Non solo economia: la crisi del 2008 è stata una catastrofe per la democrazia

I partiti tradizionali, con le loro risposte inefficaci e inconcludenti, hanno spinto gli elettori dritti tra le braccia dei populisti e dei sovranisti.

In questi giorni c’è stato il decimo anniversario del fallimento di Lehman Brothers. Non possiamo relegare quell’evento soltanto al settore economico-finanziario, perché la crisi del 2008 oltre a tutti gli effetti diretti e indiretti, ha determinato un inesorabile e graduale aumento della sfiducia delle persone nei confronti di esperti, élite e politica.

In questi anni ci siamo abituarti a sentire parlare di recessione, disoccupazione e stagnazione economica, economisti e studiosi hanno spiegato nel dettaglio cause e prodromi della crisi ma era possibile prevedere e dunque evitare tutto ciò? Allo scetticismo nei confronti dei competenti, si è aggiunta l’insofferenza verso la politica, che ha permesso che questo accadesse e ha dato risposte tardive.

Nei decenni scorsi la destra si è lasciata ispirare dal neoliberismo e dalla deregolamentazione mostrando tutti i limiti di un sistema ormai saturo. La sinistra, dal canto suo, non ha proposto soluzioni efficaci. La socialdemocrazia che ha abbracciato la “terza via” è stata accusata di aver lasciato troppo spazio al mercato senza offrire garanzie alle fasce più esposte della popolazione.

Allo stesso tempo però, chi richiama gli ideali socialisti rischia di suggerire proposte obsolete rispetto alle nuove sfide, come quelle poste dall’innovazione tecnologica, che richiede una revisione del mondo del lavoro sia sul versante contrattuale che della formazione professionale. Le risposte della politica sembrano inefficaci e inconcludenti e la crisi economico- finanziaria ha esacerbato il clima.

Come riportato dal New York Times, infatti secondo Amir Sufi, docente della University of Chicago e i suoi collaboratori, le crisi finanziarie tendono a radicalizzare gli elettori. In base ad un studio condotto su sessanta Paesi, la percentuale dei moderati è diminuita, mentre è aumentata la quota di coloro che si riconoscono in posizioni di estrema sinistra o destra.

Non è semplice identificarsi con una classe sociale specifica, è molto più facile sentirsi parte di un popolo che tralascia le differenze al proprio interno per ricompattarsi contro un nemico comune da trovare di volta in volta.

Oggi è difficile costruirsi un’identità sociale, è molto frequente cambiare più tipi di lavoro nel corso della propria vita e talvolta anche più città. La precarietà e la difficoltà nell’individuare un ruolo e una collocazione definitiva comportano delle conseguenze. Non è semplice identificarsi con una classe sociale specifica, è molto più facile sentirsi parte di un popolo che tralascia le differenze al proprio interno per ricompattarsi contro un nemico comune da trovare di volta in volta.

Può trattarsi degli immigrati ritenuti minacciosi per l’integrità nazionale, può essere la tecnologia che rischia di spazzare via i posti di lavoro meno qualificati. Il nemico da criticare può essere l’establishment tecnocratico a cui sono delegate decisioni un tempo prese da organi con componenti eletti democraticamente. Ancora, può trattarsi degli esperti, ritenuti incapaci di fornire gli strumenti per prevedere crisi o ipotizzare soluzioni, come accaduto appunto nel 2008.

I partiti tradizionali, che per definizione non possono rappresentare tutti in maniera generica, non sono più in grado di intercettare istanze così eterogenee tra di loro. Essi non riescono a simboleggiare la miriade di categorie dai confini labili di cui si compone la società. Ecco quindi che può aumentare il consenso verso chi si presenta come il portavoce del popolo nella sua totalità, anche se propone soluzioni drastiche e radicali. Il populismo, il nazionalismo, il sovranismo arrivano anche da lì, dal desiderio di avere risposte, sebbene semplicistiche, dalla necessità di sentirsi rappresentati, sebbene contrapponendosi a qualcuno o a qualcosa.

La crisi del 2008 ha mostrato tutti i limiti di un sistema e dei suoi attori, da allora parte dell’opinione pubblica ritiene che la globalizzazione comporti anche la rapida diffusione dei problemi alla stregua di un contagio. Per arginare populismi e nazionalismi, politica ed esperti devono sforzarsi di recuperare terreno e riconquistare la fiducia delle persone. E di certo non sarà sufficiente aspettare il fallimento delle proposte politiche alternative e nemmeno ostentare esperienza e competenza.

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