Psicologia collettivaNostalgia canaglia: il mito sbagliato del passato

La nostalgia tende a mitizzare il passato piuttosto che a scommettere sul futuro. Il 69% degli italiani è convinto che nel complesso la qualità della vita fosse meglio prima

In un Paese come il nostro, martoriato da una crisi strutturale, viene istintivo volgere lo sguardo all’indietro verso un passato glorioso. La nostalgia, come appurato dal rapporto Censis-Conad, è un sentimento molto diffuso nel nostro Paese. È quel “si stava meglio quando si stava peggio”, che ritorna nei discorsi quotidiani per dare libero sfogo a un’immaginazione limitata dalle restrizioni del reale.

E in effetti di motivi per invidiare il passato ce ne sono tanti. Gli anni Sessanta, con il miracolo del boom economico, erano anni vitali in cui si costruiva il futuro di un nuovo Paese. I cicli espansivi erano accompagnati da miti positivi, vero motore di un nuovo ceto medio allargato: una progressione vitalistica fondata sulla forza di riscatto del lavoro, sulla spinta trasformatrice dei consumi, sulla leva securizzante della patrimonializzazione. Poi sono arrivati gli aspri conflitti sociali degli anni di piombo, ma allo stesso tempo cresceva la disponibilità di reddito delle famiglie a supporto della propensione al consumo. Sono gli anni in cui viene collaudata la scala mobile, che segna il momento più alto della stagione egualitaria. La reazione al terrorismo si eserciterà nel riflusso di quegli anni Ottanta, dove ognuno riscoprirà la propria soggettività. Sono anni, quelli, dell’ascesa dei grandi imprenditori, della creazione di brand di moda e del gusto italiano esportato nel mondo. Infine gli anni Novanta segnano la fine della storia, quando si lacera l’immaginario collettivo a livello sociopolitico e socioculturale, ma è ancora però forte la corsa al benessere e al consumo, con il decollo definitivo della grande distribuzione.

Il 69% degli italiani è convinto che nel complesso la qualità della vita fosse meglio prima. Solo in Grecia si registra una quota più alta

La storia repubblicana ci ha sempre offerto spunti immaginativi audaci a livello collettivo. Mentre ora il nostro immaginario è monopolizzato dall’ansia per il presente. Il lavoro precario, l’ascensore sociale bloccato, l’immigrazione ingestibile, la cinghia dell’austerità sono solo alcuni dei drammi della nostra epoca. Nostalgia canaglia, dunque. È facile rifugiarsi nel passato, rifugio verso un tempo che non si ama. La tentazione di crogiolarsi nel ricordo è forte, ma non è la soluzione per dipanare la matassa di un presente intricato.

Il 69% degli italiani è convinto che nel complesso la qualità della vita fosse meglio prima. Solo in Grecia si registra una quota più alta, pari addirittura al 92%. In Germania e nel Regno Unito le quote nostalgiche sono molto minoritarie. Anche in Francia e Spagna i nostalgici sono in quota inferiore rispetto al nostro Paese. La nostalgia tende a mitizzare il passato piuttosto che a scommettere sul futuro. Tranne Francia e Grecia, l’Italia è il Paese Ue in cui è più bassa la quota di persone convinte che rispetto a 30 anni fa le opportunità per avanzare nella vita siano diventate più eguali tra i cittadini. Ne è convinto il 38% degli italiani, contro il 46% della media Ue, al 48% della Spagna, il 54% della Germania, 55% dell’Inghilterra e 63% della Svezia.

L’immaginario della nostalgia è il precipitato di una stallo sociodemografico, quello dell’Italia, dove è presente una maggioranza di classi di età avanzata. Gli adulti nel nostro Paese sono molti di più dei giovani, è quindi naturale che si continui a reclinare la testa all’indietro. Inoltre le classi giovani, oltre a essere in minoranza, possiedono anche minore potere economico e sociale, da vent’anni in perenne calo. Succede dunque che alla parte del Paese più giovane, quella che dovrebbe rappresentare la vitalità, l’innovazione, l’energia della nazione, viene più facilmente attribuita quella classe di esperienze negative quali il precariato, la disoccupazione, l’insicurezza economica. Ciò comporta anche la mancata emancipazione della gioventù, che non riesce a staccare le radici dal terreno di casa. Così la dinamicità della società viene colpita da un immaginario di indolenza giovanile. E proprio i giovani erano stati negli anni passati la vera forza propulsiva di una società in crescita. Erano loro i protagonisti della nuova era industriale, della corsa ai consumi, dell’esplosione della soggettività postmaterialistica, così come nell’ambito della contestazione e della scalata alle nuove libertà individuali. Ci troviamo a vivere quindi una nuova fase dove la digitalizzazione e le nuove tecnologie informatiche tradiscono le aspettative e vanno a costituire la cornice di una fragilità giovanile senza precedenti.

LEGGI QUI LE ALTRE PUNTATE SUI TEMI DELLA RICERCA CENSIS/CONAD

X