La principale sospettata dell’omicidio più discusso degli ultimi 15 anni dovrà essere risarcita dallo Stato italiano. Il 6 novembre del 2007 cinque giorni dopo l’omicidio della sua coinquilina inglese, Meredith Kercher, gli inquirenti di Perugia interrogarono Amanda Knox senza un avvocato e senza un interprete indipendente. Per questo la Corte europea dei Diritti umani ha condannato l’Italia a pagare oltre 18mila euro (10.400 per danni morali, 8mila per le spese processuali).
In tanti hanno criticato la carnefice che diventa vittima e l’inutilità della corte europea dei diritti umani (ricordiamo nulla c’entra con l’Unione europea), ma basterebbe fare un respiro profondo, contare fino a dieci prima di scagliare la propria pietra social. Nella sentenza della Cedu c’è scritto che Amanda non ha ucciso Meredith? No, quello l’ha stabilito la Cassazione nel 2015, assolvendo anche Raffaele Sollecito, l’altro accusato per l’omicidio. La Corte ha affermato che è stata torturata? No, anzi, è stato chiarito che Amanda non è stata schiaffeggiata sulla testa né privata del sonno durante l’interrogatorio, come invece ha sostenuto la Knox nella richiesta di risarcimento. La Cedu ha solo ribadito un concetto fondamentale: anche il peggiore dei killer, o dei sospettati di un omicidio ha il diritto di avere tutte le garanzie base di ogni indagato, qualcuno che la difenda e un traduttore imparziale se si è stranieri. Senza non si può essere interrogati, a meno di non voler rimettere le lancette a prima del 1943. È lo stato di diritto bellezza, e non possiamo, né vogliamo, farci nulla.
“Garantista” è diventata una parolaccia. Ma senza lo stato di diritto chiunque potrebbe fare di noi ciò che vuole: metterci in carcere, torturarci, farci confessare il falso.
Sembra un concetto banale, ma in questo Paese la vendetta è più importante della giustizia. Si sbatte il mostro in prima pagina o in pubblica piazza e non si aspettano i tre gradi di giudizio prima di condannare una persona mediaticamente. “Garantista” è diventata una parolaccia. Ma senza lo stato di diritto chiunque potrebbe fare di noi ciò che vuole: metterci in carcere, torturarci, farci confessare il falso.
L’errore degli inquirenti è stato fatto proprio nell’interrogatorio chiave delle indagini, a pochi giorni dall’omicidio, avvenuto tra il primo e il due novembre. Nella confessione incriminata, fatta senza avvocato alle 5.45 di mattina, Amanda accusò Patrick Lumumba, proprietario in un pub perugino dove lavorava, di aver ucciso Meredith. L’accusa si rivelò infondata e per questo ha dovuto scontare tre anni di prigione per calunnia. La Corte ha stabilito che non c’era un interprete indipendente, ma un impiegato della polizia che ha agito da mediatore, “con fare materno” e l’ha incoraggiata a “immaginare scenari ipotetici” sulla notte dell’omicidio. Una pressione psicologica forte per una “giovane donna straniera di 20 anni, in Italia da poco tempo, senza una buona conoscenza dell’italiano”. Perché non siamo arrabbiati con chi non ha interrogato fin da subito nel modo più legale possibile Amanda fornendole subito un avvocato e un interprete indipendente? Anche per colpa di quell’interrogatorio gestito in modo illegale il processo è stato compromesso e. Senza contare che secondo la corte: “Nessuno ha mai indagato sulle accuse fatte da Amanda Knox riguardo il comportamento della questura Perugia, nonostante le ripetute lamentele”. Non dovremmo indignarci con uno Stato che non si preoccupa di difendere i più deboli?
È legittimo pensare che Amanda Knox abbia ucciso Meredith, si può giudicare di cattivo gusto l’aver partecipato a un documentario di Netflix sul delitto di Perugia invece di scegliere il silenzio. Ed è curioso che l’unico condannato Rudy Guedè, debba scontare una pena per concorso in omicidio, quando gli altri che lo avrebbero aiutato a uccidere Meredith non sono stati identificati. Tutto legittimo e non sapremo probabilmente mai la verità. Una sola cosa è certa: la polizia ha fatto tanti errori nel raccogliere le prove e le informazioni, violando il diritto di difesa. Ed è questo, solo a questo a cui si riferisce la sentenza della Corte europea di Strasburgo.
Nella solita bufera social non tutti hanno notato un’altra decisione ben più importante della Cedu che ha condannato l’Italia per non aver protetto i cittadini di Taranto residenti nell’area vicina all’impianto ex Ilva, dalle emissioni tossiche della fabbrica. Ma commentare questo nei social network non paga.