uomo: ben più radicale è la sua subordinazione. Dalle prime esperienze, l’uomo acquista una dose di attività, di decisione, sia che paghi la compagna di letto, sia che, più o meno sommariamente, la corteggi e la solleciti. Viceversa, nella maggior parte dei casi, la giovane donna è corteggiata e sollecitata; anche se fu lei a provocare per prima l’uomo, è l’uomo che prende in mano i loro rapporti; spesso è più anziano, più esperto e si ammette che sia lui a prendere su di sé la responsabilità di questa avventura, nuova per lei; il desiderio di lui è più aggressivo e imperioso. Amante o marito, è l’uomo a condurla sul letto ove ella non deve far altro che abbandonarsi e obbedire. Anche se lei avesse accettato mentalmente codesta autorità, nel momento in cui deve concretamente subirla, è afferrata dal panico.
Dapprima ha paura di quello sguardo in cui si smarrisce. Il suo pudore le è stato in parte inculcato: ma ha anche radici profonde; uomini e donne, tutti conoscono la vergogna della propria carne; nella sua pura e immobile presenza, nella sua ingiustificata immanenza, la carne sotto lo sguardo altrui esiste come assurda contingenza e tuttavia è se stessa: e si vuole impedirle di esistere per altri; la si vuole negare. Vi sono uomini che affermano non potersi mostrare nudi a una donna che in stato di erezione; infatti, con l’erezione la carne diventa attività, potenza, il sesso non è più un oggetto inerte ma, come la mano e il viso, l’espressione imperiosa di una soggettività. È una delle ragioni per cui il pudore paralizza sempre più le donne; la parte aggressiva che ha l’uomo lo mette in condizione di essere meno guardato; e se lo è, non teme il giudizio dell’amante perché sa ch’ella non esige da lui l’inerzia: piuttosto, i suoi complessi si sposteranno sulla potenza amorosa e sulla capacità di far godere; almeno può difendersi, tentare di vincere la partita. Alla donna non è dato di cambiare la propria carne in volontà: dal momento che non la sottrae più, l’abbandona senza difesa; anche se desidera delle carezze, si ribella all’idea di essere vista e toccata. Molto più che i seni, le natiche sono proliferazioni singolarmente carnali; molte donne adulte mal sopportano di essere viste di schiena, anche quando sono vestite; immaginiamo che resistenze debba vincere un’ingenua innamorata per consentire a mostrarsi. Una Frine non paventa certo gli sguardi maschili; anzi, si denuda con superbia, la sua bellezza la veste. Ma, anche se è bella quanto Frine, una ragazza non lo sa ancora con certezza; non può avere un arrogante orgoglio del suo corpo finché il successo presso gli uomini non abbia confermato la sua giovane vanità. Ed è proprio ciò che la spaventa; l’amante è ancora più temibile di uno sguardo: è un giudice; egli la rivelerà a se stessa nella sua verità; per quanto possa essere presa dalla propria immagine, ogni ragazza nel momento del verdetto maschile dubita di sé; e perciò ella chiede l’oscurità, si nasconde tra le coperte; quando si specchiava ammirandosi, non faceva ancora che sognare: si sognava attraverso occhi d’uomo; ora gli occhi sono presenti: impossibile barare; impossibile lottare: una misteriosa libertà decide e il verdetto è senza appello. Nell’esperienza reale della vita erotica, le ossessioni dell’infanzia e dell’adolescenza stanno finalmente per dissiparsi o per trovare conferma per sempre; molte ragazze soffrono di quei polpacci troppo robusti, di quei seni troppo discreti o pesanti, di quelle anche magre, di quella verruca; oppure temono qualche deformità segreta.
Ogni giovane donna porta in sé ridicoli timori che osa appena confessarsi, dice Stekel. Non si ha l’idea di quante giovanette soffrono per l’ossessione di essere fisicamente anormali e si tormentano in segreto perché non hanno la certezza di avere un corpo costruito secondo le regole. Una ragazza, per esempio, credeva che il suo «orifizio inferiore» non fosse al suo posto. Aveva capito che il rapporto sessuale avvenisse attraverso l’ombelico; ed era infelice perché l’ombelico si era richiuso e lei non poteva affondarvi il dito. Un’altra si credeva ermafrodita. Un’altra ancora pensava di essere deforme e di non poter mai avere rapporti sessuali.
