Quesiti linguisticiPerché si dice “vecchio come il cucco”? Risponde la Crusca

La nascita dell’espressione potrebbe derivare dalla similitudine tra la civetta e il barbagianni, o ancora dal profeta Abacuc. La spiegazione dell’Accademia della Crusca

Tratto dall’Accademia della Crusca

Le espressioni vecchio come il cucco, più vecchio del cucco vengono usate per “indicare una persona molto anziana, o anche un oggetto quasi inservibile per la vecchiaia, o idee, concetti, notizie che non hanno nessun pregio di originalità, di novità” (GDLI). Le prime attestazioni di queste espressioni si hanno nel Cinquecento, nel romagnolo Tommaso Garzoni:

[…] ti mandano a casa una carne rossa come un gambaro, ò vecchia come il Cuco, la massara si spende un carro di fascine, o di legne per cuocerla, e manco si cuoce (Tommaso Garzoni, La piazza universale di tutte le professioni del mondo, Venezia, Paolo Meietti, 1592, p. 153).

Dobbiamo però aspettare la seconda metà del XIX secolo per veder riaffiorare l’espressione all’interno di testi letterari: nelle prose di Giosue Carducci (1835-1907) e poi nelle pagine dello scrittore marchigiano Alfredo Panzini (1863-1939):

Dunque siamo avvertiti: letteratura italiana non esiste e non può esistere, perché l’Italia non ha un centro letterario né lingua letteraria universalmente riconosciuta e comune. Dio mio! Ma tutto cotesto è più vecchio del cucco (Giosuè Carducci, Mosche Cocchiere, in Prose Scelte a cura di Emilio Pasquini, Milano, BUR, 2007).

Dal suono della voce si capiva chiaro questo pensiero: “E ora basta di discorsi vecchi come il cucco!” (Alfredo Panzini, La lanterna di Diogene, Bologna, Massimiliano Boni Editore, 1999).

Accanto a questa espressione, esiste anche il sintagma similare vecchio cucco con cui si indica una persona rimbambita o fuori di senno. Nei dizionari antichi, le espressioni precedenti non vengono menzionate né sotto vecchio, né sotto cucco. Sono i dizionari più recenti, quelli ottocenteschi, che iniziano a registrarle: nel Tommaseo-Bellini e nella V Edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca il sintagma vecchio cucco compare sotto la voce cucco. La prima attestazione letteraria di vecchio cucco è ancora in un’opera di Tommaso Garzoni:

Ma fra il volgo si può soggionger l’essempio di Talpino da Bergomo, vecchio Cucco, il quale non essendo obligato di stare in proposito più d’un quarto, & un minuto, […] dalla casa saltò nel pozzo […]. (Tommaso Garzoni, L’hospitale de’ pazzi incurabili, nuovamente formato & posto in luce da Tomaso Garzoni da Bagnacavallo. Con tre capitoli in fine sopra la pazzia, Piacenza, Gio. Bazachi, 1583, p. 16).

L’associazione frequente delle parole vecchio e cucco induce a considerare il cucco un esempio paradigmatico di vecchiaia e a riprova di ciò esistono anche altri sintagmi fissi che, pur non riportando la parola vecchio, correlano il cucco all’idea di vecchiaia (l’età e l’era del cucco, avere gli anni del cucco ‘fam. essere molto vecchio e antico’ GRADIT). Rimane comunque insoluta la questione su che cosa sia effettivamente il cucco. Tre sono le proposte possibili e visto che nessuna esclude l’altra, potrebbero essere tutte valide e aver contribuito in momenti e luoghi differenti a rafforzare la fissità dell’espressione e la sua diffusione.

1) Cucco: ‘cuculo’. La parola cucco in italiano può indicare il cuculo (Cuculus Canorus L.), i cui nomi cuculo, cucco e cucù, hanno origine dal verso ripetitivo che emette (cu-cu). Tutti i dizionari, antichi e contemporanei registrano le espressioni menzionate alla voce cucco ‘cuculo’. Ad avvalorare l’ipotesi che il cucco dell’espressione in questione sia il ‘cuculo’ contribuisce la presenza del sintagma l’era del cucù (accanto a l’era del cucco) per indicare un ‘tempo molto lontano’. L’Etimologico afferma: “già in lat. cucūlus significa ‘infingardo’ e ‘stupido’ e anche l’it. cucco è sinonimo di ‘babbeo’ per la permessività che mostra nei confronti dell’infedeltà della compagna; per la stessa ragione il fr. cocu è divenuto sinonimo di ‘cornuto’”. Dalla ricostruzione proposta nel dizionario citato, potremmo dedurre che vi sia una relazione tra l’idea di stupidità che il cuculo trasmette da tempi antichi, e la demenza senile tipica di chi è vecchio. Inoltre possono aver contribuito a rafforzare l’idea di vecchiaia, sia la ripetitività e monotonia del verso dell’uccello (i vecchi tendono a essere ripetitivi), sia la confusione con altre specie d’uccelli noti come stereotipi di vecchiaia: è il caso del barbagianni, uccello molto simile alla civetta che in un italiano ormai obsoleto è chiamata cuccoveggia dal latino medievale cucovaia, a sua volta dal greco koukkoubagia ‘civetta’ di origine onomatopeica (da cui il lucano cuccuvedde, il calabrese cuccuvèj, il sardo cuccumeu e ovviamente il toscano cuccoveggia).Effettivamente il barbagianni è sinonimo di ‘persona inetta, babbeo’ e anche ‘vecchio barbogio, brontolone’ (Devoto-Oli 2018).

