Alla fruttaComunisti con la felpa: così Salvini ha conquistato l’estrema sinistra

Enrico Lucci sulla comunicazione. Giulietto Chiesa sulla questione migranti. Marco Rizzo sulla leva obbligatoria. Ma l’ammirazione per Salvini è un venticello che ricorda tanto l’ossessione della sinistra per Berlusconi. Povera sinistra

Avete presente quel celebre film con Marilyn, “A qualcuno piace caldo”? Bene, tenetelo a mente perché tornerà dialetticamente utile alla fine del discorso. Insomma, se talvolta perfino il “comunista”, la persona “di sinistra”, il progressista o giù di lì, si ritrovi a sorridere a Salvini, se non proprio ad applaudire più o meno implicitamente, in cuor suo, il semplice talento del ministro dell’Interno, a pensare, sia pure indirettamente, quanto sia bravo, un vero politico, se le cose si sono disposte in questo modo, allora potremmo essere giunti alla comprensione del paradosso mentale della mancata opposizione.
Addirittura, da qualche parte, leggo dichiarazioni di insospettabili, secondo i quali dopo Mussolini e De Gasperi, ci sarebbe soltanto lui, gli stessi attributi da statista, da sommo stratega. Dunque, Salvini era atteso, e poi, finalmente, puro genio, sarebbe arrivato, come uomo del fare, uomo del “cambiamento”, come dono.

Chi l’avrebbe detto al tempo in cui, camicia verde e grugno da presidio a Ponte di Legno, Matteo era solo un tenentino di complemento della Lega di Umberto Bossi? E invece, hai visto? Lasciate perdere il tema della coerenza, lasciate di dire che il giovane, prim’ancora che in Padania arrivasse l’arrotino Umberto, indossava la maglietta di Che Guevara, e poi, in una gioco elettorale interno al Carroccio, era il 1997, si era addirittura candidato con i “Comunisti Padani”, falce e martello nel simbolo, e ancora di sé raccontava: “Chi non ha mai frequentato un centro sociale? Io sì, dai 16 ai 19 anni, mentre frequentavo il liceo, il mio ritrovo era il Leoncavallo. Là stavo bene, mi ritrovavo in quelle idee, in quei bisogni…”, ricorda semmai che la formazione dei gruppi dirigenti assomiglia a un girmi, vortica sempre, basterà aspettare lo stato di quiete per scoprire le facce finali dei vincenti. Salvini, non per nulla, ha saputo aspettare il suo momento, ma non è di questo che occorre parlare, non certamente di quando la Lega auspicava che l’Etna sommergesse il Sud “ladrone”, cioè la Lega del particolare, di Pontida, di coloro che innalzavano l’elmo dei vichinghi della Paullese sopra baffoni da bevitori delle baite. Lascia perdere perfino
l’idea del soccorso al vincitore, perché nel caso di ciò che sta accadendo verso Salvini siamo davvero assai oltre.

Nella psicologia di chi cambia rotta può deflagrare di tutto, e qui un film, stavolta nostrano, ci viene in soccorso: il personaggio di Nino Manfredi emigrato in Svizzera in “Pane e cioccolata”? Sta in un bar, capelli ossigenati, a guardare la partita tra l’Italia e gli elvetici, cercando intanto di recitare proprio la parte del nativo nei Cantoni

Nella psicologia di chi cambia rotta può deflagrare di tutto, e qui un film, stavolta nostrano, ci viene in soccorso: il personaggio di Nino Manfredi emigrato in Svizzera in “Pane e cioccolata”? Sta in un bar, capelli ossigenati, a guardare la partita tra l’Italia e gli elvetici, cercando intanto di recitare proprio la parte del nativo nei Cantoni, così finché l’Italia non fa gol, a quel punto, incapace di trattenersi, esplode in un urlo liberatorio.

Bene, dimenticate questa scena, pensate piuttosto che lo stesso personaggio continui invece nella parte dello svizzero… Questa iperbole visiva per dire che c’è un pezzo di mondo di sinistra – chiamalo rosso-bruno, chiamalo comunista sovranista o che dir si voglia – che come nuove terre emerse in cuor suo vede in Salvini l’uomo da apprezzare, ne ammira perfino la progettualità, penso a Giulietto Chiesa sulla questione migranti: “Credo che in qualche misura sia necessario richiamare bruscamente gli altri Paesi ad uno sforzo comune, perché se non lo si farà l’Italia rischierà di rimanere schiacciata in una situazione ingestibile”.

