Dando una sommaria letta degli ultimi dati Istat sul lavoro si potrebbe pensare, con una buona dose di ottimismo, che dopo la tempesta sia finalmente arrivato il sereno. Dopo il calo dei due mesi precedenti infatti, la stima degli occupati ad agosto 2018 torna a crescere (+0,3% su base mensile, pari a +69 mila unità), col tasso di occupazione che raggiunge il 59 per cento. La crescita dell’occupazione rispetto a luglio, indica l’istituto, riguarda donne e uomini e si distribuisce tra le persone maggiori di 25 anni. Nei dodici mesi la crescita occupazionale si concentra fortemente tra i lavoratori a termine (+12,6%, +351 mila), in lieve ripresa anche gli indipendenti (+0,2%, +11 mila), mentre calano i dipendenti permanenti (-0,3%, -49 mila).
Dai grafici si evince che tra il gennaio del 2013 e l’agosto del 2018 l’occupazione ha goduto di una crescita verticale, mentre nello stesso periodo il tasso disoccupazione è sceso considerevolmente.
Ma analizzando nel dettaglio le statistiche è un altro dato a saltare preoccupantemente all’occhio: l’aumento degli inattivi tra i giovani. Se infatti il tasso di inattività su base annua della popolazione tra i 15 e i 64 anni ha visto un aumento solo dello 0,2%, l’aumento degli inattivi nella classe di età 25-34 anni è stata del 3,9%, a fronte di una diminuzione degli occupati del 0,4% e dei disoccupati del 13,3%. Tradotto: i miglioramenti interessano le persone di età più avanzata, mentre molti giovani passano dalla ricerca attiva del lavoro a una condizione di scoraggiamento e non ricerca.
Questa situazione è frutto della crisi recente, come spiega Francesco Seghezzi, direttore della Fondazione ADAPT: <<Questa dinamica odierna post crisi del lavoro fa sì che l’espansione riguardi quelle persone che avevano perso la loro occupazione. Le donne che prima potevano stare a casa hanno dovuto cercare un impiego a fronte della perdita del lavoro del componente maschile del nucleo familiare. I nuovi occupati sono soprattutto a termine ed ex disoccupati vittime della crisi che hanno trovato un nuovo lavoro a tempo non determinato e spesso con un salario più basso. C’è stato un riassorbimento di coloro che avevano perso il lavoro, che riguarda quindi la componente di popolazione di età più avanzata. I giovani da questa dinamica restano fuori>>.
Va poi non dimenticato che l’Istat, con innegabile fantasia, considera “occupati” le persone di 15 anni e più che nella settimana di riferimento abbiano “svolto almeno un’ora di lavoro in una qualsiasi attività che preveda un corrispettivo monetario o in natura” (quindi anche i tirocinanti che ricevono solo dei buoni pasto) o abbiano “svolto almeno un’ora di lavoro non retribuito nella ditta di un familiare nella quale collaborano abitualmente”
L’aumento di chi non cerca più lavoro potrebbe essere interpretata positivamente qualora ci fosse un ritorno agli studi, ma purtroppo non si riscontrano aumenti dei tassi di scolarizzazione tra la popolazione inattiva. Va poi non dimenticato che l’Istat, con innegabile fantasia, considera “occupati” le persone di 15 anni e più che nella settimana di riferimento abbiano “svolto almeno un’ora di lavoro in una qualsiasi attività che preveda un corrispettivo monetario o in natura” (quindi anche i tirocinanti che ricevono solo dei buoni pasto) o abbiano “svolto almeno un’ora di lavoro non retribuito nella ditta di un familiare nella quale collaborano abitualmente”.
Nessuna novità quindi, anche alla luce degli ultimi dati i giovani rimangono i più svantaggiati nel mondo del lavoro nel quale non riescono nemmeno ad entrare. Con buona pace di chi, sempre dati alla mano, si stupisce della fuga di cervelli.