Verità scomodeSprofondo Sud: per un meridionale su tre la cultura non esiste (e va sempre peggio)

La povertà del Mezzogiorno sembra non essere solo materiale. Ma non è solo una questione di minore o maggiore disponibilità di denaro. Quello che manca al Sud sono anche gli stimoli culturali. E i risultati inferiori dei test degli studenti meridionali lo dimostrano

Con la cultura non si mangia, era stato detto. Ma guarda caso dove c’è meno cultura si mangia meno. Ovvero, fuor di metafora, l’economia va peggio. È questo che ci dicono i dati, in questo caso dell’Istat, sul divario tra le regioni italiane in tema di lettura dei libri, frequenza dei teatri, visite ai musei, ecc. La povertà del Mezzogiorno pare non essere solo materiale.

In generale coloro che non hanno mai svolto alcuna attività culturale e ricreativa di quelle esaminate (lettura, visita a musei, frequenza di cinema e teatri, lettura dei giornali) sono molti di più al Sud, dove superano il 30% in tutte le regioni tranne la Sardegna, che al Nord, dove sono solo il 7,8% in Trentino Alto Adige, il 10,8% in Friuli Venezia Giulia, il 13% in Emilia Romagna.

In particolare i divari maggiori sono nelle percentuali di lettori di libri e spettatori di teatro. Più del 45% dei residenti dalla Toscana in su ha letto almeno un libro in un anno, con punte del 53,1% in Trentino Alto Adige e del 50,6% in Friuli Venezia Giulia, mentre si scende sotto il 30% in quasi tutto il Mezzogiorno, fino a un misero 25,8% siciliano.

Nel caso del teatro nelle regioni con meno spettatori, Molise e Calabria, la percentuale di chi ha visto uno spettacolo in un anno è la metà di quanti fanno lo stesso nel Lazio e nel solito Trentino Alto Adige.

Altre conferme arrivano dalle statistiche su quanti visitano i musei. Sono intorno al 40% nelle regioni più virtuose del Centro-Nord, intorno al 20% in quelle del Sud.

È un problema di reddito?

Certamente è ragionevole ipotizzare un legame, andare a teatro costa, anche comprare dei libri o acquistare il biglietto di un museo.

Tuttavia alcuni elementi saltano all’occhio. Se si passa da alcune attività culturali ad alcune ricreative più leggere, ecco che le differenze tra le regioni calano. Lo si vede nel caso dei frequentatori di cinema. È il Lazio la regione con più cinefili, con il 59,5% degli abitanti che è andato a vedere un film, ma alcune regioni del Mezzogiorno non se la cavano molto peggio di quelle del Nord. In Campania infatti la stessa percentuale è del 48,6%, come in Veneto, poco meno che in Lombardia, e solo in Sardegna si scende poco sotto il 40%.

Per quanto riguarda gli spettatori di manifestazioni sportive (prevalentemente il calcio, possiamo immaginare), quasi ovunque questi risultano essere tra il 20% e il 30%, con differenze molto ridotte tra le regioni.

Una conferma arriva dai dati sui lettori di giornali, che crescono in modo molto chiaro da Sud a Nord, con distanze in certi casi anche di 20 punti, e da quelli sui frequentatori di discoteche, che hanno un picco tra Emilia Romagna e Marche – e non vi è da stupirsi in questo – ma che presentano percentuali analoghe in Campania e Sicilia e in Lombardia e Veneto.

Le distanze medie tra le regioni sono più ridotte nel caso della frequenza di eventi sportivi o di discoteche e più alte in quello della lettura di libri e giornali e della visita ai musei.

Andare in discoteca, allo stadio, al cinema costa come e più che visitare un museo o comprare un libro. Eppure questi soldi vengono spesi nella stessa misura o quasi anche laddove i redditi sono inferiori. Non ci si può quindi attaccare in modo consolatorio all’argomento della maggiore povertà.

Vi è una carenza di stimoli culturali al Mezzogiorno, di cui si deve prendere atto. Piuttosto vi è da chiedersi l’opposto, se sia questa minore fame di cultura a contribuire al minore sviluppo economico del Sud.

Viene spontaneo mettere in collegamento i due elementi, ma correlation is not causation, lo sappiamo. È più probabile che a monte vi siano ragioni che determinano contemporaneamente un dinamismo economico e culturale molto deboli.

La qualità dell’istruzione, per esempio, che i test Invalsi, per quanto detestati (anche perchè rivelano verità antipatiche) mostrano essere costantemente molto minore al Mezzogiorno, con gli studenti calabresi o campani che ottengono risultati inferiori anche rispetto agli studenti di origine straniera, ma residenti al Nord.

Il secolare divario tra Centro-Nord e Sud Italia non può essere solo affrontato come una questione di maggiore o minore Pil, di presenza o meno di imprese produttive. Non c’entra solo l’economia, insomma.

Non è un caso che decenni di interventi straordinari, di aiuti, anche europei, non hanno avuto successo, al di là della malagestione che li ha caratterizzati. Al contrario di quanto accaduto in altre aree come la Germania Est, o i Paesi dell’Europa Orientale che si stanno avvicinando velocemente ai livelli di sviluppo italiani (superando ormai quelli del Mezzogiorno, appunto). In Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, basti guardare i test Pisa, vi è una situazione strutturale, a livello di istruzione e cultura, molto migliore.

Le infrastrutture sono indispensabili allo sviluppo, ma non ci sono solo ponti e autostrade, vi sono anche quelle immateriali, la cultura è tra queste, e gli investimenti tanto invocati probabilmente dovrebbero iniziare a essere mirati al rafforzamento di queste, prima che sia troppo tardi.