La disoccupazione e la conseguente povertà, lo sappiamo, hanno mille facce. Non si tratta solo di non avere un reddito sufficiente per vivere, ma delle condizioni in cui in cui ci si ritrova a causa di questa stessa mancanza. Detto in modo semplice: contano anche gli aspetti qualitativi e non solo quantitativi.
È diverso essere senza lavoro a 60 anni, a 40 anni con figli a carico, a 25 anni. E in Europa, manco a dirlo, ci sono grandi differenze da Paese a Paese che ci fanno pensare che gli stessi strumenti per combattere disoccupazione, inattività e povertà potrebbero essere efficaci in uno Stato e non in un altro.
Una peculiarità italiana è quella per cui non è detto che l’aumento dell’età, la costruzione di una famiglia, l’arrivo dei figli portino a una maggiore occupazione, come avviene altrove. Anzi.
Se per esempio ci riferiamo al caso classico in Europa, quello dei single che vivono soli, normalmente giovani, che siano per esempio alla ricerca del primo lavoro, la percentuale dei senza lavoro in Italia è addirittura inferiore alla media, ed è molto bassa, solo il 12,9%, sostanzialmente simile a quella tedesca, molto inferiore a quella olandese o svedese o francese.
È chiaro, si tratta di una statistica che risente del fatto che siano decisamente meno da noi i giovani che escono di casa senza avere un impiego. Ma ci dice molto su come ci differenziamo dal resto d’Europa
Dati Eurostat
Ed è ancora più evidente nel caso dei single che non abbiano dei figli, del resto la maggioranza. Siamo tra gli ultimi quattro.
Dati Eurostat
Le cose cambiano radicalmente se parliamo di coppie.
Siamo di poco sopra la media, al contrario di quanto accade con i single, nel caso di coppie senza figli. Nel 13,9% di queste non lavora nessuno dei due, contro un 12% medio europeo.
Dati Eurostat
Ma se in questo caso siamo in posizione migliore di Paesi come Francia, Belgio, Austria, le cose cambiano molto se ci riferiamo solo alle coppie con figli in cui non vi siano occupati. Qui solo quattro Stati fanno peggio di noi, e solo uno, la Spagna, appartiene alla Ue.
Nel 6,7% delle famiglie con figli non lavora nessuno. La media europea è del 4,8%, in Germania si arriva al 4,6%
Dati Eurostat
Tra l’altro siamo tra i Paesi in cui questi numeri sono peggiorati dal 2008. Anno dopo il quale vi sono stati dei decisi miglioramenti in Ungheria, Romania, Romania, Irlanda, Regno Unito, Germania, con cui eravamo sostanzialmente alla pari, ma non in Italia e in Spagna.
Dati Eurostat
Sembrano numeri e differenze piccole, ma non è così.
Perché per definizione i sussidi e il welfare in generale vengono studiati per fasce marginali e ridotte della popolazione, e pochi punti percentuali fanno la differenza. Vuol dire che in Italia vi è una proporzione di bambini che vivono in nuclei in cui manca totalmente il lavoro che è il 50% maggiore che in Germania.
E vuol dire anche un’altra cosa. Che se in altri Paesi passare da single a coppia, e poi a coppia con figli vuol dire incrementare la probabilità o la volontà di trovare un lavoro, in Italia questo accade molto meno.
Se invece della solita Germania guardiamo ai Paesi Bassi, patria del part time, vediamo che nel passaggio dall’essere single a essere coppia la percentuale di nuclei senza lavoro cala dal 18,4% al 8,5%, e poi al 2,9% quando vi sono dei figli.
In Italia invece si va dal 12,9% al 13,9%, con addirittura un aumento quando si passa a essere sposati o conviventi senza prole, e infine al 6,7% quando questa arriva. Nel primo caso la proporzione di inoccupati crolla di sei volte, nel secondo, quello italiano, non riesce neanche a dimezzarsi.
Guardando la media europea vi sono differenze meno estreme, ma il trend è chiaro: in Italia la nascita di una famiglia e soprattutto l’arrivo di figli non appaiono come un incentivo alla ricerca del lavoro. C’è uno zoccolo duro fortissimo dell’inattività che è sconosciuto altrove.
È una peculiarità mediterranea, potremmo dire.
Non è tanto una questione di condizioni economiche, vi sono Paesi con Pil decisamente più basso, a Est, in cui l’occupazione è più alta e distribuita in modo anche più razionale, ovvero molto maggiore tra chi ha più necessità di avere un reddito, coloro che hanno figli, e molto minore tra chi ancora deve iniziare la propria carriera.
È impossibile non pensare all’ennesima conferma dell’esistenza di una società della dipendenza.
Quella per cui la famiglia originaria, o allargata, sostituisce il welfare e lo Stato, che, come in un circolo vizioso, riceve quindi meno pressioni per realizzarne uno realmente di livello europeo.
Quella in cui la donna è abituata, appunto, a dipendere prima dal padre poi dal marito, in famiglie quindi più fragili, in cui quando quest’ultimo dovesse perdere il lavoro non rimarrebbe nessuno a portare un reddito.
Solo nel 52,9% delle famiglie con figli, infatti, entrambi i genitori lavorano, contro una media europea del 66,4% e contro il 70,6% della Germania.
Dati Eurostat
È chiaro da questo quadro che nel contesto delle economie nordeuropee le misure di sussidio alla povertà, rivolti in primis ovviamente a chi è disoccupato, hanno un significato chiaro. Vanno a coprire una fascia realmente marginale della popolazione, e i numeri ci dicono che non costituiscono un disincentivo all’occupazione, in una società in cui per cultura e sistema economico soprattutto di fronte alla presenza di figli è il lavoro che è visto come il primo strumento di sostentamento e di reddito, e non altro.
Nel caso italiano pensiamo veramente che nel momento in cui neanche l’arrivo dei figli in una famiglia riesce a smuovere più di tanto la situazione occupazionale così incancrenita, anzi paradossalmente a volte la complica, possa avere successo un sussidio come il reddito di cittadinanza che in assenza di proposte di lavoro (impossibili le tre offerte per ciascuno) consente al contrario di non cercarlo realmente e ricevere un reddito?
La società della dipendenza si può superare solo attraverso incentivi alle assunzioni, agli investimenti che creino nuovi posti di lavoro, non sostituendo una dipendenza, quella vecchia dalla famiglia, a una nuova, quella dallo Stato.