Governano, ma agiscono come se fossero all’opposizione. Sono egemoni, eppure si sentono circondati. Dominano il discorso pubblico. Ciononostante, si credono stretti all’angolo. La sinistra italiana ha sofferto a lungo di un disturbo: il complesso di superiorità. I sovranisti e i populisti, invece, sembrano afflitti dal male opposto: il complesso d’inferiorità. Pur essendo riusciti a imporre una visione del mondo che corrisponde agli schemi della loro volontà e rappresentazione – la frattura tra il popolo e l’élite, l’immigrazione come attentato all’identità nazionale, una tendenziale diffidenza nei confronti della competenza – continuano a considerarsi marginali, una nave corsara lanciata contro vento.
Da poco diventato direttore del Tg2 in quota salviniana, Gennaro Sangiuliano ha detto a Salvatore Merlo del Foglio che la sua apertura «alle idee scandalose» è una cosa che fa impazzire la «vulgata dominante». Al punto che «il Partito Unico del politicamente corretto vorrebbe mandargli i gendarmi in redazione». La dittatura che evoca Sangiuliano non è più di sinistra, essendo la sinistra diventata poco credibile come nemico: è il corollario della globalizzazione, il politically correct, l‘ideologia che ha colpevolizzato il linguaggio, imponendo di non dire “negro”, considerando la parola “frocio” un’autocertificazione di omofobia e guai ad associare una donna a una casalinga. Tutte norme che hanno attecchito anche in Italia, ma che in Italia non hanno mai avuto la pervasività, il fanatismo e il puritanesimo che hanno negli Stati Uniti.
L’Italia è il paese in cui hanno vinto alle elezioni un partito che è nato dicendo «vaffanculo» e un altro che ha un metodo per qualsiasi problema: «la ruspa». Anche negli Stati Uniti ha vinto Trump, certo: ma quella di Trump è stata una reazione politica reale all’asfissia culturale, il sollievo di poter dire finalmente ciò che non si poteva dire. In Italia, il canone televisivo è da anni fissato dall’indimenticabile e supremo Vittorio Sgarbi che urla “capra! capra! capra!”.
Il nemico di sinistra è «vinto e battuto». Eppure è così indispensabile che, scomparso in patria, arriva dall’esterno, sul barcone della fantasia persecutoria «Ma quando finirà la dittatura del politicamente corretto?» si è domandato Marcello Veneziani sulla Verità, lamentando che «passano gli anni, cambiano i governi, insorgono i popoli, ma da Hollywood a Sanremo, dalla tv ai premi letterari, dai fatti di cronaca alla storia adattata al presente, prosegue incurante della vita, della verità e della realtà» il solito «copione». Veneziani, che è un pensatore di vera destra, cita Robert Hughes, Tom Wolfe, Allan Bloom. E tranne il primo, sono tutti autori americani. Poiché è negli Stati Uniti che il politicamente corretto è diventato ideologia, sistema di controllo, meccanismo di censura e autocensura, una cappa che gli scrittori sopra citati hanno cercato, appunto, di rompere. Al limite, il politicamente corretto ha «serpeggiato nel nord Europa, nelle socialdemocrazie scandinave”» riconosce lo stesso Veneziani. Ma nell’Europa del sud, nella cattolicissima Europa del peccato e del perdono, dove sarebbe la tirannia del politicamente corretto?
L’Italia è il paese in cui hanno vinto alle elezioni un partito che è nato dicendo «vaffanculo» e un altro che ha un metodo per qualsiasi problema: «la ruspa». Anche negli Stati Uniti ha vinto Trump, certo: ma quella di Trump è stata una reazione politica reale all’asfissia culturale, il sollievo di poter dire finalmente ciò che non si poteva dire. In Italia, il canone televisivo è da anni fissato dall’indimenticabile e supremo Vittorio Sgarbi che urla “capra! capra! capra!”. Non ci sono, in Italia, i professori di Harvard che sorvegliano e puniscono l’espressione sincera. C’è il professor Massimo Cacciari, che conclude una raffinata analisi politologica spiegando: “I capi del Pd sono delle teste di cazzo”. C’è lo scrittore Aldo Busi che a un collega disse: “Tranne un paio di libretti, non hai scritto una mazza”. Politicamente corretto un corno.
Fino a venti-trent’anni fa, i fossati nella società erano per lo più stati scavati e presidiati dalla sinistra. Giacché la sinistra era nelle case editrici (quando contavano), nei giornali (quando contavano), nella televisione (che conta ancora). E la destra era tagliata fuori. Oggi, invece, nelle trincee del nuovo mondo, che è la rete, i populisti e i sovranisti sono imbattibili.
E, tuttavia, Pietrangelo Buttafuoco, commentando la manifestazione anti razzista di Milano, ha detto che è «la vetrina della minoranza egemone che perpetua la propria sfida alla maggioranza silenziosa». Egemone? L’egemonia era, per Antonio Gramsci, il risultato di una guerra di posizione, la mappa delle trincee scavate nella società civile, prima e indipendentemente dalla presa del potere. Fino a venti-trent’anni fa, i fossati nella società erano per lo più stati scavati e presidiati dalla sinistra. Giacché la sinistra era nelle case editrici (quando contavano), nei giornali (quando contavano), nella televisione (che conta ancora). E la destra era tagliata fuori.
Oggi, invece, nelle trincee del nuovo mondo, che è la rete, i populisti e i sovranisti sono imbattibili. Così come se la cavano bene nella cara vecchia televisione, ancor di più oggi che hanno preso la direzione di quella pubblica. Al punto che un’intervista con il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron (tecnicamente, un colpo giornalistico di Che tempo che fa) diventa quasi un gesto di sottomissione a uno stato straniero. Perciò, qualcuno dovrebbe avvertirli: «Guardate che la vulgata dominante è la vostra». Più fastidiosa della supponenza della sinistra, c’è solo la cultura del piagnisteo dei sovran-populisti. Potenti che fingono di passare di lì per caso.