Padani, vaffanculo e cori razzisti: i dieci anni (portati malissimo) della politica italiana

Salvini, Grillo, Di Maio, Renzi e Berlusconi, com'erano e cosa facevano nel 2009 i protagonisti della politica italiana di oggi? Ecco la #TenYearChallenge dei politici di casa nostra

I social network hanno una nuova ossessione: la #TenYearsChallenge. Attori, sportivi, e celebrità più o meno famose hanno invaso Instagram, Twitter e Facebook con le loro foto di dieci anni fa. La scusa è vedere come passa il tempo, l’obiettivo è dimostrare che non si è invecchiati così tanto o che si è migliorati, e di molto, dal 2009 a oggi. Nell’album però mancano le foto dei nostri politici. E a dire la verità non sono invecchiati benissimo. Com’erano e cosa facevano Matteo Salvini, Luigi Di Maio, Silvio Berlusconi e Matteo Renzi dieci anni fa? Nel 2009 non c’erano il Var, Instagram o Alexa di Amazon. Da poco era esploso il fenomeno Facebook, guardato ancora da tutti con simpatia come la curiosa invenzione di un nerd che aveva abbandonato il college. E avere Myspace o un indirizzo di posta elettronica @hotmail.it non era considerato così stravagante come oggi.

Matteo Salvini era un vivace attivista della Lega e dopo tredici anni al consiglio comunale di Milano, era stato eletto al Parlamento europeo con 70.021 voti, il più votato dopo l’allora leader Umberto Bossi. Salvini credeva così tanto che la Padania non fosse l’Italia da scriverselo sulla maglietta e non aveva ancora sviluppato una grande interesse per il sovranismo del Belpaese: “Ci sono nove padani in Parlamento a fare da guastatori per far saltare qualsiasi ponte che porti in Turchia o da quelle parti”. Salvini amava molto le sagre e le feste di partito, una passione rimasta intatta anche dieci anni dopo. Allora però aveva molto più tempo per conoscere e capire il sentimento della base, anche perché da eurodeputato il calendario degli impegni era meno fitto rispetto a quello di ministro dell’Interno. Alla festa di Pontida del luglio 2009 tra birre e salsicce, Salvini ebbe modo di intonare con degli attivisti il coro “Senti che puzza, scappano anche i cani, sono arrivati i napoletani, colerosi, terremotati, voi col sapone non vi siete mai lavati”: Al tempo, non aveva ancora così a cuore la questione meridionale e il destino dei popoli italiani. Come si cambia.

“Non siete cortesi” ha risposto il garante 5 stelle agli studenti di Oxford che lo hanno contestato qualche giorno fa. Non è più l’uomo del Vaffaday, l’evento che organizzò per mandare a quel paese i politici. Ma, si sa, chi non cambia mai idea è uno stupido, no?

Il Partito democratico era nato da poco più di un anno e già non si sentiva benissimo. Walter Veltroni, che oggi fa documentari su Berlinguer e interviste per il Corriere dello Sport, l’anno prima aveva guidato il partito alla sconfitta alle elezioni, (-9% dal vincitore Silvio Berlusconi a capo del Popolo delle Libertà) e si era dimesso dopo un’altra batosta elettorale, in Sardegna. Dieci anni dopo nell’isola le chance di vittoria dei dem rimangono basse. “Non bisogna fare la politica a vita” e magari “fare volontariato in Africa”, aveva promesso da Fabio Fazio in tv. Ma in dieci anni nessuno l’ha visto mettere piede nel continente nero. Al suo posto nel 2009 diventò segretario Dario Franceschini. “Dario è la persona giusta per guidare il partito verso le nuove sfide che penso potranno vedere per il Pd quei successi che merita”. La persona giusta, vero, ma solo per nove mesi, giusto il tempo di eleggere Pierluigi Bersani segretario del partito.

