È stata la madre di tutte le privatizzazioni, poi la madre di tutte le opa ostili, la madre che doveva accogliere nelle sue braccia i telefoni e la televisione, e ancora la invocata salvatrice di Mediaset e di Berlusconi. Tante madri, anzi matrioske. A ogni cambio di fase politica, di governo o addirittura di regime, in Telecom Italia (ora Tim) spunta una nuova proprietà, con nuovi manager e nuove strategie. In genere i ribaltoni al vertice sono avvenuti con cadenza triennale (la durata media dei governi), questa volta invece è bimestrale, ma il mondo giallo-verde si muove a ritmo sincopato.
Il 4 maggio il fondo Elliott, guidato in Italia da Paolo Scaroni, proprietario dell’8,8%, la Cassa depositi e prestiti ancora presieduta da Claudio Costamagna con il 4,26%, sotto l’occhio benevolo di Giuseppe Guzzetti e grazie all’appoggio dei fondi attivisti, mettono all’angolo Vivendi (controllata da Vincent Bolloré) che pure ha il 23%. Resta al vertice Amos Genish, già designato da Vivendi, come una sorta di ostaggio, in partibus infidelium. Adesso anche lui viene defenestrato e al suo posto andrà un uomo gradito a Elliott e Cdp (in pole position Alfredo Altavilla già collaboratore di Sergio Marchionne). E tutti si aspettano che l’ultima bambolina russa celi una nuova sorpresa.
Un colpo d’acceleratore viene dall’asta per le frequenze 5G che dovrebbe costare a Tim 2,2 miliardi di euro, una bella cifra per una società che capitalizza in borsa 10 miliardi. Un salasso che induce a riaprire il dossier (proibito in casa Telecom) della rete. All’orizzonte c’è la nazionalizzazione, rilanciata dai Cinque Stelle. Ma c’è anche, quanto meno sullo sfondo, la sorte di Mediaset, un altro eterno tormentone. C’è il futuro di Open Fiber , la joint venture tra Enel e Cdp per cablare l’Italia, voluta da Matteo Renzi dopo che Vivendi aveva conquistato Tim e mentre stava scalando Mediaset. Ci sono le strategie non del tutto convergenti di Achille Starace, il top manager di Enel, di Fabrizio Palermo amministratore delegato di Cdp, di Guzzetti che a nome delle fondazioni di origine bancaria non vuole essere trascinato in avventure neo-stataliste, di Elliott-Scaroni e naturalmente di Vincent Bolloré. Per tutti Tim, così come si presenta oggi, è una trappola dalla quale ciascuno vuole uscire a suo modo e a proprio vantaggio.
Il nuovo capo azienda dovrebbe rompere un tabù e accettare lo scorporo della rete cedendola tutta o in parte. Ciò favorisce la nascita di una società pronta a fondersi con Open fiber e a finire sotto l’usbergo di Stato: probabilmente nella Cdp Reti, della quale è azionista la China state grid, che controlla Terna (elettricità ad alta tensione) e Snam (gas). La nuova Tim sarebbe più piccola, più snella, ma con meno debiti, meno dipendenti e concentrata sui servizi. A quel punto, potrebbe anche riprendere in mano il dossier Mediaset perché, con una taglia inferiore e un profilo diverso, non violerebbe più la concorrenza.
Il nuovo risiko delle tlc può realizzare un vecchio scenario rimasto bloccato da lotte per il controllo e veti politici: lo Stato rientra nelle telecomunicazioni, Vivendi converge su Mediaset, Tim avrà un azionariato pluralista con uno zampino della Cdp e di qualche banca di sistema
E chi sarebbe protagonista della nuova strategia orientata sulla tanto sospirata convergenza tra telefoni e tv? Si sa che questo era l’obiettivo di Vivendi, non solo in Italia ma su scala europea; la società francese non l’ha realizzato e allo stato attuale resta un sogno più che un progetto. Tuttavia, Vivendi possiede già quasi il 30% di Mediaset: oggi è bloccato dall’antitrust domani potrebbe tornare pienamente disponibile. Bolloré si è liberato anche da un’altra trappola disdettando il patto di sindacato Mediobanca, e ora l’incursore bretone può muovere liberamente le sue pedine dalla finanza alle tlc. O molla una Italia dove non si respira un’aria favorevole alla Francia, anche a costo di rimetterci un sacco di quattrini, oppure rilancia come è sua abitudine. Bolloré e Berlusconi non si parlano più, però in affari mai dire mai. Potrebbe fare da mediatore Scaroni, perché anche Elliott vuole uscire dal cul de sac e una Tim leggera e manovriera potrebbe essere apprezzata dalla borsa. Il fondo americano ha comperato a 1,07 euro per azione, adesso scesa a 54 centesimi (mai così in basso dal 2013).
E la Cdp? Non rischia di mettersi in corpo un asset al tramonto come la fibra di rame più una quota del debito Tim? Un colpo pesante che certamente Guzzetti a nome delle fondazioni non ha intenzione di subire, così come non vuole essere trascinato dentro l’Alitalia o improbabili triangolazioni con le Ferrovie, le Poste, l’Anas e carrozzoni pubblici di varia natura. Il governo, a sua volta, più di tanto non potrebbe fare. Un diktat di Luigi Di Maio non piacerebbe certo ai leghisti sensibili agli interessi delle fondazioni nelle quali hanno loro uomini, tanto più che Giancarlo Giorgetti ha sempre avuto un buon rapporto con Guzzetti. A tirare le castagne dal fuoco potrebbe arrivare Starace che si dice sia disposto a prendere sotto il proprio usbergo la nuova società della rete elettrica, sistemando l’investimento in Open fiber, sgravando la Cdp e assecondando l’obiettivo pentastellato. L’Enel tornerebbe ai telefoni come ai tempi di Franco Tatò con Infostrada-Wind? Le cose sono diverse, dicono nel gruppo elettrico che è già cambiato molto, buttandosi sulle rinnovabili, sui servizi, sui mercati esteri.
Non è facile capire quanto costerà tutto questo e chi dovrà pagare (di sicuro una parte ricadrà anche sui contribuenti). Ma il nuovo risiko delle tlc può realizzare un vecchio scenario rimasto bloccato da lotte per il controllo e veti politici: lo Stato rientra nelle telecomunicazioni, Vivendi converge su Mediaset, Tim avrà un azionariato pluralista con uno zampino della Cdp e di qualche banca di sistema. Todos caballeros? Non esattamente. Le compagnie telefoniche private, Vodafone, Wind, Fastweb da un lato avrebbero in Tim un concorrente meno ingombrante, dall’altro temono che un monopolista statale possa usare le tariffe a suo piacimento con una ricaduta negativa sulla concorrenza, sui costi e sugli utenti. Come dar loro torto?