Anche se non sono torturate da simili ossessioni, le spaventa l’idea che certe parti del loro corpo, che prima non esistevano né per loro, né per nessuno, emergano improvvisamente alla luce. Quella forma sconosciuta che la ragazza deve accettare come propria susciterà il disgusto? l’indifferenza? l’ironia? E non può che subire il giudizio del maschio: ormai il gioco è fatto. Perciò l’atteggiamento dell’uomo avrà echi così profondi. L’ardore, la tenerezza di lui possono dare alla donna una fiducia in sé che resisterà a tutte le smentite: fino a ottant’anni si crederà quel fiore, quell’uccello tropicale che una notte ha suscitato il desiderio dell’uomo. Ma se il marito o l’amante sono rozzi, provocano in lei un complesso d’inferiorità su cui a volte si stabilisce una durevole nevrosi; e la ragazza ne proverà un rancore che si tradurrà in una ostinata frigidità. Stekel riferisce a tal proposito esempi impressionanti:
Una signora di trentasei anni soffre da 14 anni di dolori lombari così forti da obbligarla a restare a letto per diverse settimane… La prima volta che ha provato questo dolore così forte è stata nella notte di nozze. Durante la deflorazione, che era stata eccezionalmente dolorosa, il marito aveva gridato: «Tu m’hai ingannato, non sei vergine!». Il dolore fisico è la fissazione di codesta scena penosa. E la malattia è il castigo del marito che ha dovuto spendere somme enormi per cure a non finire… Quella signora restò insensibile durante la prima notte di matrimonio e continuò a restare insensibile per tutta la durata del matrimonio stesso… La prima notte fu per lei un trauma tale da determinare tutta la vita futura.
Una giovane donna mi consulta a proposito di certe anormalità del sistema nervoso e soprattutto per una frigidità assoluta… Nella prima notte di matrimonio, il marito dopo averla spogliata avrebbe esclamato: «Come hai le gambe corte e grosse!». Poi, tentò il coito che la lasciò perfettamente insensibile e le provocò solo della sofferenza… Ella sapeva perfettamente che l’offesa patita in quella notte stava all’origine della sua frigidità.
Un’altra donna frigida racconta che durante la prima notte di nozze, il marito l’avrebbe profondamente offesa; vedendola spogliarsi, avrebbe detto: «Dio mio, come sei magra!». Poi, si sarebbe deciso ad amarla. Per lei quel momento fu indimenticabile e terribile. Che brutalità!
Mme Z.W. è anch’ella del tutto frigida. Il gran trauma della notte di nozze pare consistesse nella frase seguente, pronunciata dal marito dopo il primo coito: «Hai un gran buco, mi hai ingannato».
Lo sguardo è un pericolo; le mani sono un’altra minaccia. La donna in genere non ha accesso all’universo della violenza; non ha mai fatto l’esperienza compiuta dal giovane nelle liti d’infanzia e dell’adolescenza: di essere una cosa di carne su cui gli altri hanno presa; e ora, viene afferrata, trascinata in un corpo a corpo nel quale l’uomo è più forte; non è più libera di sognare, di indietreggiare, di muoversi come le pare; è nelle mani del maschio che ne fa ciò che vuole. Quegli amplessi pari alle strette di una lotta, mentre lei non ha lottato, la spaventano. Ella si abbandonava alle carezze di un fidanzato, di un amico, di un collega, di un uomo civile e cortese; ma ora egli ha preso un aspetto estraneo, egoista e ostinato; non sa più a cosa ricorrere per difendersi da quello sconosciuto. Non è raro che la prima esperienza della vergine rassomigli a uno stupro vero e proprio e che l’uomo si riveli odiosamente brutale; in campagna per esempio, dove i costumi sono rozzi, succede spesso che le contadine, per metà consenzienti per metà ribelli, perdano la verginità sulla sponda di un fosso, tra vergogna e paura. In ogni caso, è frequentissimo in tutti gli ambienti, in tutte le classi che la vergine sia forzata da un amante egoista che cerca solo il proprio rapido piacere o da un marito forte dei diritti coniugali, che la resistenza della sposa ferisce come un insulto, e che va su tutte le furie se la deflorazione è difficile.
D’altra parte, anche se l’uomo è deferente e cortese, la prima penetrazione è sempre uno stupro. Poiché lei desidera baci sulle labbra, e carezze sui seni, e, forse, attende tra le cosce una voluttà nota o presentita, ecco che un sesso virile lacera la vergine e penetra in regioni in cui non era chiamato. Spesso è stata descritta la penosa sorpresa di una vergine estatica tra le braccia del marito o dell’amante, che crede finalmente di toccare le voluttà sognate e poi avverte nel segreto del proprio sesso un dolore imprevisto; i sogni spariscono, il turbamento si dissipa e l’amore si presenta nella veste di un’operazione chirurgica.
