Nei primi anni di vita noi impariamo apprendendo dall’ambiente, dagli stimoli sensoriali e dalle indicazioni/reazioni delle persone intorno a noi. Impariamo agendo, non studiando. Impariamo a fare cose difficilissime: a stare in piedi, camminare, prendere e spostare oggetti, parlare.
I software alla base dell’intelligenza artificiale, così come le macchine e i computer che la usano, funzionano in modo molto simile: alla loro nascita non sanno molto e sanno fare anche meno, ma imparano dall’esperienza. Si chiama “machine learning”, traducibile in apprendimento automatico, ed è un insieme di metodi pensati per fare tesoro degli errori, anche grazie alla notevole velocità di calcolo dei computer.
Tra un infante e un computer ci siamo noi, che dai sei ai 18 anni (più o meno) siamo obbligati ad andare a scuola, dove studiamo in modo quasi completamente slegato dall’azione. Studiamo in modo doppiamente mediato: mediato dai libri e mediato dagli insegnanti, che ci dicono cosa è giusto e cosa è sbagliato e ci valutano di conseguenza, insegnandoci ad aspettarci segnali altrettanto chiari in futuro.
Finita la scuola dell’obbligo molti di noi continuano a studiare: all’università dobbiamo imparare a organizzare lo studio e a fare qualche scelta in più, per esempio il piano di studi o l’argomento della tesi, ma continuiamo a imparare poco dall’esperienza e moltissimo da testi e insegnanti. Dimentichiamo cosa vuol dire imparare a camminare cadendo e rialzandoci infinite volte: in un certo senso veniamo programmati in modo molto più preciso di quanto accada a un software avanzato.