Visto che il cuculo non è un uccello dalla vecchiaia proverbiale, l’ipotesi è che il nome cucco sia stato spesso associato e forse confuso con quello di cuccoveggia ‘civetta’, e che la similarità della civetta con il barbagianni abbia portato a trasferire il significato di ‘vecchio barbogio’ alla forma cucco. Non si hanno tuttavia prove in tal senso. D’altra parte, non si hanno neppure testimonianze dell’accostamento diretto tra l’immagine del cuculo e quella della vecchiaia: piuttosto nei detti popolari il cuculo-cucco viene usato per annunciare la buona stagione e i momenti legati alla semina. Dal repertorio dello Strafforello (La sapienza del mondo, ovvero Dizionario universale dei proverbi, del 1883) confrontato con il repertorio di Boggione-Massobrio, si nota che il cuculo può essere usato come esempio di caratteristiche morali, come quella di un’indole approfittatrice, visto che depone le uova nei nidi altrui senza costruirsene uno proprio (il cuculo fa l’ova nel nido della sterpazzola, il cuculo insegna a fare il nido agli altri e si risparmia di fare il suo), o come modello di egocentrismo (il cucco nomina sé stesso). Al limite esiste un gruppo di proverbi in cui il cuculo, proprio in virtù del suo verso, è paradigma di ripetitività e di immutabilità nel tempo: Se il cuculo cantasse per cent’anni, canterebbe sempre cu-cu; canta sempre la stessa canzone; il cuculo canta all’anno nuovo, come cantò all’anno vecchio; cu-cu canta sempre il cuculo, e cu-cu sempre il figlio del cuculo. Del gruppo fa parte anche il proverbio il cuculo, quantunque vecchio, canta sempre la stessa canzone: all’uccello in questione viene associata l’idea della vecchiaia che, nonostante non sia una proprietà caratteristica del cuculo (come la ripetitività e la monotonia del verso cui si fa riferimento nel proverbio), può alludere alla sua longevità.

2) Cucco: bacucco ( > ‘Abacuc’). Cucco potrebbe derivare da bacucco: il parallelismo dell’espressione vecchio bacucco e vecchio come il cucco o vecchio cucco si spiegherebbe in questo caso, dalla caduta della sillaba ba-. Per quanto riguarda bacucco, si apre una rosa di ipotesi sull’etimologia della parola. Cominciamo con la prima riportata nel DEI e poi ripresa nel DELI:

Dal n. del profeta (H)abacuc, che ha lasciato parecchie tracce nei dial. it. con sfumature peggiorative suggerite dal suffisso –ucco […]. L’ant. iconografia rappresenta il profeta “in aspetto senile, barbato e pensoso” (Enc. Catt. I 6). G. Berchet (1829) cita, nelle Fantasie, il prov. ‘vecchio come Abacuc’ (ediz. Bellorini, I, Bari, 1911, p. 68).

Non si hanno altre attestazioni del proverbio di Berchet, né il profeta Abacuc è noto per una vecchiaia proverbiale, come può essere invece il patriarca Matusalemme. Migliorini nota come:

nel piem. Profeta Bacuch ‘inventore, spifferasentenze’ si ravvisa il nome di HABACUC, l’ottavo dei profeti minori […], ma il nome non avrebbe preso questo significato se non ve l’avesse spinto la risonanza vagamente spregiativa del suffisso –ucco (badalucco, cucco, mammalucco, ven. baùco ‘tonto’, ferrar. Baciuc ‘baciocco’, ecc.). (Bruno Migliorini, Dal nome proprio al nome comune, Genève, Leo S. Olschki, 1927, p. 285).

Infine vale la pena ricordare la statua del profeta Abacuc di Donatello, conservata nel Museo dell’Opera del Duomo di Firenze. Questa statua, datata alla prima metà del Quattrocento, fu soprannominata la statua dello Zuccone, proprio perché il profeta è raffigurato glabro, esibendo una forte rotondità della testa che ricorda quasi quella di un uovo. Il profeta Abacuc sembra avere la testa a uovo, che in Toscana viene detto cucco o cocco (con cui si designa anche il fungo ovolo, che ricorda, nella sua forma, l’uovo): chi può dire che questa associazione non abbia contribuito alla caduta della sillaba ba– di bacucco > da Abacuc?

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