Tagli insufficienti, entrate risicate: così il deficit italiano è diventato il più pericoloso d’Europa

La pervicace resistenza dei governi (Renzi compreso) nell’applicare misure di cosiddetta austerità, insieme alla scarsa capacità di raccogliere gettito fiscale hanno inciso sul rapporto deficit/Pil italiano. Il cui trend non piace a nessuno

No, l’Europa non ci vuole punire, non ci vuole negare soldi o impedirci di spenderli per una presunta volontà di danneggiarci. Anzi, siamo tra coloro che più di tutti gli altri in questi anni hanno potuto e voluto ignorare gli accordi presi in precedenza sul deficit, e che hanno risanato meno le proprie finanze.

In base ai dati Eurostat nel 2017 solo quattro Paesi nella UE avevano un rapporto tra deficit e PIL superiore al nostro: Francia, Romania, Portogallo e Spagna. La media UE era dell’1%, contro un 2,3% italiano. Come mai prima, i Paesi in avanzo o pareggio si sono avvicinati alla metà del totale. Sono 13.

Dati Eurostat

Sono passati i tempi, forse ancora presenti nell’immaginario di molti italiani, in cui eravamo in effetti tra i Paesi con un disavanzo più basso di quello della maggioranza degli Stati. Era l’epoca della crisi economica: non la stavamo subendo meno degli altri, come diceva il governo di allora, ma semplicemente non erano scattati salvataggi di banche o misure di welfare come quelle presenti in molti altri Paesi (ad esempio il sussidio di disoccupazione).

Come dicevamo, sono tempi passati. Con la ripresa, il deficit medio europeo è crollato. Nel 2009 era del 6,6% contro il 5,2% italiano, nel 2014 è avvenuto il sorpasso in discesa, 2,9% nella UE e 3% in Italia, fino al gap attuale.

Dati Eurostat

Quello che è accaduto è che dal 2012 ad oggi abbiamo deciso di non effettuare lo stesso risanamento del resto d’Europa. Vi è stato un calo solo del 0,6% del deficit nel nostro Paese, contro uno del 3,3% altrove.

E la UE, tra mille frizioni anche mediatiche tra Commissione e governo Renzi in particolare, lo ha accettato.

È in quest’ottica, quella della variazione del deficit, che vanno visti anche i dati di Spagna e Francia, additati sempre, in passato anche ai massimi livelli governativi, come esempio di Paesi meno virtuosi dell’Italia, come una specie di comodissimo alibi che allo stesso tempo ci rassicura: non siamo, come spesso accade, gli ultimi. E questo ci provoca suggestioni complottiste (“perché allora ce l’hanno proprio con noi?”).

La Spagna, dopo Irlanda e Grecia, è stato il Paese che tra 2012 e 2017 ha messo a segno il miglior risanamento, con un crollo del 7,4% del deficit, mentre quello della Francia è calato del 2,3%, comunque meglio dell’Italia.

In termini assoluti, nonostante le nostre dimensioni, i miliardi di disavanzo in meno sono stati circa 7,4, meno di quelli risparmiati da Belgio, Repubblica Ceca, Svezia, Danimarca, Paesi tra i 5 e i 10 milioni di abitanti.

Dati Eurostat

Solo Ungheria ed Estonia sono stati meno virtuosi di noi, almeno in termini percentuali sul PIL, ma uno sguardo al rapporto debito/PIL ci fa capire bene il perché: quello ungherese è al 73,6%, quello estone a un ridicolo 9%, quello italiano al 131,8%.

Tra le cause di questo scarso risanamento, lo sappiamo, vi è stata dopo il 2013 la pervicace volontà dei governi, in particolare quello di Renzi, di non imbarcarsi in importanti aggiustamenti che sarebbero stati visti come “austerità” e avrebbero impedito alcune misure importanti anche dal punto di vista politico.

La spesa corrente primaria misurata rispetto al PIL, ovvero quella depurata dai pagamenti degli interessi sul debito, che era sempre stata inferiore alla media europea, ora da alcuni anni è praticamente in linea con quella UE.

Di fatto abbiamo abbiamo puntato tutto sul calo degli interessi senza diminuire il rapporto tra spesa corrente vera e propria e PIL più di quanto non sia avvenuto in media in Europa, ci siamo rifiutati di considerarci come Spagna, Grecia e Irlanda, casi più gravi di Paesi che avevano bisogno di fare uno sforzo di risanamento maggiore per riavvicinarsi al resto del continente.

Come se i progressi della nostra economia fossero analoghi a quelli degli altri, invece di essere gli ultimi della classe.

Dati Eurostat

In termini assoluti la crescita di questa spesa in 5 anni non è stata tuttavia eccessiva, del 5,5%. È vero, non così limitata da permettere un trend maggiormente in discesa del rapporto spesa/PIL (e quindi un minor deficit), ma in ogni caso solo di poco superiore a quella di Spagna o Irlanda.

Spesa solo corrente e primaria, dati Eurostat

E allora cosa è accaduto? Nonostante non vi sia stata finanza allegra è mancata la crescita che ha beneficiato questi vecchi “PIIGS”. Non solo però, vi è anche la questione delle entrate che non sono cresciute come altrove.

Il loro aumento è stato assolutamente scarno, limitato. Solo del 3,6% in 5 anni, corrispondente a circa 27,6 miliardi, contro un +12,7% spagnolo, un +20,8% tedesco, un +13,2% francese e un +14,3% europeo medio. L’inflazione nello stesso periodo è stata piuttosto simile nei diversi Paesi.

È chiaro che non c’entra solo la minore crescita del PIL, che ha certo dato il proprio contributo, ma le differenze sono così rilevanti che non si può non pensare a come vi sia un problema di gettito, legato alla capacità di riscuotere le imposte, a mille agevolazioni non produttive alle imprese. In questo contesto, con l’evasione che caratterizza il nostro sistema produttivo, anche una crescita più sostenuta rischia di avere un effetto più limitato se non si accentuano gli sforzi già in atto per recuperare il sommerso.

Naturalmente le promesse di “pace fiscale”, di un sostanziale colpo di spugna sulle vertenze in atto, non possono essere molto tranquillizzanti per il futuro delle entrate dello Stato.


Alcuni economisti nei decenni scorsi facevano notare che la spesa pubblica italiana non fosse eccessiva, paragonata a quella degli altri Paesi, ma che piuttosto fossero le entrate a essere decisamente minori.

Ora che abbiamo raggiunto, come si è visto, i livelli medi europei, a maggiore ragione questo alibi per non ridurre la spesa pubblica non può valere, soprattutto perchè un deficit più basso è una garanzia contro future crisi analoghe a quella del 2008.

Tuttavia il tema rimane. È nell’interesse di chi vuole meno tasse e giudica come eccessiva austerità ogni intervento sulla spesa avere più efficienza dal lato delle entrate.

Ricordandoci sempre che senza più produttività e più crescita si tratterà sempre di tirare di qua o di là la stessa coperta, magari stendendola giusto un po’ meglio.

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