Giovin signoriMammoni a chi? Provate voi a diventare adulti in Italia, se ci riuscite

Le donne e gli uomini che in Italia hanno tra i 18 e i 35 anni sono tra i più poveri, malpagati e precari della storia della Repubblica, eppure i loro genitori li accusano ancora di essere dei mammoni, inetti e schizzinosi

MARCO BERTORELLO / AFP

Secondo i dati Eurostat pubblicati questa settimana, i giovani italiani continuano ad essere tra le prime posizioni in Europa nella categoria dei figli che abitano con i genitori. Tra i giovani tra 18 e i 34 anni, quelli che dichiarano di vivere ancor a casa con i genitori pare siano addirittura due terzi del totale, con picchi record tra gli uomini, ma dati altissimi anche tra le donne. Un dato allarmante, che ha spinto subito tutti a gridare in coro il ritornello degli italiani “mammoni”. Un ritornello che però, almeno a vedere i dati che formano il contesto in cui la ricerca dell’Eurostat va inserita, sembrerebbe non solo stonato, ma anche ingiusto.

«Mandiamo i bamboccioni fuori di casa», disse Padoa Schioppa dieci anni fa quando lanciò la finanziaria che finalmente si prometteva di liberare questi poveri disgraziati dalle catene che li legavano a mammà. Poi venne la ministra Fornero, che circa 4 anni dopo e senza versare una lacrima, definì quegli stessi giovanotti un po’ “choosy”, ovvero “schizzinosi”, dimenticandosi che gli unici a capire l’inglese in Italia sono proprio quei poveracci.

Poi fu il turno degli intellettuali, da Michele Serra, che nel suo romanzo omonimo li definì bonariamente gli Sdraiati, fino a Gramellini, il cui cafferino del mattino — signora mia — spesso attacca proprio i giovani d’oggi, come nel caso di qualche settimana fa, quando la bambocciona presa in giro fu la cooperante Silvia Romano, colpevole secondo il matusa di essere — signora mia — troppo ingenua.

l’irritante irrisione dei poveri figlioletti, pigri, schizzinosi, sfigati pare che vada molto di moda negli ultimi vent’anni, ma non ha basi

La musica è la stessa da un bel po’ di anni. A giudicare dalle dichiarazioni e dalle esternazioni di molti esponenti della classe dirigente e intellettuale dell’ultimo quarto di secolo, infatti, pare che vada molto di moda una sorta di irritante irrisione dei poveri figlioletti, pigri, schizzinosi, sfigati, più simili al giovin signore che suggeva il suo cacauccio alle dieci del mattino piuttosto che alle migliaia di giovani donne e uomini che hanno liberato l’Italia dall’occupazione nazifascista nel 1945. Critiche e perculate che arrivano, tra l’altro, dalla generazione dei Giovani per eccellenza, quella che nel 1968 ha sognato di essere giovane per sempre e che per i successivi 50 anni ha provato a restarci.

Invece la realtà, guardi un po’ signora mia, è un bel po’ diversa. Basta guardare i dati: in Italia la disoccupazione giovanile è superiore al 32 per cento. Uno su tre. Il doppio della media degli altri paesi dell’Unione. In Italia i giovani sotto i 35 anni hanno stipendi inferiori del 36 per cento rispetto ai loro genitori, il che fa di questi poveri bamboccioni, mammoni, schizzinosi, la classe più a rischio povertà dopo i migranti. E ancora, signora mia, sempre in Italia, la percentuale dei lavori a tempo e interinali e precari, grazie a governi di ogni foggia e colore, ha ormai toccato quote record, circa il 16,3 per cento un anno fa.

E se fino a qualche anno fa si poteva pensare anche ad andarsene, fuggendo con il proprio cervello in lidi più fortunati, ora anche questa opzione sta diventando sempre più complicata, soprattutto per coloro che non hanno una famiglia alle spalle che può sostenerne il viaggio e il periodo di ambientamento e di ricerca di lavoro.

La verità è che la parabola dei Bamboccioni e dei Mammoni fa comodo soprattutto alla generazione che questi giovani ha messo al mondo.

La verità è che la parabola dei Bamboccioni e dei Mammoni fa comodo soprattutto alla generazione che questi giovani ha messo al mondo. Sì, perché anche il profilo del giovin signore incapace, inetto, imbelle, pigro e senza qualità non ha nessuna base. Anzi, probabilmente è più vero il contrario. E basta fare un giro per le biblioteche e per le università d’Italia e di tutta Europa: gli studenti italiani sono i migliori, sono i più preparati, sono i più svegli, sono i più versatili e intraprendenti.

Sono passati una ventina d’anni da quando su migliaia di cartelloni elettorali, Berlusconi prometteva di investire nelle poi diventate celebri tre I, ovvero Inglese, Impresa e Internet. Malgrado né lui né altri abbiano mai provato a mantenere la promessa, e anzi, malgrado la scuola italiana negli ultimi vent’anni sia stata fatta a pezzi da praticamente ogni governo, di ogni parte e di ogni colore, il più grande dei paradossi è che in quelle tre I, ovvero nell’impresa, nell’inglese e nelle nuove tecnologie, i poveri bamboccioni ne sanno in ogni caso a palate più dei loro genitori: guardano quotidianamente serie e film in inglese, viaggiano dieci volte quanto i loro genitori, leggono e scrivono in codice, lanciano startup ogni due per tre, cercano di far fruttare ogni competenza possibile. E spesso ci riescono pure.

Altro che mammoni, i giovani italiani, se questo Paese sopravviverà alla marea di sfiga e incompetenza della generazione dei loro genitori, saranno quelli che l’Italia la ricostruiranno. Più simili alle loro nonne e ai loro nonni, che lo liberarono, che alle loro madri e ai loro padri, che di quella libertà non sono stati capaci di fare molto di più di uno slogan e che ora, che non hanno più briosche e che mangiano popcorn, li prendono pure per i fondelli.

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