Il tempo è finito. La crisi sociale, economica e ambientale è un dato assodato. La convinzione è diffusa, ma la politica non ha ancora fermato la macchina della comunicazione a frasi fatte per riflettere in profondità su come affrontare questi tre macro temi.
Dall’altra parte dell’Atlantico, la vittoria di Trump è stata un’occasione di confronto per trovare una strategia di sviluppo di lungo termine che sappia coniugare prosperità, ambiente ed equità sociale. A fronte dell’incapacità dell’establishment democratico di proporre un piano che affrontasse in maniera radicale l’ineguaglianza sociale e l’immenso problema ambientale e climatico, una rete di attivisti dell’ala sinistra Democrats ha proposto un piano apparentemente nuovo. Il nome è Green New Deal (GND) — un termine che s’ispira al New Deal di Franklin Delano Roosevelt presentato negli anni Trenta. E nelle ultime settimane sta infuocando social e dibattito pubblico.
Lo scopo di questo piano è di decarbonizzare l’economia, puntando a produrre energia 100% da fonti rinnovabili, promuovere processi di efficientamento e economia circolare, investimenti pesanti in infrastrutture pubbliche per i trasporti, creando nuovo lavoro e realizzando un sistema di tutele crescenti nell’occupazione. Come sostenere economicamente questa transizione? Innanzitutto tassando i super-ricchi con un’aliquota del 70% per redditi superiori ai 10 milioni di US$ (in accordo anche con l’ultimo report di Oxfam secondo cui 26 super ricchi detengono la stessa ricchezza della metà più povera della popolazione mondiale). A seguire si dovrà realizzare il taglio di tutti i sussidi alle fonti fossili (dossier che aveva anche il governo giallonero italiano). Altre proposte potrebbero essere la tassazione su flussi e intensità degli input (ovvero di quanta energia e materiali un’impresa ha bisogno), alternativa o complementare ad una carbon tax. Sebbene un Green New Deal fu inizialmente lanciato da Obama, allocando 90 miliardi di dollari all’interno del piano di stimoli economici da 700 miliardi siglato con l’American Recovery and Reinvestment Act (oltre che riproposto nel 2016 dalla candidata presidenziale dei Verdi americani, Jill Stein), la nuova visione del GND avrebbe una dimensione decisamente più importante e gioverebbe di un momento particolarmente favorevole nei green investment.
Dietro la proposta del Green New Deal ci sono la deputata dem Alexandria Ocasio-Cortez e il movimento Sunrise, ma anche altri congressman e congresswoman come Bernie Sanders, Cory Booker ed Elizabeth Warren, che guardano con interesse al movimento
Dietro la proposta del Green New Deal ci sono la deputata dem Alexandria Ocasio-Cortez esponente del gruppo Justice Democrats (una Politic Action Committee fondata il 23 gennaio 2017 da Cenk Uygur di The Young Turks, Kyle Kulinski di Secular Talk e un ex-dirigente della campagna presidenziale di Bernie Sanders del 2016) e il movimento Sunrise, ma anche altri congressman e congresswoman come Bernie Sanders, Cory Booker ed Elizabeth Warren, che guardano con interesse al movimento.
Perché questo pacchetto di proposte sta facendo tanto parlare di sé? Che differenza c’è rispetto a molte proposte analoghe che si sono susseguite nel passato? L’idea di contrastare i cambiamenti climatici e favorire il passaggio a un sistema economico più sostenibile, attraverso massicci investimenti pubblici, non è poi così nuova. Quel che è cambiato, in queste settimane, è il grande lavoro di creazione di consenso attorno a queste proposte. Un lavoro basato su argomenti e strumenti nuovi e concreti, che uniscono ambiente e diritti sociali e del lavoro.
Per prima cosa il pacchetto di proposte è stato reso molto più accettabile e appetitoso attraverso tre passaggi. Da un lato, si è reso più stretto il collegamento tra ambientalismo e critica al neoliberismo. Il Green New Deal non punta solo a ridurre le emissioni, ma a sostenere una nuova visione di economia, basata su solidi pilastri sociali, che opera per ridurre le distorsioni create dai rapporti di forza vigenti e il grosso gap economico tra le classi, creando forte sostegno per una nuova stagione di investimenti in beni pubblici e beni comuni. Dall’altro lato, il cuore delle proposte del GND è legato all’idea di una “giusta transizione” da un paradigma economico all’altro. Sono infatti proposte politiche a sostegno della formazione di coloro che ancora non possiedono le competenze per trovare opportunità in questo scenario alternativo, creando una “federal job guarantee”, ovvero un reddito di base per chiunque voglia formarsi per trovare un lavoro nei settori collegati alla green economy, all’economia circolare e alla gestione di servizi di pubblica utilità. Occupazione con un ritorno non solo economico, ma anche sociale e ambientale, che dovrebbe generare un impatto economico positivo enorme, compensando gran parte delle esternalità negative dell’economia lineare neoclassica. Da ultimo, la recente proposta di innalzamento della tassazione dei redditi dei super ricchi (lo 0,05% della popolazione), è servita a rendere tutto il pacchetto più credibile, catturando l’attenzione dell’opinione pubblica.
Attorno al Green New Deal si sta costruendo una macchina organizzativa impressionante, fatta soprattutto di giovani volontari
Grazie a questi tre passaggi il Sunrise Movement punta a collegare indissolubilmente ambientalismo, lotta alle disuguaglianze e promozione dei diritti, allargando di molto la base di consenso potenziale attorno a questo pacchetto di proposte. Ed è qui che sta il secondo cambio di rotta osservabile, quello più significativo. Attorno al Green New Deal si sta costruendo una macchina organizzativa impressionante, fatta soprattutto di giovani volontari. La Ocasio-Cortez è “solo” il megafono di un movimento su larga scala che si sta rapidamente espandendo. Il sit-in nell’ufficio di Nancy Pelosi e la polemica interna al Partito Democratico generatasi intorno alla costituzione di una commissione parlamentare dedicata a questi temi (con la richiesta di non prendere in considerazione deputati e senatori sostenuti da grandi corporation) sono solo la punta dell’iceberg di una campagna di pressione (il “Road to a GND Tour”) che è concepita come una vera e propria campagna politica itinerante progettata per garantire al GND il sostegno di leader politici (tutti i politici eletti, dai membri dei consigli comunali ai legislatori federali) e reti di associazioni, in tutto il Paese. Nei prossimi mesi, partirà un tour per promuovere il Green New Deal in tutto il Paese. Come parte della nuova iniziativa, gli organizzatori stanno già formando un’armata di volontari – online e di persona – per realizzare eventi locali, promuovere campagne ed illustrate i vantaggi del progetto a tutti i potenziali elettori.
E in Italia? È possibile pensare di articolare una proposta simile anche nel nostro Paese? Gli obiettivi e le idee alla base del Green New Deal sono largamente condivisibili, e sono già state in parte riprese da think tank e associazioni. Allo stesso modo, simili sono le disuguaglianze relative alla distribuzione di redditi e patrimoni, su cui si potrebbe fare leva per finanziare un piano di questo tipo. A mancare, ad oggi, non sono solo dei protagonisti politici che possano portare avanti questa campagna in maniere credibile, ma soprattutto una macchina di costruzione del consenso paragonabile a quella progettata dal Sunrise Movement. Per immaginare che una proposta del genere possa avere successo, bisogna partire dalla costruzione di una rete di sostegno capillare e radicata, scatenando un’energia dal basso capace di scuotere i vertici della politica e l’ambientalismo nostrano, stanco e ancillare. Chi è disponibile ad attivarsi batta un colpo.