Guai in vistaBomba Italia: ecco perché la nostra crisi può far crollare l’economia mondiale

I numeri del Fondo Monetario certificano il crollo della crescita allo 0,6%. Soprattutto però, mettono l’Italia tra i tre grandi rischi del pianeta insieme a Cina e Gran Bretagna. I nostri problemi? Debito e produttività. E la manovra di un governo che fa orecchie da mercante

Zerovirgolasei. Il Fondo monetario internazionale nell’aggiornare l’Outlook pubblicato ad ottobre, conferma le previsioni della Banca d’Italia: la crescita italiana quest’anno sarà dello 0,6 per cento, nove decimi di punto inferiore all’obiettivo originariamente fissato dal governo e quattro decimi meno delle precedenti proiezioni. Adesso ne sentiremo di tutti i colori, compreso il fatto che Fmi e Bankitalia si sono messi d’accordo in un gran complotto che fa capo, naturalmente, a George Soros. Finora i governativi (ministri, consiglieri, economisti arruolati) hanno preso atto a malincuore del “rallentamento” gettando la colpa sulla frenata dell’economia in Cina e in Germania. Il Fmi certifica che l’economia mondiale sarà più debole, anche se di poco (la crescita s’abbassa dal 3,7 al 3,5), la Cina passerà dal 6,6 al 6,2 e la Germania andrà più piano (1,3 rispetto a 1,5), ma ciò non basta a spiegare perché l’Italia sia il solo paese a cadere in una vera e propria stagnazione, tanto da diventare la miccia che può far esplodere l’economia internazionale.

Il primo rischio viene dal debito sovrano. È vero che lo spread è sceso dal picco raggiunto in ottobre, scrive il rapporto, ma rimane elevato attorno a 270 punti base, mentre restano stabili gli spread per i titoli emessi dagli altri paesi dell’area euro. Dunque, esiste una specificità italiana. In che cosa consiste? Innanzitutto in una crescita più lenta che ha contributo ad indebolire l’euro e influisce in modo determinante sull’andamento dell’intera area. In Italia, fattori determinanti sono la debole domanda estera e il costo più caro dell’indebitamento a causa degli elevati rendimenti dei titoli pubblici. In Germania la colpa è di consumi privati ancora fiacchi insieme a una domanda interna affievolita e alle norme sulle emissioni che hanno colpito l’industria dell’auto. Anche la Francia è fonte di preoccupazione a causa delle proteste sociali e degli scioperi. Ma, mentre in Germania e Francia prevalgono fattori per così dire esterni o straordinari (dai motori diesel ai gilet gialli) e la Gran Bretagna è stretta in una trappola politica come la Brexit, l’Italia soffre di malanni strutturali.

Colpisce senza dubbio leggere che la penisola viene considerata una fonte di rischio sistemico. Il fatto è, spiega il Fmi, che “un periodo protratto di rendimenti elevati metterebbe sotto stress le banche, pesando sulla attività economica e peggiorando la dinamica del debito”. Dunque la sequenza micidiale è spread, stretta creditizia, recessione, in sostanza la dinamica di una crisi innescata dal debito pubblico. Ci sono altri pericoli all’orizzonte, sia chiaro: c’è la Brexit, c’è soprattutto la Cina, cioè le preoccupazioni sulla salute della sua economia e il pericolo che la guerra dei dazi sfoci in una corsa al protezionismo. Tuttavia l’Italia è il paese che si sta dirigendo più rapidamente verso l’orlo del burrone.

Il Fmi consiglia, in generale, misure per aumentare la produttività, ampliare la partecipazione al lavoro, soprattutto delle donne, politiche fiscali che tengano sotto controllo l’indebitamento e politiche monetarie che ancorino le aspettative d’inflazione e sostengano l’attività economica. Ma c’è un passaggio chiaramente ispirato alla situazione italiana: “La politica fiscale dovrebbe assicurare che i tassi di indebitamento restino sostenibili di fronte alle più difficili condizioni finanziarie esterne”. E’ quel che sta facendo il governo?

Ci sono altri pericoli all’orizzonte, sia chiaro: c’è la Brexit, c’è soprattutto la Cina, cioè le preoccupazioni sulla salute della sua economia e il pericolo che la guerra dei dazi sfoci in una corsa al protezionismo. Tuttavia l’Italia è il paese che si sta dirigendo più rapidamente verso l’orlo del burrone

Sulla produttività nella legge di bilancio non c’è davvero molto e anche il sostegno agli investimenti è inferiore a quello del governo precedente. Il debito pubblico resta sostenibile, ma c’è un grande punto interrogativo perché non si sa ancora bene quale sarà la vera ricaduta sul deficit della maggiore spesa per pensioni e reddito di cittadinanza. Quanto all’impatto del rallentamento economico generale sulla domanda interna italiana, non sono all’orizzonte tamponi efficaci. Il bollettino della Banca d’Italia ha esaminato le principali misure prese dal governo, utilizzando i moltiplicatori del reddito basato sul modello econometrico di via Nazionale. Non è male leggere le conclusioni: “Tra gli interventi che determinano un incremento di spesa – scrive a pagina 43 – un impatto più elevato sul prodotto è associato agli investimenti pubblici il cui moltiplicatore è vicino all’unità dal primo anno”, sempre che siano realizzati in modo rapido ed efficiente.

E ancora: “I trasferimenti alle famiglie normalmente hanno un effetto meno intenso, con un moltiplicatore pari a poco meno di 0,5 ogni tre anni. Nelle proiezioni presentate, si è ipotizzato che il reddito e le pensioni di cittadinanza interessino le famiglie con una propensione al consumo elevata che implicherebbe un moltiplicatore pari a circa 0,7 dopo tre anni”.

E ancora: “Uno stimolo particolarmente elevato anche se graduale si può ottenere con misure volte ad abbassare il cuneo contributivo a carico delle imprese sul costo del lavoro, che favoriscono la competitività all’esportazione e sostengono i redditi reali delle famiglie; ne deriverebbe un moltiplicatore superiore all’unità dopo due anni”.

E infine, gli effetti negativi sul prodotto lordo di una variazione nelle condizioni finanziarie, nella fiducia delle imprese o nelle condizioni del credito, “derivano principalmente da una compressione della spesa per investimenti privati e risultano crescenti nel tempo”. In particolare, simulando una crescita di 100 punti base dei premi per il rischio sui rendimenti dei titoli di stato, cioè se lo spread aumenta dell’un per cento, “ne discende una contrazione del pil pari a sette decimi di punto percentuale dopo tre anni”.

In sostanza, la manovra ha scelto sussidi al reddito e pensioni invece di ridurre il cuneo fiscale e contributivo, ha deciso di incentivare i consumi invece degli investimenti, proprio mentre quelli privati vengono influenzati negativamente dalle tensioni sui titoli di stato e dalle incertezze internazionali. Eppure, sia un taglio dei contributi sia un aumento degli investimenti hanno un impatto sulla congiuntura più elevato e più rapido.

Può darsi che il modello econometrico della Banca d’Italia non funzioni e porti a conclusioni sbagliate, lo stesso può accadere con quello del Fmi. Aspettiamo che i luminari saliti sul carro giallo-verde elaborino modelli migliorI. Nel frattempo, che si fa? Allacciamo le cinture, chiudiamo le porte della cascina e mettiamo al sicuro il fieno, aspettando che passi la bufera?

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