Meno trasporti pubblici e sempre meno persone che li utilizzano: così l’Italia rimane nel passato

Dal 2009 il taglio della spesa pubblica ha ridotto i mezzi pubblici a disposizione e, di conseguenza, anche i passeggeri. A salvarsi sono solo poche grandi città, soprattutto del Nord. Così, in un momento in cui un po' ovunque aumenta la sensibilità ambientale, l'Italia rimane ancorata al passato

La decisione dei governi italiani di questi anni di ridurre la spesa in conto capitale, quindi gli investimenti, più di tutte le altre non poteva non avere conseguenze.

Il trend è stato seguito infatti anche dagli enti locali, e il risultato è stato chiaro, una riduzione dell’offerta e dell’utilizzo dei mezzi pubblici nei capoluoghi di provincia.

E questo in un periodo in cui è aumentata la sensibilità ambientale in Europa e l’allarme sull’inquinamento, nonchè, quasi ovunque, l’occupazione e la mobilità delle persone.

In Italia il calo dei posti per km è cominciato proprio a partire dal 2009, guarda caso dall’inizio della grande recessione. Quell’anno questi erano il 9,2% di più che nel 2000, nel 2016 solo il 5,1% in più. Vi è stata una riduzione che ci ha riportato al livello del 2005, nonostante una ripresa a partire dal 2013.

Ripresa però che si è verificata di fatto solo nel Nord-Ovest, e questo è un aspetto peculiare del problema, la crescita di quella disuguaglianza già presente in precedenza e ora esplosa.

Sembra una regola generale. In presenza di una crisi, di un taglio di risorse, è chi è già più debole a rimetterci.

E così al Sud nel 2016 i posti sui mezzi pubblici erano il 15,8% in meno, nelle Isole il 29,5%. Senza accenni di ripresa nonostante l’economia abbia ricominciato lentamente a correre a livello nazionale.

I dati parlano chiaro. In Campania e Sicilia, nonostante una popolazione nei capoluoghi decisamente superiore che in Liguria, vi sono meno posti a disposizione nei mezzi pubblici.

La Lombardia, e in particolare Milano, spicca come eccezione, anche in questo caso. È di fatto l’unico caso in cui si vede una decisa crescita di questi posti dal 2009, +17%, +26,7% rispetto al 2000. Mentre è crollo intorno o superiore al 30% in Sicilia, Campania e Basilicata.

L’impressione è che come accade per molti versi in economia, dove i distretti di provincia sono sempre meno centrali ed importanti, anche dal punto di vista del trasporto pubblico l’Italia stia diventando sempre più frammentata e diseguale. Grande crescita nell’unica metropoli europea che abbiamo, Milano, e in poche città del Nord, e declino in tutto ciò che sta intorno, anche in città capoluogo, però più lontane da quelle aree di sviluppo sempre più concentrate su pochi assi, in Italia quello dell’A1 o dell’A4 per esempio.

E del resto il risultato di questo trend è il calo generalizzato, in questo caso anche rispetto al 2000, dei passeggeri dei sistemi di trasporto pubblico, con un crollo di circa il 30% nel Mezzogiorno, del 5,6% in tutta Italia, e persino al nordovest, del 12,6%. Unica eccezione, il Nordest

Il tutto mentre il numero di autoveicoli nei capoluoghi è rimasto stabile negli anni, o in leggero aumento, di 327 mila unità rispetto al 2000 e di 109 mila sul 2009.

Non è neanche più valido il discorso, pur una volta corretto, relativo al trend di svuotamento delle città a favore della provincia, ai comuni della cintura delle città maggiori, un fenomeno che tra gli anni ‘70 e il 2000 è stato in effetti reale.

Da circa 15 anni si è fermato. La popolazione proprio dei capoluoghi di provincia soprattutto al Nord si è alzata, sia che si tratta di Milano che di città molto più piccole come Mantova o Cuneo, al Centro-Sud è rimasta in media stabile. In controtendenza rispetto a quanto accade in campagna.

Si tratta spesso di giovani che si spostano in città più grandi per motivi di lavoro, per andare incontro a quella tendenza alla concentrazione delle occasioni di impiego, soprattutto nei nuovi settori dei servizi avanzati.

E che normalmente sono tra i maggiori consumatori di trasporto pubblico. Ma evidentemente questi “young urban” sono ancora una minoranza più presente sui media che nella realtà, o cosa, più probabile, limitata a pochissime grandi realtà cittadine.

Perchè la realtà vede un calo nell’utilizzo dei mezzi che si allarga anche ai treni sul territorio nazionale. Visto il successo dell’Alta Velocità sono i treni locali evidentemente a soffrire di più.

In 20 anni sono il 4,5% in meno gli italiani che hanno utilizzato almeno una volta il treno in un anno, con un calo ancora una volta concentrato in quelle regioni in cui già l’uso del treno è minore, Sicilia, Puglia, Calabria, Basilicata, ecc.

Nel 2017 secondo Legambiente la crescita dei passeggeri pendolari è stata del 0,4% sull’anno precedente, quella degli utilizzatori di metropolitane del 0,6%.

Che siano l’inizio di un’inversione di tendenza? Finora si è vista solo quella di segno contrario.

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