E dire che nel luglio 2009 Beppe Grillo si era candidato alle primarie del Partito democratico, chiedendo la tessera, ma la sua candidatura non era stata accettata. Anche per questo il 4 ottobre decise di fondare con GianRoberto Casaleggio il Movimento 5 stelle al teatro Smeraldo di Milano. Dieci anni dopo, tornando indietro forse qualche dem sarebbe disposto a dare la tessera al comico genovese. Nel 2009 Grillo sognava un’organizzazione politica dal basso pronta ad aprire il Parlamento come una scatola di tonno e a sovvertire il sistema. Due legislature e cinque governi dopo non ci sono ancora riusciti, e uno non vale uno, ma ci stanno lavorando. Nel frattempo Casaleggio senior è passato a miglior vita e Grillo è tornato a fare il comico andando a fare i comizi in giro per il mondo. “Non siete cortesi” ha risposto il garante 5 stelle agli studenti di Oxford che lo hanno contestato qualche giorno fa. Non è più l’uomo del Vaffaday, l’evento che organizzò per mandare a quel paese i politici. Ma, si sa, chi non cambia mai idea è uno stupido, no? Di Maio invece le idee le ha sempre avute chiarissime così, forse anche troppo, visto che il 24 maggio del 2009 fu sbattuto fuori da un comizio locale del Partito Democratico a Pomigliano d’arco, la sua città natale. Con jeans, polo azzurra e il 3 di Fabio Grosso sulla schiena aveva rimproverato i dirigenti locali di essere poco onesti, dimostrando già allora poca simpatia per il Partito democratico.

“Torna a pensare che il Pd fiorentino più che le primarie ci voglia il primario” twittava l’8 gennaio, mostrando come dieci anni fa andasse di moda scrivere i tweet e post in terza persona.

Il capo politico dei 5 stelle nel 2009 non conosceva ancora personalmente Matteo Renzi, ex presidente della provincia di Firenze e quell’anno diventato sindaco del capoluogo fiorentino. Allora Renzi non aveva ancora molta cura della sua immagine. Non ci sono altre ragioni per spiegare la sua locandina da sindaco che nei dieci anni successivi ha aiutato molti suoi detrattori a paragonarlo a Mr. Bean ma aveva già analizzato bene le lotte interne al suo partito: Torna a pensare che per il PD fiorentino più che le primarie ci voglia il primario!” twittava l’8 gennaio, mostrando come dieci anni fa andasse di moda scrivere i tweet e post in terza persona. Con qualche chilo in meno e qualche capello in più, Renzi dieci anni fa mostrava lo stesso piglio di oggi. E, a dire il vero, anche i temi non erano poi così diversi. La prova di questo eterno ritorno politico è il confronto tv a Omnibus su La7 tra lo stesso Renzi e Salvini: “Il problema della sicurezza non lo risolvi a colpi di slogan, perché avete tolto soldi alla polizia?”, diceva l’allora sindaco di Firenze al leghista. Dieci anni dopo cambia solo il terreno di scontro: i social network.

Ultimo ma non ultimo Silvio Berlusconi: nel 2009 era all’apice del potere: le cene eleganti, le olgettine e le nipoti di Mubarak erano ancora di là da venire, o almeno l’opinione pubblica ancora non le conosceva. L’allora moglie Veronica Lario però ne aveva già abbastanza delle candidate dell’allora popolo della libertà: “Le veline candidate? Ciarpame senza pudore per il potere” dichiarò in una lettera a Repubblica. Fu l’inizio della fine, la prima goccia che scavò la roccia del berlusconismo. E pensare che allora il problema principale del cavaliere era tenere nel suo Milan Kakà, il fenomeno brasiliano tentato dai soldi del Manchester City. Allora fare deficit non era un problema: nel 2009 il governo Berlusconi arrivò addirittura al 5,3%. Il Cavaliere si giustificò dicendo che doveva affrontare la peggiore crisi economica dalla seconda guerra mondiale. Dieci anni dopo il governo gialloverde ha chiesto alla Commissione europea di fare il 2,4% di debito per uscire dalle conseguenze delle austerità che i tecnici dovettero imporre per tappare il buco creato (anche) da quel deficit. Passano gli anni e il lupo italico perde il pelo, ma non il vizio.

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