Penso perfino a Enrico Lucci, inviato e performer di se stesso, lui orgogliosamente “comunista” che tuttavia ragionando “dell’Italia contemporanea, dove tutto è mobile, suscettibile di cambiamenti secondo la tendenza sostenuta dai social”, così chiosa: “Matteo Salvini fa un tweet o un video ogni mezz’ora, Di Maio anche. Mentre gli altri non sanno come prendere il toro per le corna (…) Salvini è il più bravo di tutti. Peccato che poi alla fine tutto cozza con la realtà”. Un istante dopo, sullo stesso pezzo giunge il filosofo Diego Fusaro, pronto a flettere Gramsci alle ragioni del “cambiamento” salviniano, riferito al sovranismo, al primato della comunità nazionale.

Sembra quasi che un intero segmento di mondo, in assenza di altre soddisfazioni, non abbia potuto fare a meno di trovare infine godimento accostandosi al fenomenale Matteo. Ci piace supporre che quest’esito, questa resa, sia da attribuire all’attesa e al logoramento subiti da chi magari già aspettava altrove una possibile palingenesi, colpa dunque dei risultati mai raggiunti, pulsioni che infine portano a identificarsi con l’antagonista iniziale, se non con il nemico. Intendiamoci, in questo interesse che diviene poi simpatia per sfociare nella stima che si avvicina all’identificazione totale, importa poco, cade ogni difesa, ogni ritegno, ogni distinguo rispetto al linguaggio semplificato salviniano, un linguaggio modello base, lo stesso che rammento nei capannelli del qualunquismo endemico che si raccoglievano a Milano in Galleria negli anni Settanta, lo stesso calco, la medesima povertà lessicale, come quando il ministro degli Interni, riferendosi ai negozi notturni gestiti dai “bangladini”: “Lì c’è gente che beve e poi caga e piscia sul portoncino di casa tua…” Se questa è la “Magna Charta” dalla quale far discendere il “decreto sicurezza”.

In questo interesse che diviene poi simpatia per sfociare nella stima che si avvicina all’identificazione totale, importa poco, cade ogni difesa, ogni ritegno

Pensandoci bene, la storia dei folgorati da Salvini rimanda un po’ anche al tempo dell’innamoramento per Berlusconi, come dispositivo mentale, infatti già quando nacque Forza Italia, pure in quel frangente, un pezzo di promontorio della penisola della sinistra si staccò per andare verso le terre emerse azzurre di Silvio. Così avvenne con Lucio Colletti e Saverio Vertone, fra gli altri, e ancora con un pezzo di mondo socialista che ebbe la sensazione che dopo “tangentopoli” fosse quella la nuova casa del Padre, e poco importava loro che certe mattine Berlusconi potesse perfino aggiungersi al capannello in Galleria per fare, metti, l’elogio di Mussolini.

Ma non facciamo il discorso sull’ingratitudine, ci basterà in proposito citare le parole recenti di un Vittorio Feltri: “In questo atteggiamento ostile nei confronti della Lega ci sono componenti di stupidità e di invidia infantile. Il milanese Matteo, disprezzato per le sue felpe e per il suo linguaggio che ripudia l’ ipocrisia politicamente corretta (e imbecille), ha una notevole abilità di stare in sintonia con i cittadini, che egli non si limita ad ascoltare, ma cerca di soddisfare con volontà e tenacia” (sic). E mi stavo dimenticando del comunista, lui, sì, senza opportune virgolette, Marco Rizzo che sulla questione della naja, che Salvini reintrodurrebbe, aggiunge che “L’esercito di leva popolare, in uno stato borghese come l’Italia, fornisce infinite garanzie di ‘tenuta’ democratica in più rispetto ad un sistema con militari di professione”. Può anche darsi che si tratti di semplici impressioni, tuttavia sembra quasi che quel “… ma tu lo sai che questo Salvini, come te lo spiego, non è poi così male?” si stia facendo sempre più pressante.

Ci siamo, siamo arrivati al nodo delle mancate remore. Resta da fare ritorno alla citazione sospesa iniziale di Marilyn. Dimmi, cosa risponde George Raft a Jack Lemmon quando quest’ultimo, lì sul motoscafo, confessa al gangster di essere un uomo? “Nessuno è perfetto!” La lapide di ogni distinguo. Anche nel tragico caso che vede in questione un corpo estraneo alla sinistra come Matteo Salvini.

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