In Italia il numero delle persone con una laurea continua ad aumentare. A livello di proporzione di laureati sulla popolazione rimaniamo indietro rispetto al resto d’Europa, ma certo una crescita c’è. E tuttavia si tratta di un aumento iniquo dal punto di vista degli equilibri di genere. Non sono le donne questa volta a essere sotto-rappresentate, ma gli uomini. Dal 2004 a oggi tra chi ha tra i 25 e i 34 anni, età in cui si concentrano quasi tutti i neo-laureati, le donne con un titolo universitario sono aumentate del 50%, gli uomini del 39,1%. E c’è un divario leggermente più ampio tra i più giovani di questo segmento, tra cui le laureate hanno fatto un balzo del 67,3%, i laureati del 55,7%
Si parla di squilibrio perché da almeno 15 anni le donne con istruzione terziaria sono già più degli uomini. A tutte le età. Nel 2018, 570mila e 500 contro 366mila e 500. Un gap che ha superato le 200mila unità tra i 30enni e che nel 2004 era solo di 115mila persone.
Ed è significativo che le maggiori disuguaglianze siano proprio là dove già ve ne sono di rilevanti, ovvero nel Mezzogiorno, dove le donne laureate sono cresciute del 50,1% e gli uomini del 30,6%.
Proprio al Sud nel 2018 si è anche toccato il record della differenza tra gli uomini con una laurea presenti al Sud e quelli del Nord. Tra i 25 e i 29 anni erano il 42,9% in meno nel Mezzogiorno, con un crollo rispetto agli anni precedenti. Nel 2012 infatti il gap era solo di poco più del 25%. E si è arrivati a uno del 48,9% tra i trentenni, anche in questo caso toccando un nuovo minimo. Nel caso delle donne invece tra alti e bassi vi è stata una maggiore stabilità nella distanza tra Nord e Sud.
Apparentemente questi dati sarebbero una buona notizia, per esempio segnalerebbero progressi verso una minore disuguaglianza di genere. Avere più donne con un’istruzione universitaria in teoria vorrebbe dire più donne occupate, e con una occupazione di qualità. In teoria, però. Nella realtà in questi anni di grande crescita dei laureati il tasso di occupazione femminile al Sud non è decollato, nonostante sia il più basso d’Europa, intorno o poco sopra il 30% in Campania, a livelli mediorientali.
Sempre al Sud non è cresciuta neanche l’occupazione tra le donne laureate, che è all’incirca al 63%, allo stesso livello o più basso del periodo pre-crisi, quando erano però molte meno. Vuol dire che vi sono sempre più donne con un titolo universitario che non usano, che hanno scelto di studiare, impegnano risorse proprie e altrui senza alla fine avere un ritorno.
Allo stesso tempo gli uomini si rivelano i perdenti della recessione economica post-2008. Il loro tasso di occupazione non si è poi più ripreso, e questi dati rappresentano in un certo senso una conferma della crisi maschile. Solo il 16,1% dei maschi trentenni al Sud ha una laurea, contro il 34,9% medio europeo. E si allarga a livello nazionale il gap tra uomini e donne nelle statistiche sull’abbandono scolastico, che vedono i primi sempre più protagonisti.
C’è allo stesso tempo uno scollamento tra livello di istruzione, sempre più alto, dei giovani e soprattutto delle giovani che si affacciano sul lavoro e le dinamiche lavorative, e una sorta di ritardo della componente che però rimane quella protagonista del mondo del lavoro, quella maschile. È una dinamica che è ancora più esasperata nel segmento in realtà più giovane della nostra popolazione, quello degli stranieri. All’interno del quale le donne con una laurea, che anche qui erano già più degli uomini, sono triplicate in 14 anni. Certamente la cosa è stata facilitata dai piccoli numeri, ma nel caso degli uomini la crescita è stata decisamente inferiore, pur se significativa.
Tra i giovanissimi invece, coloro che hanno tra i 20 e i 24 anni, italiani e stranieri, c’è una inversione di tendenza a quanto pare. Ovvero il numero di laureati uomini è aumentato più di quello femminile negli ultimi anni. Rispetto al 2004 vi è stata una impennata generale, dovuta chiaramente alla crescita dei corsi triennali all’interno del 3+2. Anche in questo caso però in realtà le ragazze superano i ragazzi 163 mila a 114 mila, quindi con un gap che si restringe ma rimane imponente.
È ancora presto per trarre conclusioni, del resto non a caso si usano statistiche riguardanti i 30enni, quando i cicli di studio sono ormai finiti praticamente per tutti. Quello che è certo è che questo ritardo maschile dal lato dell’istruzione, che si ripercuote certamente sul mondo del lavoro, ha e potrebbe avere anche conseguenze sociali importanti se allo stesso tempo l’occupazione femminile non avanza a livelli più decenti.