Dalle confessioni raccolte dal dottor Liepmann, ricavo il racconto seguente che è tipico. Si tratta di una fanciulla di condizione modesta e assai ignorante nelle cose del sesso: «Spesso, ho sognato che i bambini nascevano dal semplice scambio di un bacio. Durante il mio diciottesimo anno di età conobbi un signore di cui m’innamorai.» Uscirono spesso insieme e durante quelle passeggiate, egli le spiegava che una ragazza deve darsi a un uomo, quando lo ama, perché gli uomini non possono vivere senza rapporti sessuali, e finché non hanno raggiunto una situazione economica che permetta loro di sposarsi, devono avere relazioni con le ragazze. Una volta, organizzò una gita in modo da poter passare la notte insieme. Ella gli scrisse una lettera per ripetergli che «sarebbe stato per lei un torto troppo grave». La mattina del giorno stabilito, gli dette la lettera, ma egli la mise in tasca senza leggerla e la condusse in albergo; la dominava moralmente, e lei l’amava: lo seguì.
«Ero come ipnotizzata. Durante la strada, lo supplicai di risparmiarmi… Non so come riuscii ad arrivare all’albergo. L’unico ricordo che mi sia rimasto è quello del mio corpo, che tremava violentemente. Il mio compagno tentava di calmarmi; e vi riuscì solo dopo una lunga resistenza. Non fui più padrona della mia volontà da quel momento e lasciai fare. Quando mi trovai più tardi nella strada, mi sembrò di essermi svegliata da un sogno.» Rifiutò di ricominciare l’esperienza e durante i nove anni successivi non ebbe altri rapporti. Incontrò quindi un uomo che le chiese di sposarla ed ella acconsentì.
In questo caso, la deflorazione è stata una specie di stupro. Ma anche quando la donna è consenziente, può provocarle sofferenza. Conosciamo la febbre che tormentava la giovane Isadora Duncan. Incontrò finalmente un attore assai bello del quale s’innamorò subito e che le fece una corte spietata.
Anch’io mi sentivo turbata, mi girava la testa e un desiderio irresistibile di serrarlo più strettamente a me s’impadroniva del mio corpo, finché una sera, perdendo ogni controllo e come furioso, mi gettò su un divano. Spaventata, rapita in estasi, poi gridando di dolore fui iniziata all’atto amoroso. Confesso che le mie prime impressioni furono un terribile spavento, un dolore atroce, come se mi avessero strappato più denti insieme; ma la grande pietà per le sofferenze che anch’egli pareva sentire, m’impedì di fuggire ciò che da principio fu solo una mutilazione e una tortura… (L’indomani), quella che allora era per me soltanto un’esperienza dolorosa riprese tra gemiti e gridi di martirio. Mi sentivo come storpiata.
Più tardi avrebbe conosciuto con quello e con altri amanti paradisi che descrive liricamente.
Tuttavia nell’esperienza reale, come una volta nell’immaginazione virginale, non è il dolore che ha la parte più importante: il fatto della penetrazione conta molto di più.
L’uomo impegna nel coito un organo esterno; la donna viceversa è colpita nell’interno di sé. Senza dubbio, vi sono molti giovani cui l’avventurarsi nelle tenebre segrete della donna procura angoscia; essi ritrovano i terrori infantili che provavano davanti alle grotte, alle tombe, lo sgomento che gli ispiravano le mascelle, le fauci, le trappole: immaginano che il loro pene gonfio resterà prigioniero della soffice pelliccia di mucose; la donna, una volta compiuto l’atto della penetrazione, non avverte questo senso di pericolo; ma in cambio si sente alienata nella carne. Il proprietario afferma i suoi diritti sulle terre che possiede, la donna di casa sulla casa, proclamando «vietato l’ingresso»; in specie, le donne, per il fatto che vengono private della loro trascendenza, difendono gelosamente la propria intimità: camera, cassetti, armadio sono sacri. Colette racconta che una vecchia prostituta le diceva un giorno: «In camera mia, signora, nessun uomo è mai entrato; per quello che io devo fare con gli uomini, Parigi è abbastanza grande». Non potendo più farlo per il proprio corpo, almeno possedeva un angolo sulla terra che fosse proibito agli altri. La ragazza invece non possiede altro tesoro, fuori del proprio corpo: è il suo bene più caro; l’uomo che entra in lei glielo prende; l’espressione popolaresca è confermata dall’esperienza. L’umiliazione che prima presentiva è ora sperimentata concretamente: la donna è dominata, sottomessa, vinta. Come quasi tutte le femmine, durante il coito, giace sotto l’uomo. Adler ha molto insistito sul senso d’inferiorità che ne risulta. Fin dall’infanzia, i concetti di superiore e d’inferiore sono i più importanti; arrampicarsi sugli alberi è un atto prestigioso; il cielo è al di sopra della terra, l’inferno sotto; cadere, scendere vuol dire decadere, e salire, esaltarsi; nella lotta, la vittoria appartiene a chi mette spalle a terra il proprio avversario; ora, la donna è coricata sul letto nell’atteggiamento della disfatta; peggio ancora se l’uomo la cavalca come una bestia schiava delle redini e del morso.
