Il dibattitoCaro Casaleggio, stai sbagliando: con le tue idee non finirà il lavoro, finirà l’Italia

Venerdì 22 febbraio, nella sala Buzzati del Corriere della Sera, Davide Casaleggio e Marco Bentivogli hanno presentato, alternandosi sul medesimo palco, le loro idee sul futuro del lavoro. Pubblichiamo una sintesi dell’intervento di Marco Bentivogli: “Il problema dell’Italia? Troppo poca tecnologia”

Venerdì 22 febbraio nella sala buzzati della storica sede del Corriere della Sera di Via Solferino, in occasione del lancio del nuovo dorso del corriere, Trovo Lavoro, è andato in scena un match a suo modo storico, seppur indiretto. A confrontarsi, Davide Casaleggio, presidente dell’associazione Rousseau, per molti il vero leader nell’ombra del Movimento Cinque Stelle, finora refrattario a qualunque dibattito, ha condiviso il palco con Marco Bentivogli, segretario generale della Fim Cisl. Il tema, il futuro del lavoro. Che per Casaleggio finirà nel 2054, laddove per Bentivogli parlare di fine del lavoro non ha alcun senso. Un confronto, va detto, che si è svolto in quel clima di garbo e rispetto che auspicheremmo di vedere sempre, nella politica italiana.

Le idee di Casaleggio sono note a tutti, e riassunte nel video prodotto dalla Casaleggio Associati. Per questo (ma non solo) pubblichiamo una sintesi dell’intervento di risposta di Marco Bentivogli. Perché offre spunti meno noti, e certamente contro-intuitivi, sebbene saranno al centro del suo prossimo libro, in uscita per Rizzoli il 19 marzo. Perché ha stravinto la partita degli applausi (anche se eravamo in centro a Milano e fa poco testo). Ma anche perché – siamo onesti – ne condividiamo il messaggio di fondo: che l’Italia sta subendo la rivoluzione tecnologica più di altri proprio perché qui, quella rivoluzione, non è ancora arrivata. E quando è arrivata l’abbiamo subita (FC)

Non è una semplice rivoluzione. Quello che stiamo vivendo oggi è il secondo balzo in avanti dell’umanità e Davide Casaleggio ha ragione quando dice che la crescita della tecnologia è esponenziale, che non è una delle tante opzioni possibili e che non è nemmeno rallentabile. Nella prima età delle macchine, la tecnologia aiutò a superare i limiti della potenza muscolare umana. In questa seconda età, lo stesso stimolo verrà applicato a superare le capacità cognitive degli esseri umani. La soluzione è potenziare l’umano, pertanto, investendo veramente sulla sua evoluzione cognitiva: da qui, ad esempio, la necessità del diritto soggettivo alla formazione lungo tutta la vita.

Perché non il reddito di cittadinanza? Perché no, il lavoro non finirà a causa di questo secondo grande balzo in avanti. La fine del lavoro è semplicemente una delle tante fake news, forse la peggiore. Perpetrata con la stessa retorica tecnofoba che vi fu tra la seconda e la terza rivoluzione industriale. È una fake news pure quella secondo cui questa fase vada affrontata tassando i robot oppure offrendo sussidi per mitigare l’impatto della disoccupazione tecnologica. Al contrario, quel che dimostra è che bisogna anticipare il cambiamento come sistema Paese, per ridurre quanto più possibile l’intervallo di compensazione tra la fase in cui si distruggono vecchi lavori e quella in cui se ne creano di nuovi.

Qui in Italia non è la tecnologia a cancellare i posti di lavoro ma la sua assenza

Per farlo, bisogna guardare innanzitutto in faccia alla realtà. Parlare oggi di un problema di iper-produttività è surreale, perlomeno in Italia. È vero, siamo il Paese in cui vi sono aziende e territori che hanno performance di produttività superiori al Baden Wurttenberg, aperte al commercio estero, creano occupazione, formano i lavoratori e crescono. Sono eccezioni, purtroppo. Da noi la produttività è al palo, tristemente, da decenni, e in alcune province la produttività è inferiore a quella greca. È un pezzo di Paese in cui le imprese – proprio a causa della scarsa pruduttività – licenziano e vivono di ammortizzatori sociali e in alcune regioni utilizzano di lavoro irregolare e altre illegalità.

In altre parole: qui in Italia non è la tecnologia a cancellare i posti di lavoro ma la sua assenza. E grazie a nuove tecnologie abilitanti, nuove organizzazioni del lavoro, formazione che possiamo parlare di reshoring, cioè il rientro di produzioni fino a ieri delocalizzate altrove. Non è un caso che i campioni di high tech del mondo, Giappone e Corea del Sud hanno tassi di disoccupazione tra i più bassi al mondo.Non solo: come si fa a dire se è cresciuta o meno la risorsa lavoro senza guardare ai dati demografici? Se l’età lavorativa è quadruplicata,, la popolazione aumenta, se la partecipazione delle donne al lavoro cresce solo recentemente?

Che fare, allora? Innanzitutto, lavorare su ecosistemi intelligenti, in cui mobilità, energia, pubblica amministrazione, rappresentanza, siano ripensati e con essi i nuovi spazi del lavoro e delle città. Pensate all’auto elettrica: se non ci metteremo sin da ora a pensare a un’ecosistema simile, sin da subito, in Italia ci arriverà tardi e resterà, solo da noi, un giocatolino per ricchi illuminati da tenere in garage. Questo vuol dire occuparsi di futuro, non fornire date e dati sulla fine del lavoro. Un esercizio, questo, che ha la stessa attendibilità delle interpretazioni del calendario Maya sulla fine del mondo. E se anche avesse ragione Casaleggio, se nel 2054 il lavoro scarseggiasse, non sarebbe un reddito di cittadinanza universale, la soluzione. Non è assolutamente possibile pensare ad un’umanità in panchina, non è sostenibile economicamente ed è una mostruosità a livello etico.