Le accuse mosse a Facebook stanno diventando così frequenti da non fare quasi più notizia. L’ultima in ordine di tempo ha quasi i contorni di una spy story. Immaginate il rappresentante di una società di software americana, la Six4Three, in viaggio a Londra costretto -in virtù di una prerogativa parlamentare- a consegnare a un agente dei documenti oggetto di un’azione legale contro Facebook. Immaginate che da quegli stessi documenti emerga uno scambio di mail di membri dello staff del celebre social network che discutono su come cedere agli inserzionisti e a siti terzi i dati dei propri utenti.
Protagonista di questa ennesima vicenda è Damian Collins che nel Parlamento inglese si occupa di questioni digitali e sotto i riflettori c’è ancora una volta la società di Menlo Park. Nel suo immancabile post, Mark Zuckerberg ha spiegato che quelle conversazioni risalgono al 2012 ma che dal 2014 è stato bloccato l’accesso alle informazioni online dei propri utenti verso app e sviluppatori. Anche in Italia Facebook ha le sue grane. Non è passata infatti inosservata la sanzione amministrativa inflitta da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
La decisione riguarda due pratiche svolte dalla società e considerate scorrette dal punto di vista commerciale. L’Antitrust ha informato Facebook Inc e Facebook Ireland Ltd di aver avviato i procedimenti istruttori lo scorso aprile e, nonostante lo scambio di informazioni, le motivazioni rese non sono apparse sufficienti per evitare di prendere provvedimenti. Il primo aspetto a finire sotto la lente riguarda l’iscrizione stessa al sto web e alla relativa app. Fino allo 15 aprile di quest’anno a catturare l’attenzione sulla schermata iniziale vi era una sorta di messaggio- slogan che evidenziava il carattere gratuito della piattaforma.
Secondo l’Agcom gli utenti già iscritti a Facebook trasferiscono i propri dati dal sito web o app ad app o siti web terzi e viceversa in maniera quasi inconsapevole
Tuttavia il modello di business usato si basa invece sulla raccolta e sull’utilizzo dei dati degli utenti, basti pensare alle inserzioni pubblicitarie redatte proprio grazie alla loro profilazione e i cui ricavi rappresentano la maggior parte delle entrate di Facebook. Per l’Agcm lo sfruttamento delle informazioni online rappresenta una sorta di contro-prestazione resa da parte dell’utente che non veniva adeguatamente informato nel momento dell’iscrizione alla piattaforma. Usiamo il passato perché dal 16 aprile il social network ha apportato alcune modifiche, ai banner cookie e all’informativa per fornire approfondimenti sull’uso dei dati, tuttavia per l’Antitrust non si tratta di cambiamenti sostanziali a una pratica considerata ingannevole.
Si profila invece una violazione degli articoli 21 e 22 del Codice del Consumo, che giustifica la multa di 5 milioni di euro. Ma a non essere stati rispettati vi sono anche gli articoli 24 e 25 del medesimo codice. Secondo l’Agcm infatti, gli utenti già iscritti a Facebook trasferiscono i propri dati dal sito web o app ad app o siti web terzi e viceversa in maniera quasi inconsapevole. In teoria si può decidere di autorizzare o meno ogni passaggio ma nel secondo caso, l’utilizzo dei servizi terzi e di Facebook viene molto limitato.
Non a caso si è parlato in questo caso di una pratica aggressiva ed è stata decisa un’ulteriore multa dello stesso importo della prima già citata. La risposta del colosso di Menlo Park non si è fatta attendere, come si legge sul Sole 24 Ore, un portavoce di Facebook Italia ha assicurato che si sta cercando di collaborare con l’Antitrust per fare chiarezza su quanto emerso e che il social network ha cercato di rendere più chiare le proprie condizioni di uso e le informazioni sulla privacy. Il 2018 è stato l’ennesimo annus horribilis per Facebook ma, stando alla cronaca, probabilmente non sarà l’ultimo.