E così la tanto attesa “Pace Fiscale” è diventata legge, ed è oggi sventolata su tutti i profili Facebook dei principali esponenti del Governo. Il primo a promuovere il provvedimento è stato il sottosegretario Armando Siri, del quale è ancora sconosciuto il titolo di studio, mentre è noto il suo palmares giudiziario, che comprende un patteggiamento per bancarotta fraudolenta: non male per un presunto esperto di economia.
Ma veniamo al provvedimento: la cosiddetta “pace fiscale” descrive una riduzione delle somme dovute per alcune tipologie di debiti, tra questi, tasse non pagate, e contributi non versati. Un diritto che può essere esercitato non solo da chi si trova con reddito ISEE inferiore a 20.000 euro, come hanno intelligentemente fatto intendere attraverso una comunicazione piuttosto ambigua, ma anche da chi si trova in una situazione economica migliore, grazie alla cosiddetta “rottamazione”, o “Definizione agevolata”, prevista dal D.L. 119/2018.
Non c’è quindi da stupirsi, se sotto ai post di annuncio del provvedimento, si trovino centinaia di commenti di tripudio, e di “non lo dimenticheremo”. D’altronde, chi non sarebbe contento di vedersi ridotti dei debiti, senza fare assolutamente nulla? Beh una categoria di persone scontente ci sarà invece, e sarà quella composta da contribuenti e lavoratori che hanno scelto di pagare imposte, versare contributi e rispettare il pagamento di debiti. Insomma, la parte più “ordinaria”, ed evidentemente sprovveduta, del paese.
È la regola della democrazia in Italia: i provvedimenti “acchiappa voti” rafforzano il consenso e consolidano le rendite di posizione
Ma è questa la regola della democrazia in Italia: negli ultimi settant’anni non ci siamo fatti mai mancare i provvedimenti “acchiappa voti”, utili a rafforzare il consenso e consolidare le rendite di posizione. Le baby pensioni, le mega assunzioni nella PA, le mance a breve termine, il reddito di cittadinanza, e, oggi, la pace fiscale: la tradizione è, purtroppo, molto antica.
Il “governo del cambiamento” si porta a casa l’ennesimo provvedimento figlio di una cultura sempre più vicina all’assistenzialismo, e sempre più lontana dalla crescita. Un modello di politiche pubbliche utili solo a garantire i voti per la scadenza elettorale più vicina. Un vecchio, nuovo modo di fare politica.