In ogni caso, si sente passiva: è carezzata, penetrata, subisce il coito, mentre l’uomo impiega la propria energia attiva. Indubbiamente, il sesso maschile non è un muscolo striato comandato dalla volontà; non è vomere né spada ma soltanto carne; tuttavia l’uomo gli imprime un movimento volontario; va, viene, s’arresta, ricomincia, mentre la donna lo riceve docilmente; è l’uomo – soprattutto quando la donna è inesperta – che sceglie le posizioni amorose, che decide della durata e della frequenza del coito. Lei si sente strumento: tutta la libertà è nell’altro. È ciò che si esprime in termini poetici, dicendo che la donna è il violino e l’uomo l’archetto che la fa vibrare. «In amore» dice Balzac «non considerando l’anima, la donna è come una lira che svela il suo segreto solo a colui che sa suonarla.» L’uomo prende da lei il suo piacere; gliene dà: le parole stesse non implicano la reciprocità. La donna è imbevuta di immagini collettive che rivestono il calore maschile di un carattere glorioso, e che fanno del turbamento femminile un’abdicazione vergognosa: la sua esperienza intima conferma questa asimmetria. Non bisogna dimenticare che l’adolescente maschio e femmina sperimentano il loro corpo in modo molto diverso: il primo lo accetta tranquillamente e ne rivendica orgogliosamente i desideri; per la seconda, nonostante il suo narcisismo, è un peso estraneo e inquietante. Il sesso dell’uomo è pulito e semplice come un dito; si esibisce con innocenza, spesso i bambini l’hanno mostrato ai compagni con orgoglio e sfida; il sesso femminile è misterioso per la donna stessa, nascosto, tormentato, mucoso, umido; sanguina ogni mese, talvolta è sporco di umori, ha una vita segreta e pericolosa. E, poiché in gran parte la donna non si riconosce in esso, non ne riconosce come suoi i desideri.
Questi si esprimono in modo vergognoso. Mentre l’uomo «si irrigidisce», la donna «bagna»; nella parola stessa c’è un ricordo infantile di letto bagnato, di abbandono colpevole e involontario al bisogno di orinare; l’uomo ha lo stesso disgusto per le inconsce polluzioni notturne; emettere un liquido, orina o sperma, non umilia: è un’operazione attiva; ma è umiliante che il liquido sfugga passivamente perché allora il corpo non è più un organismo, muscoli, sfintere, nervi comandati dal cervello ed esprimenti il soggetto cosciente, ma un vaso, un ricettacolo fatto di materia inerte e in balìa di capricci meccanici. Se la carne cola – come cola un vecchio muro o un cadavere – non sembra che emetta un liquido ma che si liquefaccia: è un processo di decomposizione che fa orrore. Il calore femminile è il molle palpito di una conchiglia; l’uomo è impetuoso, la donna è solo impaziente; la sua attesa può diventare ardente senza cessare di essere passiva; l’uomo piomba sulla sua preda come l’aquila e il nibbio; la donna sta in agguato come la pianta carnivora, come la palude ove affondano fanciulli e insetti; è colei che succhia, che aspira, è la ventosa, è pece e pània, richiamo immobile, insinuante e vischioso; per lo meno ha questa segreta sensazione. Perché non c’è soltanto in lei resistenza contro il maschio che vuole sottometterla, ma anche conflitto interiore. Ai tabù, alle inibizioni derivanti dalla sua educazione, dalla società, si sovrappongono il disgusto, il rifiuto che traggono origine dalla stessa esperienza erotica; gli uni e gli altri si rafforzano reciprocamente, tanto che dopo il primo coito la donna è spesso ancor più di prima in stato di ribellione contro il suo destino sessuale.