Dovremmo provare, per una volta, a fuggire dal palio di Siena permanente a cui ci siamo condannati, quello per cui sull’immigrazione, da anni, ci meniamo ogni giorno come contradaioli. Dovremmo cercare di non farci condizionare dall’ideologia, dal bombardamento retorico di chi grazie all’essere pro o contro a prescindere è diventato un fenomeno da social o dal gorgo di emozioni fuori controllo che immagini come quelle della Diciotti e della Sea Watch suscitano naturalmente.
Si tratta di un’impresa assai ardua, visto anche come siamo assuefatti al tifo di piazza, quello per il quale, davanti a un problema così complesso, per sostenere il fantino che rappresenta i nostri colori riduciamo il tutto a un eterno referendum, migrante si migrante no, porti aperti contro porti chiusi, come se cambiasse davvero qualcosa, come se tenerli chiusi avesse effetti duraturi sugli sviluppi a lungo termine del fenomeno migratorio globale o se tenerli aperti garantisse un’esistenza dignitosa a chi sbarca, salvandolo da una vita col cappello in mano davanti a un bar.
Si tratta, tuttavia, di un’impresa necessaria per capire davvero perché la risposta di Salvini alla mamma di Melegnano Angela Bedoni – una donna che ha adottato un ragazzo nero di 22 anni, Bakary, da lei a lungo ospitato in casa, costretta a sopportare la continua presenza di scritte razziste sui muri della sua abitazione – segni il superamento di un confine, che dovrebbe essere considerato invalicabile non solo dai supporters della Contrada dei Buoni ma da tutti quelli che credono anche vagamente, anche distrattamente, anche superficialmente, nello Stato di Diritto. Bedoni aveva dichiarato che la caccia allo straniero è «il problema dell’Italia di oggi rispetto a quanto sta succedendo in Italia purtroppo e amplificato anche da alcuni politici». Risponderle “io rispetto il dolore di una mamma, abbraccio suo figlio e condanno ogni forma di razzismo. E la signora rispetti la richiesta di sicurezza e legalità che arriva dal popolo italiano”, come ha fatto il ministro dell’interno non vuol dire fare propaganda, fare una sparata, fare campagna elettorale, fare il Truce, insomma fare il Salvini collezione post-2014.
Vuol dire collegare la condanna di un reato – una minaccia razzista – alla dichiarazione di fedeltà delle vittime a un programma politico. La signora potrebbe pensare qualunque cosa su un qualsiasi fenomeno umano, potrebbe essere buonista, vegana o valdese, ma l’intimidazione che hanno subito lei e suo figlio Bakary non cambierebbe di un millimetro. Perché, allora, la condanna di quella odiosa intimidazione da parte di un Ministro deve essere legata alla richiesta di una presa di posizione di chi tale intimidazione ha subito?
L’episodio di razzismo, insomma, non viene censurato da Salvini a prescindere, ma è contestuale al fatto che la mamma di Melegnano metta bene in chiaro di essere dei nostri: altrimenti affari suoi, e se un domani le accadrà la stessa cosa, o qualcosa di più grave, vorrà dire che se l’è cercata
L’episodio di razzismo, insomma, non viene censurato da Salvini a prescindere, ma è contestuale al fatto che la mamma di Melegnano metta bene in chiaro di essere dei nostri: altrimenti affari suoi, e se un domani le accadrà la stessa cosa, o qualcosa di più grave, vorrà dire che se l’è cercata. Al contrario degli autori di quelle scritte, la signora non ha commesso alcun reato: ha semplicemente espresso un’opinione, ovvero che, secondo lei, l’immigrazione “non è un problema”. Eppure, secondo Salvini, se lui deve dissociarsi dal razzismo lei, nello stesso tempo, deve dissociarsi pubblicamente dalle proprie idee, come se contenessero il seme di un peccato originale. Che cos’è, questa, se non una logica contraria a qualunque principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge – e quindi, a sua volta, di razzismo? A cosa siamo davanti se non ad un’esplicita richiesta di sottomissione da parte di chi la pensa diversamente?
Un fatto del genere, negli Stati Uniti non sarebbe mai stato tollerato. Durante l’estate di fuoco del 2017, una donna venne uccisa a Charlottesville, in Virginia, durante gli scontri tra un gruppo di neo nazisti e dei manifestanti che cercavano di opporsi al corteo. Donald Trump condannò l’episodio ma subito dopo criticò “entrambi gli schieramenti” per le violenze commesse. Secondo il suo ragionamento, insomma, tra chi voleva esibire una svastica e chi voleva strapparla non c’era alcuna differenza. Immediatamente, il Presidente venne travolto da un uragano di attacchi, che vide in prima fila non solo i nemici, ma gran parte dello stesso partito Repubblicano: al diavolo le divisioni, equiparare chi inneggiava al totalitarismo a chi manifestava contro significava uscire dal perimetro della democrazia.
Invece ieri, da noi, nessuno, nella Contrada dei Sovrani, si è sentito in dovere di dire qualcosa, di affermare che il principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge – a prescindere dal fatto che “rispettino” o meno quella o quell’altra idea – sia il principio cardine della nostra Civiltà, la stessa che i sovranisti di ogni colore ripetono ogni giorno di voler difendere “dall’invasione”. Forse sarebbe il caso di cominciare a difenderla davvero, la nostra Civiltà, facendo l’elenco dei valori su cui non si può negoziare, quelli che chiunque è tenuto a rispettare se intende farne parte. Il primo dei quali è stato violato ieri, in modo clamoroso, dal Ministro dell’Interno.