Il segreto per capire la mente di uno scrittore? Leggete i diari di Virginia Woolf

Esce l'ultimo volume che raccoglie le memorie della scrittrice dal 1897 al 1941. Circa 770.000 parole scritte fino a quattro giorni prima della morte. Le confessioni della "Shakespeare del genere diaristico" sono come l’Ulisse di Joyce o la Recherche di Proust

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Nel diario non c’è il cuore dello scrittore – lo scrittore ipotizza sempre un “pubblico”, fosse la platea dei morti. Il “genere’”specifico – il diario – obbliga lo scrittore a confessarsi – ma la confessione non è uno specchio, è una farsa. Si confessano le maschere, si riflettono menzogne. Per questo, sono materiali decisivi i diari degli scrittori. Esprimono la loro fiducia nel falso, sono sortilegi autobiografici, l’epifania della leggenda. Attraverso il diario, di solito, lo scrittore cancella le sue tracce, ordisce un’orda di truffe a suo danno, per vanificare, fin da subito, l’opera becera dei biografi, il loro belato da farisei. D’altronde, la letteratura nasce dal diario: un uomo che scrive i propri atti, ne prende responsabilità, si perde, e giustifica, sorridendo, i propri errori. Nella notte delle utopie, ho sognato di costruire una collana editoriali di ‘diari’. Gli scrittori, liberi dalla prigionia narrativa, di solito, fanno scempio di sé nei diari, danno mostra di implacabile maestria.

Tra i diaristi, il ruolo supremo, dicono gli esperti – “è lo Shakespeare del genere diaristico”, ha scritto Anna Jackson; “riluce in essi un risultato letterario pari ai suoi romanzi maggiori”, ha detto Quentin Bell – spetta a Virginia Woolf, la quale, “dal primissimo diario, abbozzato all’età di quattordici anni, riempie i propri diari di vita, di vita che respira” (Barbara Lounsberry). Un vero avvenimento culturale, dunque, è la pubblicazione, per la University Press of Florida, di Virginia Woolf, the War Without, the War Within: Her Final Diaries and the Diaries She Read (2018).

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